all’orecchio: — Quando ha finito… Lavori troppo per farti il viaggio fino a Bensonhurst ogni sera. C’e un sacco di posto a casa mia.

Era cio per cui avrei pregato, se mai avessi pregato.

Sfortunatamente, non fu molto soddisfacente. Le pillole non avevano solo reso grigio il mondo intorno a me, avevano reso grigio anche me. Non avevo la passione, la spinta, il desiderio travolgente. Ero contento di fare quello che facevamo, ma non mi sembrava che fosse poi cosi importante, e Mitzi era nervosa e tesa.

Suppongo che coppie sposate da molto tempo attraversino dei periodi in cui entrambi sono stanchi o irritabili, o sull’orlo dell’esaurimento nervoso, come me; e quello che fanno, lo fanno perche non hanno niente di meglio da fare al momento.

In effetti, sembrava che noi avessimo qualcosa di meglio da fare. Parlavamo. A letto. Ma non erano quel genere di discorsi. Parlavamo perche nessuno di noi due dormiva bene, e perche, dopo aver fatto l’amore in maniera che di rado era molto soddisfacente, era meglio parlare che far finta di dormire, e sentire la persona vicina fingere altrettanto.

C’erano certe cose di cui non parlavamo, naturalmente. Mitzi non fece mai parola della massa sommersa dell’iceberg, le riunioni misteriose a cui non mi era permesso partecipare, e di cui neppure dovevo sapere l’esistenza. Per parte mia, non espressi piu i miei dubbi. Che la cospirazione venusiana procedesse alla giornata, era chiaro. L’avevo capito dal momento in cui Des Haseldyne mi aveva parlato di stimolazione limbale. Non ne discussi mai.

Ogni tanto pensavo alla lobotomia. Quando Mitzi gridava e si agitava nel sonno, sapevo che ci stava pensando anche lei.

Quello di cui soprattutto parlavo, erano i segreti di cui ero a conoscenza e che pensavo potessero aiutare i Venusiani: i piani dell’Agenzia, le operazioni segrete dell’Ambasciata, i dettagli della campagna nel Gobi. Ogni volta lei soffiava e diceva qualcosa come: — Un tipico esempio di brutalita pubblicitaria — e io dovevo pensare a qualche altra notizia top secret da svelarle. Avete mai sentito parlare di Sheherazade? lo ero lo stesso: raccontavo una storia ogni sera per restare vivo il giorno dopo, perche non mi ero dimenticato di quanto poco fossi indispensabile.

Naturalmente questo mi era di ostacolo in faccende piu intimamente importanti.

Ma non era solo di questo che parlavamo. Io le raccontavo della mia infanzia, e di come la mamma mi aveva fatto l’uniforme con le sue mani quando ero entrato nei Giovani Inventori di Slogan, e dei miei anni di scuola, dei miei primi amori. E lei mi raccontava… be’, mi raccontava tutto. Cioe, tutto di se stessa. Molto meno su quello che intendevano fare i miei compagni di congiura, ma del resto questo non me l’aspettavo. — Mio padre arrivo su Venere con la prima nave — diceva, ed io sapevo che mi diceva queste cose per evitare il rischio di dire cose piu rischiose.

Pero era interessante. Mitzi era ossessionata dal ricordo di suo padre. Era stato uno di, quei rivoluzionari conservazionisti, della banda di Mitchell Courtenay, che odiavano a tal punto il lavaggio del cervello e la manipolazione della gente operati dalla societa mercantile, che erano saltati dalla padella terrestre alle braci infernali di Venere. Quando mi raccontava la storia di suo padre agli inizi della colonizzazione, sembrava proprio la copia carbone dell’inferno. E suo padre non era stato un pezzo grosso. Solo un ragazzo. Il suo lavoro principale consisteva nello scavare dei buchi in cui vivere, con le mani nude, e portare fuori dalla nave i rifiuti per seppellirli, fra un turno e un altro. Mentre le squadre di operai costruivano i primi grandi tubi di Hilsch per sfruttare la risorsa piu grande di Venere: l’immensa energia dei suoi venti densi e selvaggi, papa cambiava i pannolini alla prima generazione di bambini venusiani, nel nido d’infanzia. — Mio padre — diceva Mitzi con gli occhi umidi, — non era solo un ragazzo senza alcuna specializzazione, era anche un rottame, fisicamente. Troppo cibo schifoso quando era piccolo, e qualche malformazione della spina dorsale, che non era stata curata… ma questo non gli impedi mai di fare del suo meglio!

Circa all’epoca in cui cominciarono a minare le faglie tettoniche per creare vulcani, trovo il tempo per sposarsi e generare Mitzi. Fu sempre allora che venne promosso, e poi mori. I vulcani servivano a liberare l’ossigeno e il vapore acqueo sotterranei. E da li che erano venuti gli oceani e l’aria della Terra, ma i Venusiani non potevano sprecarli come la Terra primitiva, perche non potevano permettersi di attendere il risultato per quattro miliardi di anni. Cosi i vulcani dovevano essere incappucciati. — Era un lavoro duro e pericoloso — dissi Mitzi. — E una volta che ando male, e uno dei cappucci esplose, porto con se mio padre. Avevo tre anni.

