si spalanca. Una femmina gamma (occhi spiritati, seni fosforescenti, cicatrice livida sul ventre) ci sorride scioccamente. Fa un inchino. Signora. Signore. Vuoi grumare con me? Ride. Piega le gambe, si siede sulle caviglie, si agita in una danza stordita. Inarca la schiena, si scuote i seni, allunga le gambe. Dalla stanza da cui e uscita brillano luci verdi e dorate. Si affaccia una seconda figura.
E quello cos’e, Lilith?
Altezza normale, ma largo il doppio di un gamma: tutto coperto di pelo fitto e opaco. Una scimmia? Eppure il volto e umano. Alza le mani. Dita brevi e tozze; membranose! Afferra la donna e la riporta dentro. La porta si chiude.
Uno scarto, dice Lilith. Qui ce ne sono molti.
Uno scarto di che?
Androidi di scarto. Tare genetiche; impurita della vasca, forse. A volte sono senza braccia, a volte senza gambe, senza testa, senza apparato digerente, senza questo o senza quello.
E non vengono automaticamente distrutti alla fabbrica?
Lilith sorride. No, non vengono distrutti. Quelli incapaci di sopravvivere muoiono da soli; abbastanza presto. Gli altri vengono fatti uscire quando i supervisori non guardano, poi vengono indirizzati a una delle citta sotterranee. Soprattutto questa. Non possiamo mettere a morte i nostri fratelli idioti, Manuel!
Levitico, le dico. Alfa Levitico Saltatore.
Si. Guarda: eccone un altro.
Lungo la galleria, a passo svelto, arriva una figura mostruosa. Sembra che l’abbiano messa nel forno finche la carne non cominciava a liquefarsi: la struttura di base e umana, ma i dettagli no. Il naso e una proboscide, le labbra sono due piatti, le braccia sono disuguali, le dita paiono tentacoli. I genitali fanno spavento: pene da cavallo, testicoli da toro.
Meglio ucciderli, dico a Lilith.
No. No. Nostro fratello. Il nostro povero amato fratello deforme.
Il mostro si ferma a una decina di metri da noi. Le sue braccia curve si muovono nel segno dell’un due tre.
Con voce perfettamente chiara ci dice: La pace di Krug sia con voi, alfa. Andate con Krug. Andate con Krug.
E Krug sia con te, risponde Lilith.
Il mostro s’allontana ciondolando; cinguetta felice tra se e se.
La pace di Krug? Andate con Krug? Krug sia con te? Lilith, cosa significa?
Un saluto, dice lei. Un amichevole augurio.
E stato Krug a farci, dice lei. Non ti pare?
Allora mi torna in mente qualcosa che ho sentito dai miei amici, nel salone di trasferimento: «Non ti sei mai accorto che tutti gli androidi sono innamorati di tuo padre? Certo: a volte ho l’impressione che sia come una religione, per loro. La religione di Krug. Be’, e abbastanza giusto adorare il proprio creatore. Non ridere».
La pace di Krug. Andate con Krug. Krug sia con te.
Lilith, ma gli androidi credono che mio padre sia Dio?
Lilith evita di rispondere. Ne parleremo un’altra volta, mi dice.
Qui c’e troppa gente che ascolta. Certe cose non si possono dire liberamente.
Ma…
Un’altra volta!
Lascio perdere. Ora la galleria si allarga: una stanza spaziosa, illuminata, affollata. Cos’e, un mercato? Botteghe, banchi, gamma dappertutto. Ci fissano. Nella stanza ci sono molti scarti, uno piu brutto dell’altro. Non si capisce come possano sopravvivere delle creature cosi storpie e malformate.
Non escono mai da questi sotterranei?
Mai. Gli umani potrebbero vederli.
A Gamma Town?
Preferiscono non correre rischi. Li ucciderebbero tutti.
Nel pigia-pigia della stanza affollata, gli androidi battono uno contro l’altro, si spingono via, litigano, si lanciano imprecazioni. Fanno un po’ di spazio libero intorno ai due alfa, ma non troppo. Si stanno svolgendo due distinti duelli al coltello, ma nessuno ci bada. C’e molta lussuria in giro,
Un dono.
Un piccolo cubo freddo, come quelli del salone di New Orleans. Chissa se trasmette delle frasi? Si: vedo parole formarsi e scivolare via nel suo interno lattiginoso:
Frasi senza senso. Lilith, ne capisci qualcosa?
Non molto. I gamma hanno un gergo tutto loro, sai? Qui, vedi, dove dice…
Un gamma maschio, scarlatto e butterato, ci strappa di mano il cubo. Rotola sul pavimento; il gamma si tuffa a cercarlo in un groviglio di piedi. Clamore generale. Tutti gli si gettano addosso. Il ladro emerge dal viluppo degli altri e si allontana rapidamente lungo una galleria. I gamma continuano a picchiarsi nella baraonda. Una ragazza si erge sul mucchio; ha perso i pochi stracci: si scorgono graffi insanguinati sul seno e sulle cosce. Ha in mano il cubo. Riconosco la ragazza che me l’aveva dato poco prima. Ora mi fa una smorfia demoniaca, snuda i denti. Agita il cubo, e poi lo rinserra tra le gambe. Uno scarto, grosso e corpulento, la spinge via; ha un braccio solo, ma quel braccio e massiccio come un tronco d’albero. Sgrugo! gli grida lei. Proco! Sbavo! Svaniscono.
La folla brontola in modo poco rassicurante.
Gia li immagino rivoltarsi contro di noi, strapparci i vestiti, scoprire la peluria dell’umano sotto il mio travestimento alfa. Le distanze sociali non ci proteggerebbero piu.
Dai, dico a Lilith, andiamo via. Ne ho abbastanza.
No, aspetta.
Si volta verso i gamma. Alza le braccia, volge le palme all’interno, mezzo metro tra l’una e l’altra: come se volesse mostrare la dimensione di un pesce che ha preso. Poi si piega sulle ginocchia in un modo molto strano, facendo percorrere al corpo una specie di movimento a vite. Quel gesto ha il potere di calmare immediatamente la folla. I gamma fanno un passo indietro, chinano la testa umilmente al nostro passaggio. Nessun pericolo.
Adesso basta, dico a Lilith. Si sta facendo tardi. Siamo qui da un mucchio di tempo.
Si, adesso andiamo.
Passiamo per un labirinto di gallerie. Ci sfiorano gamma di mille orribili forme. Vediamo drogati ondeggiare nella loro lentissima estasi. Scarti. Piastre e solidificazioni, per quanto posso comprendere. Rumori, odori, colori, superfici… — mi acciecano e mi stordiscono. Voci lontane. Canzoni.