quando c’e bel tempo vengono aperte, e il 'cornicione', che e anche il tetto del terzo piano, e piantato a fitta foresta. Riposammo per un po’ accanto a un laghetto, guardando la gente che nuotava e gettando pezzetti d’uva ai pesciolini.
Qualcosa mi aveva turbato, subliminalmente, da quando eravamo arrivati a Ginevra; e all’improvviso, circondato da tutta quella gente simpatica, capii di cosa si trattava.
— Marygay — dissi — qui nessuno e infelice.
Ella sorrise. — Chi potrebbe essere triste in un posto come questo? Tutti i fiori e…
— No, no… Intendo dire in tutta Ginevra. Hai visto qualcuno che avesse l’aria insoddisfatta di come vanno le cose? Che…
— Tuo fratello…
— Sicuro, ma anche lui e forestiero. Volevo dire i commercianti e quelli che lavorano e quelli che oziano.
Lei assunse un’aria pensierosa. — Non ci avevo fatto caso. Forse e vero.
— Non ti sembra strano?
— E insolito… ma… — Getto nell’acqua un chicco intero, e i pesciolini si dispersero. — Ricordi quello che ha detto il sergente omosessuale? Diagnosticano e correggono i tratti antisociali gia nella prima infanzia. E quale persona razionale non sarebbe felice, qui?
Io sbuffai. — Meta di costoro sono disoccupati, e l’altra meta svolge dei lavori artificiosi, che sono inutili o che una macchina potrebbe fare assai meglio.
— Ma tutti hanno abbastanza da mangiare, e una quantita di cose di cui occuparsi. Ventisei anni fa non era cosi.
— Forse — dissi. Non avevo voglia di discutere. — Immagino che abbia ragione tu. — Comunque, la cosa mi infastidiva.
24
Passammo il resto di quel giorno e tutto il giorno seguente alla sede delle Nazioni Unite (in pratica la capitale del mondo) che occupava il cilindro superiore di Ginevra. Ci sarebbero volute parecchie settimane per vedere tutto. Diavolo, sarebbe stata necessaria una settimana intera solo per visitare il Museo dell’Uomo. Ogni paese ha il suo reparto, con un negozio che vende i prodotti tipici, e qualche volta anche un ristorante che serve i piatti caratteristici. Avevo temuto che le identita nazionali venissero sommerse, che quel nuovo mondo fosse abbondante in fatto di ordine e scarso in fatto di varieta. Ero lieto di essermi sbagliato.
Marygay e io fissammo un itinerario di viaggio mentre visitavamo le Nazioni Unite. Decidemmo di ritornare negli Stati Uniti e di trovare un posto dove stabilirci, e poi rimetterci di nuovo in viaggio per un paio di mesi.
Quando mi rivolsi a Mamma chiedendole consiglio su come dovevo fare per trovare un appartamento, mi sembro stranamente imbarazzata, come a suo tempo il sergente Siri. Mi disse che avrebbe visto cosa si poteva trovare a Washington, dove sarebbe ritornata il giorno dopo; mio padre aveva lavorato la, e Mamma non aveva ritenuto di trasferirsi dopo ch’egli era morto.
Chiesi a Mike la ragione di quella riluttanza a parlare di alloggi, e lui disse che era una conseguenza degli anni caotici trascorsi tra le rivolte per il cibo e la Ricostruzione. Allora le abitazioni non erano sufficienti; la gente era costretta a vivere a due famiglie per stanza, persino nelle nazioni che erano state ricche. La situazione era instabile e alla fine erano entrate in scena le Nazioni Unite, prima con una campagna propagandistica, e poi con il condizionamento di massa, imponendo l’idea che era una virtu vivere in un’abitazione piccola il piu possibile, e che era peccaminoso gia desiderare vivere soli o in un’abitazione molto spaziosa. E cosi nessuno ne parlava.
Molti avevano ancora un residuo di condizionamento, sebbene fossero stati disintossicati oltre un decennio prima. In molti ambienti sociali era giudicato scorretto, imperdonabile o troppo ardito parlare di simili cose.
Mamma ritorno a Washington e Mike sulla Luna, e Marygay e io restammo a Ginevra ancora per un paio di giorni.
