di dirgli chi dei tre faceva volare le matite.

Lei lo sapeva.

Solo allora si ricordo anche del coltello sul tavolo. Perche l'aveva riportato nell'appartamento dei Rosen? Che cosa era andata a fare nel seminterrato?

Robert Riccalo si era ritirato dietro le pagine finanziarie del suo giornale, che lasciava visibili solo le gambe dei pantaloni e il cuoio verde della poltrona.

La sua poltrona era una specie di trono, piu alta rispetto ai cuscini del divano sui quali era appollaiata sua moglie. Justin sedeva in una poltroncina adatta a un bambino piccolo.

Il fruscio del giornale di Robert Riccalo si mescolava al chiacchiericcio della televisione, che trasmetteva lo spot di un ammorbidente. Ogni grugnito o sospiro proveniente dal trono richiamava gli occhi di Justin al di sopra del libro che stava leggendo. Tutte le volte che alzava lo sguardo, incrociava lo sguardo della matrigna fisso su di lui: trovava Justin mille volte piu interessante della televisione.

Quando udirono il rumore di vetro in frantumi nella stanza vicina le tre teste si girarono nella stessa direzione. Robert Riccalo guardo il figlio, seduto sulla poltrona scricchiolante. Sally Riccalo era rigida come una tavola, eretta sul bordo del cuscino del divano, gli occhi fissi in direzione del rumore.

Robert Riccalo giunse per primo in sala da pranzo. Sul pavimento di marmo frammenti di vetro blu. Quattro dei cocci piu lunghi erano allineati in una sorta di freccia che puntava in direzione della stanza da cui era appena uscito. Dietro di lui, sua moglie emise un penoso squittio.

Justin fu l'ultimo a entrare, mentre il primo frammento di vetro si spostava lentamente lungo il pavimento, verso Sally Riccalo. Lei era immobile, come paralizzata. Poi si riscosse e puntando il dito verso Justin, urlo: «E lui, e lui che mi sta facendo questo. Vuole uccidermi! E lui». Robert Riccalo si giro verso il figlio, mentre la tempesta gli si andava addensando negli occhi.

Justin si allontano di corsa dalla sala da pranzo precipitandosi lungo il corridoio verso la sua stanza. Chiuse la porta a chiave e prese a spingervi contro i mobili, con fatica.

«Justin!» tuono suo padre. «Justin!» Le urla si stavano avvicinando. «Justin!» La maniglia si mosse. Poi Justin senti l'omone girare sui tacchi e i suoi passi svanire alla ricerca della copia della chiave. Robert Riccalo torno e infilo la chiave nella serratura.

Justin arretro verso la parete alle sue spalle mentre la porta scricchiolava contro il cassettone e il pesante mobile cominciava a muoversi lento e implacabile verso di lui.

Fu il bambino di cinque anni ad attrarre la sua attenzione quando grido, pieno di rabbia: «Voglio vedere il corpo!» e ora anche Mallory voleva vedere. Si diresse verso il gruppo di pedoni raccolti sul marciapiede antistante l'edificio vicino. Il bambino sferro un calcio alla gamba di una donna che lo teneva per un braccio. La donna era di colore. A giudicare dall'uniforme, apparteneva a una classe sociale diversa da quella del ragazzino.

«Non ci vado, dentro» diceva il bambino, con il minuscolo pugno serrato.

In quel momento noto il lungo cappotto nero di ottima fattura. A indossarlo era un uomo che toccava il corpo con la punta di un ombrello.

«E morto?» chiese la donna che gli stava vicino, arretrando. «E per questo che puzza?»

«No» disse un'altra donna. «Puzzano tutti cosi anche da vivi.»

