del male.

Il dottor Fiori lo fisso. Le roboguardie, color oro e grigio metallizzato, diventarono una visione confusa lungo le pareti mentre il carrello correva verso il Mozzo.

— Perche ve ne preoccupate? — chiese infine.

— Non me ne preoccupo affatto.

— Be’, allora…

— C’e qualcosa in tutta questa faccenda — disse Jase in tono burbero — che mi mette decisamente a disagio. Quella donna se n’e stata qui tranquilla nell’Anello Scuro, come un ragno nello spazio, per sette anni. Come mai improvvisamente attira la vostra attenzione? Mi sento a disagio perche a volte ho la sensazione che raramente le cose accadano per caso. Accadono perche un evento tira l’altro, perche l’amore, l’odio, i desideri della gente si sovrappongono costantemente, perche un lavoro incompiuto, per quanto venga dimenticato, chiede sempre di essere portato a termine. Quella donna non dovrebbe trovarsi qui. Tuttavia, visto che ce l’abbiamo messa, dovremmo avere il buon senso di lasciarla in pace. — Balzo fuori appena il carrello si fermo e diede il nome e l’impronta di tutt’e due le mani al controllo d’identita. L’apparecchiatura emise una serie di rapidi toni musicali in segno di conferma, e la porta del Mozzo si spalanco. — Almeno — aggiunse Jase — io la penso cosi. Il dottore siete voi.

Il dottor Fiori lo segui, oltrepassando la lunga parete ricurva e opaca al centro del Mozzo, dietro cui il computer principale controllava silenziosamente ogni cosa, dalle roboguardie agli impianti idraulici. L’ufficio di Jase si trovava di fronte alla porta principale della sala computer. Il direttore era abituato alle vivaci luci colorate che sostituivano il panorama esterno, sopra la consolle principale, ma il dottor Fiori le fisso per qualche istante, prima di rispondere.

— Avete opinioni ambigue, sulla detenuta.

Jase sospiro. — Ho opinioni ambigue quasi su tutto, dottor Fiori. Sapete una cosa? Sono troppo vecchio per farmene un problema. — Indico l’intercom. — Ditegli solo il vostro nome e spiegate a grandi linee il motivo della vostra presenza qui. Quello che conta e lo schema vocale. Serve all’archivio del Mozzo, nell’eventualita che si verifichi una situazione d’emergenza durante il vostro soggiorno. — Alzo gli occhi e vide che l’altro sorrideva. — Cosa c’e di divertente?

— Nulla. — Si liscio i capelli spettinati. — Sono un po’ stanco. Continuo a dire stupidaggini, e voi continuate a darmi risposte sensate. Penso che se siete interessato alla Macchina dei Sogni o a me o alla detenuta, dovreste venire a vedermi al lavoro.

Jase rimase in silenzio, sorpreso. — Forse lo faro — disse, e rimase sorpreso di nuovo, stavolta di se stesso.

Terra Viridian era seduta in un angolo della sua cella, che faceva parte del vasto alveare di celle costruito nelle enormi pareti dell’Anello Scuro. Il dottor Fiori, circondato da guardie nell’ascensore che portava alle celle esterne, guardo la parete dell’anello con gli schermi individuali che luccicavano delicatamente e che gli fecero venire in mente la bizzarra immagine di uno sciame d’insetti dalle tremule ali trasparenti pronti a spiccare il volo. Terra, dentro la cella, non notava nemmeno piu la presenza dello schermo: era semplicemente uno sfondo per le sue visioni.

Linee verticali dense e confuse dietro un fiotto di luce nebbiosa e guizzante… Lo schermo della cella svani; le dense linee diventarono umane: guardie armate di fucili. Lei le guardo senza interesse; appartenevano a un’altra visione, a un’altra dimensione. La sua mente le rendeva incorporee, linee di colore che potevano venir grattate via dall’aria e scartate.

— Terra. Terra Viridian.

Udi il suo nome come se provenisse da un’altra galassia, attraverso nuvole di polvere e risacche di spazio tenebroso senza stelle. In uno spazio sconosciuto qualcosa riposava. Avverti i confini indistinti del proprio corpo.

Rispose stancamente, senza battere le palpebre: — Si.

— Sono il dottor Arturo Fiori. Cerchero di aiutarti. Capisci?

— Si — rispose con indifferenza. I suoi occhi, enormi, drogati dalla visione, fissarono il grappolo di facce. Le parole potevano provenire da tutte o da nessuna: non aveva importanza. Le stelle presero il posto delle facce. Il sole rosso.

