trenta molluschi, venti serpenti assortiti ed altri rettili e qualcosa di marrone chiaro e bitorzoluto conosciuto come il tartufo migratorio di acquitrino klatchiano.
I suoi ristoranti vanno da quelli opulenti, in cui le porzioni sono minuscole ma le stoviglie sono d’argento, a quelli riservati, in cui si rumoreggia che alcuni dei piu esotici abitanti del Disco mangino qualsiasi cosa riescono a ingozzare a quattro palmenti.
La Casa delle Costolette di Harga, giu all’imbarcadero, non e probabilmente elencata fra i ristoranti piu illustri della citta, provvedendo, come fa, al tipo di clientela corpulenta che predilige la quantita e distrugge i tavoli se non l’ottiene. Non viene frequentata per moda o per esotismo, i clienti si buttano sui cibi convenzionali quali embrioni di uccelli senza ali, organi macinati inseriti in una pelle di intestino, fette di carne di cinghiale, semi di vegetale macinati e cotti gettati in grasso animale o, come si dice nel loro ambiente, uova, salsicce, pancetta e fette di pane abbrustolito.
Si tratta del classico genere di ristorante che non ha bisogno di un menu. Basta dare un’occhiata sul grembiule di Harga.
Eppure, bisognava ammetterlo, quel nuovo cuoco sembrava conoscere il mestiere. Harga, una specie di pubblicita vivente della sua merce ad alto tasso di carboidrati, guardava raggiante una stanza piena di clienti soddisfatti. Ed era anche un lavoratore veloce! A dire il vero veloce in maniera quasi sconcertante.
Dette un colpo sul passa-vivande.
«Doppie uova, patatine fritte, fagioli e un trollburger, senza cipolle» gracchio.
«D’ACCORDO.»
Lo sportello si richiuse e qualche secondo dopo i due piatti vennero spinti al di la di esso. Harga scosse la testa con entusiastico stupore.
Era stato cosi per tutta la serata. Le uova erano chiare e luccicanti, i fagioli brillavano come rubini e le patatine fritte erano di quella fragranza dorata dei corpi abbronzati su spiagge esclusive. L’ultimo cuoco che Harga aveva avuto aveva tirato fuori le patatine come fossero piccoli sacchetti di carta pieni di pus.
Harga si getto attorno un’occhiata nel ristorante denso di vapore. Nessuno lo stava guardando. Sarebbe arrivato a capo di questa faccenda. Busso nuovamente sul passa vivande.
«Un tramezzino di alligatore» disse. «E fallo sve…»
Lo sportello si apri di colpo. Dopo pochi secondi, Harga si fece coraggio e sbircio sotto il coperchio del lungo piatto da portata che aveva di fronte. Non avrebbe potuto dire che si trattava di un alligatore e non avrebbe nemmeno potuto dire che non lo era. Busso ancora una volta sullo sportello.
«D’accordo» disse «non mi sto lamentando, voglio soltanto sapere come hai fatto a fare tanto in fretta.»
«IL TEMPO NON E IMPORTANTE.»
«Dici?»
«ESATTAMENTE.»
Harga decise di non mettersi a discutere.
«Be’, stai facendo un lavoro maledettamente buono, ragazzo» disse.
«COME SI DICE QUANDO UNO SI SENTE CALDO E CONTENTO E DESIDERA CHE LE COSE RIMANGANO SEMPRE COSI?»
«Penso che la potresti chiamare felicita» rispose Harga.
All’interno della piccola, ingombra cucina, ricoperta da strati di grasso decennali, la Morte si girava di scatto e turbinava su se stessa, tagliando, affettando e friggendo. Le padelle balenavano attraverso il vapore rancido.
Aveva aperto la porta sulla fresca aria notturna e una dozzina di gatti del quartiere erano entrati dentro, attirati dalle ciotole di latte e carne… quelli migliori che Harga aveva, se soltanto lo avesse saputo!… che erano state piazzate in posizione strategica su tutto il pavimento. Di tanto in tanto, la Morte si fermava nel suo lavoro e accarezzava uno dei gatti dietro le orecchie.
«Felicita» disse e rimase sorpresa dal suono della sua stessa voce.
Bentagliato, mago e Reale Riconoscitore per nomina della regina, si trascino fino all’ultimo dei gradini della torre e si appoggio contro la parete, aspettando che il cuore gli smettesse di pulsare furiosamente.