Distrutto, esausto, sfinito com’ero, mi sentii commosso. Le presi la mano.

Lei mi volto le spalle. — E questo l’amore — disse con la bocca contro il cuscino. — Ami qualcuno, e te ne verra del male. Dopo che mio padre mori, usai tutto il mio amore per Venere… non volevo piu amare un’altra persona!

Dopo un momento mi alzai,, malfermo. Lei non mi chiamo.

L’alba stava sorgendo; potevo anche cominciare un altro giorno schifoso. Misi a bollire un po’ del suo «caffe», guardando fuori dalla finestra la grande citta nebbiosa, con il suo esercito di imbroglioni, e mi chiesi cosa ne stavo facendo della mia vita. Fisicamente la risposta era facile: la stavo rovinando. Il pallido riflesso del vetro mi mostro quanto si fosse smagrita la mia faccia, quanto gli occhi fossero infossati e vuoti. Alle mie spalle Mitzi disse: — Guardati bene, Tenny. Sei uno straccio.

Be’, cominciavo ad essere stufo di sentirmelo dire. Mi voltai. Era seduta sul letto, e mi fissava. Non si era ancora messa le lenti a contatto. Dissi: — Mitzi, amore, mi dispiace…

— Sono stufa di sentirmelo dire! — scatto lei, come se mi avesse letto nel pensiero. — Ti dispiace, lo so. Sei l’essere piu spiacente che abbia mai conosciuto, Tenny! Un giorno o l’altro mi morirai sopra!

Guardai fuori dalla finestra per vedere se qualcuno, nella vecchia sporca citta, potesse fornirmi una risposta. Non c’era nessuno. Dal momento che quello che aveva detto era una possibilita molto reale, la cosa migliore pareva lasciar perdere.

Ma Mitzi non aveva intenzione di lasciar perdere. — Morirai a causa delle dannate pillole — disse furiosa, — e allora oltre alle mie dannate preoccupazioni e alla mia dannata paura, avro anche un dannato dolore.

Mi mossi verso il letto per accarezzarle le spalle nude, e calmarla. Non si calmo. Mi guardo con lo sguardo rabbioso di un gatto in trappola.

L’anestesia si stava affievolendo.

Presi il flacone e ingoiai la mia pillola mattutina, pregando che questa volta mi tirasse un po’ su, invece di stordirmi soltanto, che mi desse la saggezza e la compassione per risponderle in un modo che alleviasse il suo dolore. Saggezza e compassione non vennero. Cercai di fare del mio meglio con nello che avevo a disposizione. Dissi: — Mitzi, forse sara meglio che ci vestiamo e andiamo al lavoro, prima di dire qualcosa che non dovremmo. Siamo tutti e due un po’ stanchi; forse questa notte riusciremo a dormire un po’…

— Dormire! — sibilo lei. — Dormire! Come faccio a dormire quando ogni quarto d’ora mi sveglio e mi immagino che gli scagnozzi del Dipartimento per la Moralita Commerciale stanno buttando giu la porta?

Ebbi un brivido; avevo gli stessi incubi; pensavo sempre alla lobotomia. Con voce malferma dissi: — Non ne vale la pena, Mitzi? Ogni giorno ci conosciamo meglio.

— Ti conosco anche troppo, Tenny! Sei un drogato! Sei un relitto! Non sei neanche bravo a letto…

E qui si fermo, perche sapeva bene quanto me cosa voleva dire questo. Era una sentenza di morte. Dopo di quello, non c’era altro da dire, se non: «Fra noi e finita». E date le particolari circostanze della nostra relazione, c’era un solo modo per finirla.

Attesi le parole successive, che dovevano essere: «Esci di qui! Esci dalla mia vita!». Dopo che mi avesse buttato fuori, pensai vagamente, la cosa migliore da fare era filare dritto all’aeroporto, volare fin dove potevano portarmi i miei soldi, e perdermi fra la massa ribollente dei consumatori di Los Angeles, di Dallas, o magari ancora piu lontano. Forse Des Haseldyne non mi avrebbe trovato. Potevo starmene nascosto per qualche mese, fino a quando il colpo riusciva o non riusciva. Dopo di che, le cose si sarebbero messe ancora peggio: chiunque vinceva, avrebbe voluto certamente regolare i conti con me…

Notai che non aveva detto quelle parole. Era seduta immobile, ascoltando dei suoni lievi che arrivavano dalla porta. — Oh mio Dio! — disse disperatamente, — sono gia qui!

Era vero. C’era qualcuno alla porta dell’appartamento di Mitzi. Non la stavano abbattendo. La stavano aprendo con una chiave. Percio non erano le squadre della Moralita. Erano tre persone. Una di esse era una donna che non avevo mai visto prima. Gli altri due, erano uomini che non mi sarei mai immaginato, per tutto l’oro del mondo, che potessero entrare nell’appartamento di Mitzi in quella maniera: Val Dambois e il Vecchio.

Вы читаете Gli antimercanti dello spazio
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату
×