era alle superiori. — Una lunga pausa. Poi Pam scoppio in una risatina soffocata nel bel mezzo del mio intontito silenzio. — Oh, rilassati, rilassati, David! E un
— Lo vedo.
— Voi due avete rotto, non e cosi?
— Io non ne sono sicuro. Penso di si. Non lo so.
— Posso fare qualcosa per aiutarti? — Questo da Pam, che pensavo mi considerasse l’influsso malefico da cui Toni era stata piu che avvisata di liberarsi.
— Dammi il suo numero di telefono — dissi io.
Telefonai. Squillo e squillo e squillo. Alla fine Bob Larking sollevo la cornetta. Frocio, senza dubbio, una dolce voce tenorile con il suo bravo accento bleso, per niente diverso dalla voce di Teddy-al-lavoro. Chi ha insegnato a questa gente a parlare con un accento di omosessuali? Chiesi: — C’e Toni? — Una risposta circospetta: — Chi e all’apparecchio per favore? — Glielo dissi. Lui mi chiese di aspettare, e passo un minuto o giu di li a confabulare con lei, la mano sulla cornetta. Alla fine ritorno e disse che Toni c’era, si, pero era molto stanca e stava riposando e non aveva nessuna voglia di parlare con me proprio adesso. — E urgente — dissi io. — Per favore ditele che e urgente. — Altra consultazione, in sordina. Stessa risposta. Lui suggeriva, tra i denti, che io richiamassi fra due o tre giorni. Mi misi a lusingare, a piagnucolare, a supplicare. Nel bel mezzo di questa antieroica scena, il telefono passo bruscamente in altre mani e Toni mi disse: — Perche hai telefonato?
— Questo dovrebbe essere ovvio. Ho bisogno che tu ritorni.
— Non posso.
Lei non disse:
Io dissi: — Ti dispiacerebbe dirmi il perche?
— Niente da fare.
— Non hai lasciato neanche un appunto. Neanche una parola di spiegazione. Sei scappata fuori e basta.
— Mi spiace, David.
— E stato qualcosa che hai visto in me mentre eri in viaggio, non e cosi?
— Non parliamone — disse lei. — E acqua passata.
— Per me non e acqua passata.
— Per me si.
Era quasi mezzanotte. L’aria estiva mi si appiccicava addosso ed era viscida, con un accenno di pioggia. Non si vedevano stelle. Mi affrettai per il centro, soffocato dai vapori umidi della city e dal veleno del mio amore andato in frantumi. L’appartamento di Larkin era al 19° piano di una nuova immensa torre a terrazze, in mattoni bianchi, molto in alto in York Avenue. Aprendomi la porta, lui mi scocco un tenero sorriso, pieno di compassione, quasi a dire: povero bastardo, sei pieno di ferite e stai ancora sanguinando, e adesso vieni qui per fartele riaprire. Aveva circa trent’anni, un uomo tracagnotto, con una faccia da bambino, lunghi capelli disordinatamente riccioluti e grandi denti irregolari. Irradiava calore, simpatia e gentilezza. Potevo capire perche Toni era corsa da lui in un momento come quello. — Lei e nel soggiorno — disse. — A sinistra.
Era un posto ampio, impeccabile, un pochino stravagante nell’arredamento, con linee frastagliate di colore che danzavano sulle pareti, manufatti precolombiani in vetrinette, in evidenza, illuminati da riflettori, bizzarre maschere africane, mobili in acciaio cromato, il tipo di arredamento improbabile che si vede nella sezione arredamento del numero domenicale del
Il centro dello show era il soggiorno, una vasta stanza con le pareti tinteggiate in bianco e una lunga finestra ricurva che rivelava tutti gli splendori di Queens attraverso l’East River. Toni sedeva all’estremita opposta, accanto alla finestra, su un divano ad angolo, azzurro cupo con riflessi oro. Indossava abiti vecchi, trasandati, che urtavano con lo splendore che la circondava: una giacchetta rossa antiquata che io detestavo, una gonna corta, scura, sciatta, calze nere… ed era buttata li, risentita, sulla schiena, appoggiata a un gomito, le gambe che sporgevano goffamente. Una posizione che la faceva sembrare ossuta e sgraziata. Una sigaretta che le pendeva tra le dita, e nel portacenere accanto a lei un’enorme pila di cicche. Gli occhi erano tristi. I suoi lunghi capelli arruffati. Non si mosse mentre io andavo verso di lei. Da lei proveniva un’aura di ostilita che mi blocco a cinque o sei metri di distanza.
— Dov’e la roba che eri venuto a portarmi? — chiese.
— Non c’era niente. Era solo una scusa per vederti.
— Me l’ero immaginato.
— Che cosa e andato male, Toni?
— Non chiedermelo. Proprio non chiedermelo. — La sua voce era piombata su un registro bassissimo, un contralto amaro, rauco. — Tu non avresti dovuto venire qui, assolutamente.
— Se mi avessi detto che cosa ho…
— Hai cercato di farmi del male — disse. — Hai cercato di farmi fare un brutto viaggio. — Spense la sigaretta e subito ne accese un’altra. I suoi occhi, tristi e velati, rifiutavano di incontrare i miei. — Mi sono resa finalmente conto che mi eri nemico, che dovevo scappare lontano da te. Cosi ho impacchettato tutto e sono scappata.
— Tuo nemico? Ma lo sai bene che questo non e vero.
— E stata una cosa strana — disse lei. — Non ho capito che cosa sia successo. Ho parlato con della gente che ha ingoiato un mucchio di acido e non hanno capito neppure loro. Era come se le nostre due menti fossero collegate, David. Tra noi si era aperto come un canale telepatico. E da te fluiva dentro di me ogni genere di roba. Roba odiosa. Roba velenosa. Io pensavo i tuoi pensieri. Vedevo me stessa come mi vedevi tu. Ricordi, quando dicesti che anche tu stavi viaggiando, sebbene tu non avessi preso acido per niente? Allora mi dicesti che tu stavi, quasi, leggendo la mia mente. E stato questo che mi ha atterrita. Che le nostre due menti sembravano insudiciarsi insieme, sovrapporsi. Diventare una sola. Non ho mai saputo che l’acido facesse uno scherzo del genere.
Era l’imbeccata giusta per dirle che non era stato soltanto l’acido, che non era stata una fumata deludente, che quanto lei aveva provato era l’urto di un potere speciale che possedevo dalla nascita, un dono, una maledizione, un’anomalia di natura. Pero le parole mi si congelarono nella bocca. Suonavano come parole di un pazzo, a me stesso. Come avrei potuto confessarle un fatto del genere? Lasciai sfumare quell’occasione. Dissi, invece, debolmente: — Okay, e stato uno strano momento per tutti e due. Eravamo un poco in orbita. Pero adesso il viaggio e finito. Non hai bisogno di nasconderti da me, adesso. Ritorna, Toni.
— No.
— Tra qualche giorno, allora?
— No.
— Questo non lo capisco.
— E cambiato tutto — disse lei. — Adesso non potrei mai piu vivere con te. Tu mi fai troppa paura. Il viaggio e finito, pero io ti guardo e vedo demoni. Vedo un qualcosa che e meta pipistrello, meta uomo, con grandi ali di gomma e lunghe zanne gialle e, oh, Gesu mio, David, non posso farci nulla! Io mi sento
Non osai dare un’occhiata nella sua mente. Avevo paura di trovarci qualcosa che potesse inaridirmi e farmi avvizzire. Ma in quei tempi il mio potere era ancora cosi forte che non potevo impedirmi di cogliere, la cercassi o no,