nudo. Muovendosi in quegli abiti evanescenti, le sue forme mi ispiravano pensieri che mi riempivano di vergogna. Halum stava per oltrepassare la giovinezza, era donna da molto tempo e io cominciavo a stupirmi del fatto che non si fosse ancora sposata. Benche lei, Noim ed io avessimo la stessa eta, Halum, come tutte le ragazze, era uscita dall’infanzia prima di noi. Aveva cominciato ad avere i seni e le regole mensili un anno prima che a noi cominciasse a crescere la peluria sulle guance e sul corpo, e questo ci aveva dato l’idea che fosse piu grande. Anche quando raggiungemmo la piena maturita fisica, Halum continuo ad essere piu adulta di noi, modulava la voce piu armoniosamente, aveva modi piu pacati. Era impossibile scacciare l’idea che fosse la nostra sorella maggiore. Presto avrebbe dovuto accettare un pretendente, prima di andare troppo in la col tempo e di inasprirsi nella sua verginita. All’improvviso ebbi la certezza che Halum si sarebbe sposata mentre io ero lontano, nascosto a Glin, e il pensiero di qualche straniero sudato che si affannava a piantar bambini tra le sue cosce mi disgusto al punto che mi allontanai violentemente dal tavolo e da lei e mi diressi barcollando verso la finestra per prendere una boccata d’aria fresca.
— Non stai bene? — mi chiese Halum.
— Si e un po’ tesi, sorella di legame.
— Non c’e pericolo, l’Eptarca ti ha concesso il permesso di andare verso Nord.
— Non ci sono documenti che lo dimostrino — obietto Noim.
— Ma tu sei il figlio dell’Eptarca! grido Halum. — Quale guardia delle strade oserebbe farti delle storie?
— Gia — risposi. — Non c’e motivo di avere paura. Ma ci si sente un po’ incerti. Si sta per iniziare una nuova vita, Halum. — Sorrisi forzatamente.
— Dev’essere ora di andare.
— Aspettate ancora un poco — imploro Halum.
Non rimanemmo. I servi ci aspettavano giu nella strada. I carri da terra erano pronti. Halum ci abbraccio, prima Noim e poi me, che ero quello che non sarebbe tornato e al quale dedico un addio piu lungo. Quando mi venne tra le braccia, rimasi colpito dall’intensita con cui mi si offriva: le sue labbra alle mie, il suo ventre al mio, i suoi seni schiacciati contro il mio petto. Sulla punta dei piedi, premeva il suo corpo contro il mio e per un momento la sentii tremare, prima di cominciare a tremare anch’io. Non era il bacio di una sorella e certo non quello di una sorella di legame: era il bacio appassionato di una sposa che manda il suo giovane marito in guerra, senza sapere se tornera. Ero rimasto folgorato dall’ardore improvviso di Halum. Mi sembrava che fosse stato strappato via un velo, e che una Halum che non conoscevo si fosse gettata su di me, una Halum che ardeva di desiderio carnale e che non si curava di nascondere la sua fame proibita del corpo del proprio fratello di legame. Oppure immaginavo soltanto queste cose, in lei? Mi era sembrato che per un lungo istante Halum si fosse abbandonata completamente, e avesse lasciato che le sue braccia e le sue labbra mi dicessero tutto dei suoi sentimenti. Ma io, io non avevo potuto risponderle nello stesso modo. Mi ero troppo ben allenato a comportarmi correttamente verso la mia sorella di legame, e rimasi freddo e distante mentre l’abbracciavo. Forse la respinsi un poco, sorpreso dal suo ardore. Come ho detto, puo essere che quell’ardore esistesse soltanto nella mia mente sovreccitata, e che quello di Halum fosse soltanto legittimo dolore di fronte ad una partenza. In ogni modo, Halum si calmo rapidamente; allento l’abbraccio e mi lascio. Era triste e abbattuta, come se io l’avessi respinta duramente, rimanendo cosi rigido mentre lei mi si offriva in quel modo.
— Vieni, adesso — disse Noim impaziente. Cercando di rimediare, sollevai la mano di Halum e toccai leggermente col palmo il palmo freddo di lei, le sorrisi imbarazzato e lei mi rispose con un sorriso ancora piu imbarazzato. Avremmo potuto scambiare qualche parola, se Noim non mi avesse preso per il gomito e non mi avesse cocciutamente spinto fuori ad iniziare quel viaggio che mi portava cosi lontano dalla mia terra.
12
Volli assolutamente confessarmi, prima di lasciare Citta di Salla. Non era in programma, e Noim non approvava che si perdesse del tempo ma, man mano che ci avvicinavamo ai confini della capitale, cresceva in me un incontenibile desiderio dei conforti della religione.