A dire il vero la torre non era particolarmente alta, era soltanto alta per Sto Lat. Per la tipica progettazione e il profilo assomigliava al solito genere di torre nella quale imprigionare principesse: essa veniva pero usata principalmente per immagazzinare mobili vecchi.
Tuttavia offriva una vista insuperabile della citta e della Pianura Sto, vale a dire che si poteva vedere una impressionante quantita di cavoli.
Bentagliato arrivo fino ai merli sgretolati della torre e guardo fuori nella foschia del giorno. Essa era, forse, un po’ piu fosca del solito. Se si sforzava, riusciva a intravvedere una specie di tremolio nel cielo. Se poi impegnava a fondo la propria immaginazione, poteva sentire una specie di ronzio fuori, nei campi di cavoli, un suono simile a quello che produce qualcuno che frigge le locuste. Rabbrividi.
In un momento come quello le sue mani dettero automaticamente qualche colpetto sulle tasche e non trovarono null’altro se non un mezzo sacchetto di gelatine, squagliatesi in un ammasso appiccicoso, e un torsolo di mela. Nessuna delle due cose gli offriva una grande consolazione.
Quello che Bentagliato desiderava era cio che qualsiasi normale mago avrebbe desiderato in un momento simile e cioe qualcosa da fumare. Avrebbe potuto uccidere per un sigaro e si sarebbe potuto spingere fino ad una ferita superficiale per un mozzicone schiacciato. Cerco di ricomporsi. La determinazione era fondamentale per la fibra morale: l’unico problema era che la fibra non apprezzava affatto i sacrifici che lui stava facendo per essa. Si diceva che un mago veramente grande dovesse trovarsi costantemente sotto pressione. In quel momento si sarebbe potuto usare Bentagliato come corda da arco.
Volto la schiena al paesaggio cavolistico e si incammino lungo i gradini del percorso tortuoso fino alla sezione principale del palazzo.
Eppure, penso fra se, pareva che la campagna venisse lavorata. La popolazione non sembrava essere contraria al fatto che stesse per avvenire un’incoronazione, sebbene non avesse ben chiaro in mente chi stesse per essere incoronato. Ci sarebbe stato uno sbandieramento nelle strade e Bentagliato aveva fatto in modo che la fontana della piazza principale zampillasse, se non vino, almeno una accettabile birra ricavata dai cavoli. Ci sarebbe stata gente che ballava danze popolari, se si fossero poi trovati con l’acqua alla gola. Ci sarebbero state corse di bambini. Ci sarebbe stato un manzo arrosto. La carrozza reale era stata nuovamente dorata e Bentagliato era ottimista rispetto al fatto che la gente potesse venire persuasa a notarla mentre essa passava.
L’Alto Sacerdote del Tempio del Cieco lo avrebbe costituito un problema. Bentagliato lo aveva classificato come una cara vecchia anima la cui esperienza col coltello era talmente inaffidabile che meta delle offerte sacrificali si stancavano di aspettare e se ne andavano via. L’ultima volta che aveva cercato di sacrificare una capra essa aveva avuto il tempo di dare alla luce due gemelli prima che egli l’avesse messa a fuoco e, quindi, il coraggio della maternita si era manifestato facendole scacciare tutto il clero dal tempio.
Le probabilita che egli riuscisse a sistemare la corona sulla testa giusta, perfino in circostanze normali, erano soltanto mediocri, aveva calcolato Bentagliato: sarebbe dovuto restare personalmente accanto al vecchio e avrebbe dovuto tentare di guidare le sue mani tremolanti.
Eppure, perfino quello non era il grosso problema. Il grosso problema era molto piu grosso di cosi. Il grosso problema gli era stato gettato addosso dal Cancelliere dopo la colazione.
«Fuochi artificiali?» aveva detto Bentagliato.
«E il genere di cosa che si ritiene sappiano fare molto bene i suoi colleghi maghi, no?» aveva replicato il Cancelliere in tono secco quanto una pagnotta vecchia di una settimana. «Lampi e scoppi e che so io. Ricordo un mago, quando ero ragazzo…»
«Temo di non sapere nulla di fuochi artificiali» aveva replicato Bentagliato, con voce designata a comunicare che lui fosse molto fiero di questa ignoranza.
«Un sacco di razzi» aveva ricordato il Cancelliere con entusiasmo. «Candele di Ankh. Lampi di tuono. E cosucce da poter tenere in mano. Non sara una vera incoronazione, senza fuochi artificiali.»
«Si, certo, ma vede…»