Le facce ritornarono, o forse non erano mai sparite. Le comparve davanti un vassoio di cibo. Qualcuno ne aveva mangiato un pochino. E poi qualcuno si era riposato, sospeso in un silenzio senza tempo, dentro una nebbia ametista.

— Per favore, vieni con me.

Si aspettava un’altra doccia, o un periodo di passeggiata in cerchio. Invece la condussero in luoghi non familiari che si insinuarono con insistenza nei suoi pensieri. Il dottor Fiori le stava parlando. Campi di forza si spensero ammiccando al suo accostarsi, porte d’ascensore si spalancarono. Cammino su o giu o di lato per Averno, cercando di ignorare il dottor Fiori, che parlava di pagnotte. Il pane non faceva parte della visione. Ne le porte spalancate, la troppa luce, il troppo movimento, qualsiasi parte dell’altra sua vita quotidiana. Della vita di Terra. Il suo respiro accelero; poteva sentire il battito del suo cuore. Batte in fretta le palpebre, innervosita, ma le pareti scure continuarono a incombere su di lei; non riusci a trovare la visione.

— Un linguaggio senza parole — disse il dottor Fiori, e lei rispose immediatamente: — Si — fermandosi cosi bruscamente che un fucile le pungolo la schiena. — Si. — I suoi occhi riacquistarono espressione. Finalmente vide il dottore, un uomo con i capelli ricci e neri piu basso di lei. E nello stesso istante ricordo che lei stessa esisteva dentro quel mondo silenzioso infinitamente pieno di curve. Aveva dita, una bocca, un nome. Come aveva fatto a finire li dentro?

— Il cielo e rosso — borbotto, ricordando.

— Alienata — mormoro una guardia. — Completamente fuori dal mondo.

— Per favore — disse il dottor Fiori. Il fucile le batte sulla spalla.

— Andiamo!

Lei si giro di scatto, terrorizzata dalla lunga camminata, da una liberta a cui non era piu abituata. — State per uccidermi? — Le guardie si fusero in un cerchio tutt’attorno, a fucili alzati. Il dottor Fiori si fece strada e le fu a fianco, dentro il cerchio. Per un istante ebbe paura, ma non della donna. Terra se ne accorse, lo capi, tenendolo avvinto nel suo sguardo nebuloso. La voce del dottore era gentile.

— Nessuno ti fara del male. Voglio cercare di capirti.

Lei lo trattenne ancora un istante. Poi il viso dell’uomo si appiatti, divenne una fotografia, una vignetta. Un ovale. La sua mente non conteneva comprensione, solo incertezza.

— No — disse lei stancamente.

— Fidati di me.

Le prese il braccio. Quel tocco umano la spinse di nuovo su spiagge pericolose: solitudine, tempo che scorreva verso un futuro vuoto, ricordi di altri contatti fisici. Si scosto da lui, fu di nuovo colta dal panico, e comincio a camminare come un automa. Il lungo tappeto grigio si muto in un sentiero serpeggiante che attraversava le stelle, e poi nella sabbia di cristallo. Si ritrasse dal mondo rifugiandosi nel silenzio.

Jase la osservava da un monitor della sala computer. Le telecamere seguivano ogni mossa della donna, dalla cella all’infermeria dell’Anello Scuro. Aveva un aspetto alieno, penso. Piu alta di Fiori di tutta la testa; nata nello spazio, ricordo, calva come un insetto, con grandi, inespressivi occhi da insetto. Osservo con attenzione, intensamente. Se a Fiori fosse successo qualcosa, e fosse circolata la voce che Terra Viridian faceva ben altro che starsene seduta nell’Anello Scuro ad aspettare la morte, si sarebbe ritrovato con le chiappe sull’Orsa Maggiore, e non voleva essere trasferito cosi lontano. La ragazza si era fermata una volta, si era girata, ed era stata presa di mira da sei fucili cosi rapidamente che aveva temuto che l’uccidessero. Si era mossa in fretta, senza preavviso. Terra Viridian uccisa durante un tentativo di ribellione su Averno. Ma anche il dottor Fiori era stato pronto a intervenire, frapponendosi alle guardie, parlando ininterrottamente. Jase sospiro di sollievo quando si rimisero in cammino: l’assassina pazza, il dottore che parlava a vanvera ma era sorprendentemente coraggioso, le sei guardie allenate a uccidere.

Aveva quasi terminato il suo turno; non vedeva l’ora di cenare e di bere una birra assieme a Sidney Halleck, l’unico momento piacevole della giornata. Era stato uno schifo: Jeri Halpren che rompeva l’anima prima di

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