Eravamo in viaggio piu o meno da un’ora. Pioveva a dirotto ed un vento furioso si scatenava contro i parabrezza dei nostri carri da terra: bisognava guidare con prudenza. Le strade sassose erano sdrucciolevoli. Io sedevo, di cattivo umore, vicino a Noim che guidava uno dei carri; l’altro, con i nostri servi, ci seguiva dappresso. Si era di primo mattino e la citta dormiva ancora. Era come se fossi in una sala chirurgica: ogni strada che attraversavamo era una parte della mia vita passata che mi veniva strappata via: i cortili del palazzo, le guglie della Casa di Giustizia, i grandi blocchi grigi dell’universita, la Casa del Dio dove mio padre mi aveva portato al Comandamento, il Museo dell’Umanita che avevo cosi spesso visitato con mia madre per ammirare i tesori venuti dalle stelle. Traversando l’elegante zona residenziale che delimita il Canale Skangen gettai un’occhiata alla ricca dimora del Duca di Kongoroi: tra le lenzuola di seta della sua bella figlia avevo lasciato in una pozza viscosa la mia verginita, non molti anni prima. Avevo vissuto in quella citta tutta la vita e forse non l’avrei piu rivista: il mio passato veniva lavato via come la terra delle fattorie di Salla sotto le dirotte piogge invernali. Fin da ragazzo avevo saputo che un giorno mio fratello sarebbe diventato Eptarca e che in citta non ci sarebbe piu stato posto per me, ma non avevo mai voluto ammetterlo. Mi dicevo: — Non accadra presto, forse non accadra affatto. — Adesso mio padre giaceva nella sua bara fatta col legno di Spine di Fuoco, mio fratello stava rannicchiato sotto il peso terribile della sua corolla e io fuggivo da Salla per salvare la vita; mi assali una tale pieta di me stesso che non osai parlarne neppure a Noim, anche se e inutile avere un fratello di legame se non ci si confida con lui. Fu allora, mentre attraversavamo le ultime strade di Citta Vecchia di Salla, che vidi una decrepita Casa del Dio e dissi a Noim: — Fermati a quell’angolo. Si vuole entrare a purificare l’anima.
Noim aveva fretta, non voleva perdere tempo e fece per tirare dritto.
— Vuoi negare il diritto divino? — gli chiesi con ardore. Soltanto allora, sbuffando contrariato, egli fermo il carro e lo fece indietreggiare in modo che io potessi andare nella Casa del Dio.
La facciata era scrostata, cadente. L’iscrizione sul portale era illeggibile e il pavimento antistante era in pezzi. Citta Vecchia di Salla ha piu di mille anni, e benche siano ormai in rovina, molti dei suoi edifici sono sempre stati abitati, fin da quando furono costruiti. La vita della zona fini, in effetti, quando uno degli Eptarchi medievali decise di trasferire la corte al palazzo dove sono cresciuto, sulla sommita della collina di Skangen, piu a Sud. Di notte Citta Vecchia si anima di cercatori di piacere, che girano di locale in locale inebriandosi di vino blu, ma in quelle ore caliginose la citta era un posto orribile.
Bianche pareti di pietra mi fronteggiavano da ogni edificio: a Salla non costruiamo finestre, ma strette aperture, e la questa abitudine era portata all’estremo. Mi chiedevo se la Casa del Dio aveva un meccanismo di controllo che segnalasse il mio arrivo. Si, l’aveva. Quando mi avvicinai alla porta della Casa del Dio, questa si dischiuse e un uomo scheletrico in abiti da confessore guardo fuori. Era brutto, per forza di cose. Chi ha mai visto un confessore dall’aspetto piacevole? E una professione per deformi. Quello aveva una pelle verdastra, butterata, un naso che sembrava un’appendice di gomma, e non ci vedeva da un occhio: un esemplare perfetto. Mi getto un’occhiata viscida e si ritrasse circospetto: sembrava rimpiangere d’aver aperto la porta.
— La pace di tutti gli dei sia su di te — dissi. — C’e bisogno del tuo aiuto.
Diede uno sguardo al mio costoso costume, alla mia giacca di cuoio, ai miei pesanti gioielli, studio attentamente la mia figura ed il mio portamento e dovette concludere che ero qualche giovane bravaccio dell’aristocrazia che veniva a cercar guai nei bassifondi. — E troppo presto — mi disse, strozzato. — Vieni troppo presto a cercar conforto.
— Non respingerai uno che soffre!
— E troppo presto.
— Avanti, avanti, lascia che si entri. Hai di fronte un’anima in pena.
Cedette, com’era giusto, e contraendo nervosamente il suo lungo naso, mi fece entrare. Dentro c’era puzza di marcio. Il vecchio rivestimento di legno era impregnato d’umidita, i drappi erano consunti, il mobilio era roso dagli insetti, le luci erano fioche. La moglie del confessore, brutta quanto lui, diede un’occhiata, e scomparve. Egli mi guido verso la cappella, una stanzetta angusta e umida oltre la zona dell’abitazione e mi lascio li in ginocchio davanti ad uno specchio crinato ed ingiallito, mentre accendeva le candele. Indosso i paramenti e finalmente venne verso il punto dove io ero inginocchiato.
Mi disse quanto voleva. Sussultai.