Scendemmo dall’aereo all’aeroporto Dulles e prendemmo la monorotaia per Rifton, la citta satellite dove abitava Mamma.
Era piacevolmente piccola, dopo Ginevra, sebbene si estendesse su di un’area molto piu vasta. Era un simpatico miscuglio di edifici di tipo diverso, quasi tutti a pochi piani, circondati dagli alberi e disposti intorno a un lago. Tutte le costruzioni erano collegate a mezzo di marciapiedi mobili con l’edificio piu grande, una cupola dove c’erano i negozi, le scuole e gli uffici. Li trovammo una guida che ci disse come dovevamo fare per arrivare a casa di Mamma, un duplex sul lago.
Avremmo potuto salire sul marciapiede mobile coperto, ma invece andammo a piedi, costeggiandolo, nella buona aria fredda che odorava di foglie cadute. Al di la della plastica la gente scivolava via sul suo marciapiede, evitando scrupolosamente di guardarci.
Mamma non venne ad aprire la porta, ma scoprimmo che non era chiusa a chiave. Era un appartamentino comodo, molto spazioso in confronto alle cabine delle astronavi, e pieno di mobili del Ventesimo secolo. Mamma dormiva in camera da letto, e Marygay e io ci sedemmo in soggiorno e leggemmo, per un po’.
All’improvviso ci fece trasalire un forte attacco di tosse: veniva dalla stanza da letto. Corsi a bussare all’uscio.
— William? Non sapevo… — Tossendo. — Vieni avanti, non sapevo che fossi…
Era semisdraiata sul letto, con tanti cuscini, la luce accesa, circondata da varie panacee. Aveva un aspetto orribile: era pallidissima, tutta rughe.
Accese una sigaretta drogata, che sembro calmare la tosse. — Quando sei entrato? Non sapevo…
— Solo pochi minuti fa… Da quando ce l’hai… Da quando sei ammalata…
— Oh, e solo qualcosa che devo aver preso a Ginevra. Mi rimettero in un paio di giorni. — Ricomincio a tossire, bevve un po’ di denso sciroppo rosso da una bottiglia. Tutte le sue medicine sembravano del tipo comune, commerciale.
— Hai chiamato un dottore?
— Un dottore? Santo cielo, no, Willy. Loro non… non e grave… Non…
— Non e grave? — A ottantaquattro anni. — Per amor di Dio, Mamma.
Andai al telefono, in cucina, e con qualche difficolta riuscii a mettermi in contatto con l’ospedale.
Nel cubo si formo una ragazza dall’aria scialba, sulla ventina. — Infermiera Donalson, servizio pubblico. — Aveva un sorriso fisso, un’aria di sincerita professionale. Ma, se e solo per questo, sorridevano tutti.
— Mia madre ha bisogno di un medico. Ha un…
— Nome e numero, prego.
— Bette Mandella. — Dettai il nome lettera per lettera. — Quale numero?
— Quello del servizio medico, naturalmente — sorrise la ragazza.
Chiamai Mamma e le chiesi qual era il suo numero. — Dice che non lo ricorda.
— Non importa, signore. Trovero lo stesso il fascicolo. — Sposto il suo sorriso a una tastiera che aveva accanto a se, e batte qualcosa.
— Bette Mandella? — disse, mentre il sorriso diventava interrogativo. — E lei e suo figlio? Sua madre deve avere passato gli ottant’anni.
— Per favore. E una storia lunga. E mia madre ha veramente bisogno di un medico.
— E uno scherzo?
— Cosa vorrebbe dire? — Ancora una tosse strangolata, dalla camera da letto, ancora peggio. — Davvero… puo essere una cosa molto grave, bisogna…
— Ma, signore, Mrs. Mandella ha avuto una classificazione di priorita zero fin dal 2010.
—
— Si-gno-re… — Il sorriso si induri.
— Senta. Faccia finta che io arrivi da un altro pianeta. Che cos’e una 'classificazione di priorita zero'?
— Un altro… oh! Io la conosco! — Guardo fuori campo, verso sinistra. — Sonya… vieni un secondo. Non indovineresti mai chi… — Un’altra faccia comparve nel cubo: una bionda svampita il cui sorriso era identico a