— Ebbene, — disse, — prima di tutto occupiamoci di Saul.

Vadim, rabbuiato, guardava dritto davanti a se. Anton accese la ricetrasmittente di bordo e si collego al servizio di pronto soccorso.

— Ambulatorio numero undici barra undici, — disse una tranquilla voce di donna.

— Abbiamo bisogno di un epidemiologo, — disse Anton. — Un uomo si e ammalato dopo una visita ad un pianeta di tipo terrestre.

Per qualche minuto la radio tacque. Poi una voce stupita chiese:

— Scusi, come ha detto?

— Vede, — spiego Anton, — il malato non era stato sottoposto al blocco biologico.

— Strano. Va bene… la sua posizione?

— Eccola.

— Grazie, l’ho segnata. Saremo li fra dieci minuti.

Anton guardo Vadim.

— Non prendertela, superstrutturalista, passera. Andiamo da Saul.

Vadim si alzo lentamente. Scesero nel quadrato e videro subito che la porta della cabina di Saul era aperta. Saul e la sua borsa erano scomparsi. Lo skorcer giaceva sul tavolino.

— Ma dov’e? — chiese Anton.

Vadim corse verso l’uscita. Il portello era spalancato. Giungeva dall’esterno il frinire dei grilli nella tiepida notte serena.

— Saul! — chiamo Vadim.

Non rispose nessuno. Vadim non sapeva che fare. Cammino un poco sull’erba morbida. Dove poteva essere andato Saul, malato com’era? Chiamo di nuovo:

— Saul!

E di nuovo nessuno rispose. Soffiava un venticello caldo che accarezzava il volto di Vadim.

— Dimka, — chiamo Anton a voce bassa, — vieni qui.

Vadim torno verso l’oblo illuminato. Anton gli tese un foglio di carta.

— Saul ha lasciato un biglietto, — disse. — L’aveva messo sotto lo skorcer.

Era un pezzo di grossolana carta grigia, coperta di ditate sporche. Vadim lesse:

«Cari ragazzi! Vi chiedo scusa per avervi ingannato. Non sono uno storico. Sono solo un disertore. Sono scappato fra voi perche volevo salvarmi. Voi non capireste. Mi era rimasto soltanto un caricatore e mi sentivo giu di morale. Ma ora me ne vergogno e torno indietro. Ma voi ritornate su Saul e fate il vostro dovere, io faro il mio. Ho ancora un caricatore intero. Vado. Addio. Il vostro S. Repnin».

— Senti, ma e proprio malato, — disse Vadim, sconcertato. — Corriamo a cercarlo!

— Leggi dall’altra parte, — disse Anton.

Vadim volto il foglio. A grosse lettere storte c’era scritto:

Al Signor Raportfuhrer Oberscharfuhrer delle SS Wirth

da parte del detenuto n. 658617 capoblocco del n. 6

Rapporto

Riferisco che, a quanto risulta dalle osservazioni da me raccolte, il detenuto N. 819360 non e il criminale comune noto come Saul, ma un ex ufficiale delle forze corazzate dell’Armata Rossa, di nome Savel Petrovic Repnin, raccolto dalle forze dell’esercito tedesco presso Rzev in stato di incoscienza. Mi risulta che stia preparando un’evasione e che faccia parte del gruppo di cui ho parlato nel mio rapporto del mese di luglio del corrente anno 1943. Riferisco inoltre che questo gruppo prepara…

Qui il testo si interrompeva. Vadim guardo Anton.

— Non capisco, — disse.

— Nemmeno io, — disse piano Anton.

Una luce violenta illumino la radura. L’elicottero sanitario Ogonek stava scendendo lentamente verso l’astronave.

— Spiega tutto al dottore, — disse Anton con un sorrisetto ironico. — Io mi devo mettere in contatto col Consiglio.

— Che cosa gli spiego? — brontolo Vadim, guardando il pezzo di carta.

Il detenuto n. 819360 giaceva bocconi, col volto immerso nel fango al margine della strada. Stringeva ancora il calcio di una Schmeisser.

— Se l’e cavata con poco, — disse con rincrescimento Ernst Brandt, ancora pallido. — Mio Dio, ho visto le schegge del parabrezza volarmi in faccia…

— Questa carogna ci faceva la posta, — disse l’Obersturmfuhrer Deibel.

Si guardarono intorno. In mezzo alla strada stava ferma l’automobile mimetizzata. Il parabrezza era andato in pezzi, dal sedile anteriore, impigliato nel cappotto, pendeva in fuori l’autista morto. Due soldati portavano via, reggendolo per le braccia, un ferito urlante.

— Deve essere uno di quelli che hanno ucciso Rudolf, — disse Ernst. Fece leva con la punta di uno stivale sotto la spalla del cadavere e lo rivolto bocconi.

— Donnerwetter, — disse. — Ma questa e la borsa di Rudolf!

Deibel, storcendo il faccione grasso, si chino, spingendo in fuori l’immenso deretano. Le guance flaccide gli sussultarono.

— Si, e la sua borsa, — mugolo. — Povero Rudolf. Salvare la pelle nella battaglia di Mosca per poi buscarsi la pallottola di un pidocchioso detenuto…

Si raddrizzo e volse lo sguardo verso Ernst. Ernst Brandt aveva una stupida faccia rubizza e lucenti occhi neri. Deibel si volto.

— Prendi la cartella, — borbotto, fissando tristemente l’orizzonte, dove, fra gli alberi, si intravedevano le grosse ciminiere dei forni crematori, che diffondevano un nauseabondo fumo grasso.

Ed il detenuto n. 819360 con gli occhi morti spalancati fissava il basso cielo grigio.

,

1

Vladimir Fedorovic Odoevskij (1803–1869) scrisse L’anno 4338 nel 1840, ma il romanzo fu pubblicato solamente nel 1926. (N.d.R.)

2

Nikolaj Fedorovic Fedorov (1829–1903), filosofo e bibliotecario moscovita, amico di Dostoevskij e Tolstoj. (N.d.R.)

3

Вы читаете Lo scarabeo nel formicaio
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату
×