— Senza alcun dubbio, possedevano una cultura scientifica molto progredita. Quasi post-scientifica. Certamente post-industriale. Malcondotto era del parere che si servissero di energia nucleare, ma non ne abbiamo affatto raggiunto la certezza. Dopo il terzo o quarto giorno non abbiamo piu avuto la possibilita di controllare.
Si accorse a un tratto che lei non era affatto interessata al suo racconto. Lo ascoltava appena. Perche era venuta, allora? Perche glielo aveva chiesto? Quella storia, che era il nodo, il nucleo, l’anima del suo essere, doveva riguardarla; invece stava li con le sopracciglia contratte, fissandolo con gli occhi spalancati, senza ascoltarlo. Egli la fulmino con lo sguardo. La porta era chiusa. Non poteva fare a meno di ascoltare.
— Il sesto giorno, vennero e si portarono Via Marco.
Una increspatura di attenzione. Una incrinatura in quella superficie liscia e mollemente sensuale.
— Non dovevamo rivederlo piu. Ma intuivamo che gli avrebbero fatto del male. Lo intui, per primo, Marco stesso. Ha sempre avuto una lieve vena di preveggenza.
— Si, si, l’aveva. Un poco.
— Se ne ando. Malcondotto e io ci perdevamo in ipotesi. Passarono alcuni giorni, e quelli vennero a prendere anche Malcondotto. Marco non era tornato. Malcondotto, prima che lo portassero via, parlo con loro. Seppe che avevano condotto sulla persona di Marco una specie di… esperimento. Era stato un insuccesso. Lo seppellirono senza mostrarcelo. Poi si misero all’opera su Malcondotto.
Si accorse che lei aveva smesso nuovamente di ascoltarlo. Non gliene importa niente, si disse. Un barlume di interesse quando le ho detto come e morto Prolisse, e poi… nulla.
Non puo fare altro che ascoltare.
— Alcuni giorni. Vennero a prendermi. Mi mostrarono Malcondotto, morto. Aveva un aspetto… un po’ come il mio di adesso. Diverso. Peggiore. Io non capivo quello che mi dicevano. Era un ronzio monotono, un chiacchierio raschiante. Che suono produrrebbero i cactus, se parlassero? Mi riportarono indietro e mi lasciarono cuocere a fuoco lento, in solitudine, per un po’. Immagino che stessero riesaminando i primi due esperimenti, cercando di capire dove stava l’errore, quali erano gli organi con i quali non ci si poteva gingillare. Mi e sembrato che passasse un milione di anni, nell’attesa che tornassero. Sono tornati. Mi hanno messo su un tavolo. Elisa. Il resto, puoi vederlo tu stessa.
— Ti amo — disse lei.
— Cosa?
— Ti voglio, Minner. Brucio.
— Il viaggio di ritorno e stato solitario. Mi hanno messo nella mia astronave. In qualche modo, potevo ancora governarla. Mi hanno dato via libera. Mi sono messo in viaggio verso il nostro sistema planetario. E stato un pessimo viaggio.
— Ma hai raggiunto la Terra.
Egli prosegui: — Si, l’ho raggiunta. Quando sono atterrato, Elisa, avrei voluto parlarti; ma, devi capire, non ero libero delle mie azioni. Mi hanno preso per la gola, al principio. Poi mi hanno mollato e sono fuggito. Devi perdonarmi.
— Ti perdono. Ti amo.
— Elisa…
Lei tocco qualcosa vicino alla sua gola. Le giunture polimerizzate della sua veste resero l’anima. L’abito cadde ai suoi piedi in neri brandelli.
Tanta carne, erompente di vitalita. Ne emanava un calore da cui si sentiva sopraffatto.
— Elisa…
— Vieni, toccami. Con quel tuo strano corpo. Con quelle mani. Voglio sentire quelle cose arricciate che hai sulle mani, che mi accarezzino.
Gli era terribilmente vicina, e poi indietreggio affinche egli la vedesse interamente.
— Non e giusto, Elisa.
— Ma ti amo! Non lo senti?
— Si, si…
— Non ho altro che te. Marco e morto. Tu l’hai visto per ultimo. Sei il mio legame con lui. E sei cosi…
Egli penso: tu sei Elena.
— …cosi bello.
— Bello? Io?
L’aveva detto, Chalk… Lo aveva detto, Duncan il Corpulento, che un sacco di donne sarebbero state pronte a gettarsi ai suoi piedi.
— Per favore, Elisa, copriti.
Ora, una furia si era scatenata in quegli occhi dolci e caldi. — Non sei ammalato! Sei forte!
— Forse.
— Ma mi respingi? — Gli punto un dito addosso. — Questi mostri… non ti hanno distrutto. Sei ancora un uomo.
— Forse.
— Allora…
— Ho passato dei cosi brutti momenti, Elisa.
— E io no?
— Tu hai perduto il marito. E una cosa vecchia quanto il mondo. Quel che mi e accaduto e nuovo di zecca. Non voglio…
— Hai paura?
— No.
— Allora mostrami il tuo corpo. Togliti la vestaglia.
Egli esito. Lei conosceva sicuramente il suo colpevole segreto; l’aveva desiderata per anni. Ma non ci si mette a scherzare con le mogli degli amici, e lei era la moglie di Marco. Ora Marco era morto. Elisa lo fissava, in parte in preda a un desiderio struggente, in parte raggelata dalla collera. Elena, e Elena!
Lei gli si getto addosso.
Le rotondita carnose fremevano in uno stretto contatto, le sue mani lo stringevano per le spalle. Era una donna alta. Egli vide il balenio dei suoi denti. Poi lei lo bacio, divorandogli la bocca, nonostante la sua rigidita.
Caddero insieme. Lei aveva i neri capelli appiccicati sulle gote. Ansava, con gli occhi quasi vitrei. Gli agguanto la vestaglia.
Ci sono donne che cercano i gobbi, altre gli amputati, altre ancora che bramano i paralitici, gli sciancati, i decadenti. Elisa provava desiderio per lui. Lo invase l’ondata rovente della sensualita. La vestaglia si apri.
Ed egli si lascio guardare come era adesso.
Era una prova, ed egli prego, in cuor suo, che quella donna non la superasse. Invece no. Egli vide, su di se, le narici frementi, la pelle arrossata.
Mi ha vinto, si disse. Ma salvero qualcosa.
Aggressivamente, la afferro per le spalle, la rovescio sul letto.
E questa era l’estrema vittoria femminile: cedere nel momento del trionfo, arrendersi all’ultimo istante.
13
L’aurora dalle dita di rosa
Tom Nikolaides entro nella camera. La ragazza era sveglia e guardava, attraverso la finestra, il giardino. Egli aveva con se una piccola pianta di cactus in vaso, un brutto cactus, piu grigio che verde, armato di aculei maligni.
— Ti senti meglio adesso, vero?
— Si — disse Lona — molto meglio. Devo tornare a casa?