Mallory si fece largo nel gruppetto. Gli occhi dell'uomo erano chiusi come se dormisse, e non c'era traccia di shock sul volto sudicio, ne di risentimento per l'ombrello che lo punzecchiava. Perche era morto. La bottiglia al suo fianco, il fiotto di vomito e i vestiti laceri raccontavano la sua storia. Si era infilato tra i cespugli in piena notte ed era morto di freddo, troppo ubriaco per cercarsi un rifugio migliore. O forse era morto soffocato dal suo stesso vomito. Il portiere del terzo turno, il cui lavoro nella vita era cacciare i poveri, con ogni probabilita stava dormendo o leggendo il giornale quando l'uomo si era spinto fin li in cerca di un riparo dalla neve della notte precedente.

Il bambino adesso stava guardando Mallory. «Il portiere chiamera il camion della spazzatura, come ha fatto per il cane?»

«Quale cane?»

Felice e con l'aria del cospiratore, il bambino disse: «Ho visto uccidere un cane. E successo proprio qui». Puntava il dito verso il bordo della strada. «Ero di sopra…»

«Di sopra dove?»

La tata si avvicino. «Abita al decimo piano. Continua a parlare di quel cane, ma non credo che possa aver visto…»

«Io l'ho visto! E non ero al decimo piano. Dice cosi solo perche i miei genitori non vengano a scoprire che in quel momento non ero sorvegliato» disse il bambino. Chiaramente teneva la tata in pugno.

«Ero nel corridoio, al terzo piano» disse. «Ho guardato giu, e l'uomo stava ammazzando il cane.»

«Come?»

«Lo ha strangolato. Il cane tirava il guinzaglio, e penso che all'uomo non piacesse. Ha sollevato il cane per il collare. Lo ha sollevato in aria, e il cane continuava a scalciare. Poi ha smesso di muoversi. Era morto. Lui ha sbattuto il corpo per strada con un calcio. Volevo andare a vedere il corpo, ma il portiere non mi ha lasciato. Ha detto che presto il camion l'avrebbe portato via».

«Quando e successo?»

«Non lo so.»

Mallory si volto verso la tata. «Quando e successo?»

La tata si strinse nelle spalle. «Non e mai successo. Si inventa tante di quelle storie.»

«Non e vero, non e vero!» strillo il bambino con un altro calcio ben assestato alla gamba della donna.

«Forse dovrei parlare con il portiere o con i suoi genitori» disse Mallory.

«E stato il diciannove» disse la tata precipitosamente. «Il giorno in cui e piovuto.»

Ma ne il portiere ne il ragazzo furono in grado di descrivere il cane. Mallory era sempre piu convinta del fatto che il mondo sarebbe stato un posto migliore senza la confusione creata dai testimoni oculari.

La porta dei Rosen era aperta. Mallory passo il sacchetto della spesa sull'altro fianco ed estrasse la pistola. Con la pistola nascosta dal sacchetto, spinse la porta ed entro nell'appartamento.

Il custode era nel soggiorno. Altri due passi silenziosi e Mallory scorse Angel Kipling intenta ad aprire la porta dello studiolo.

«Cerca qualcosa?»

Il custode si volto.

«Oh, signorina Mallory, scusi l'intrusione, ma la signora Kipling era sicura di aver sentito un grido provenire da questo appartamento.»

«Dev'essere stato il gatto» disse Angel. «Sicuro. Dev'essere stato lui. Lo tiene sempre chiuso li dentro?»

«Il bagno e grande. Non voglio che sparga peli sui mobili dei Rosen.»

Quando il custode ebbe richiuso la porta dietro di se continuando a scusarsi, la donna si rivolse a Mallory.

«Abbiamo ricevuto il suo messaggio.»

«Quale messaggio?»

«Non faccia la furba. Ho visto l'attrezzatura la dentro.» La signora Kipling accenno alla porta spalancata dello studio.

«Allora, cosa vuole? Quanto?»

«In cambio del mio silenzio?» Sfortunatamente le telecamere non erano in funzione, e comunque qualunque cosa Angel avesse detto, non avrebbe potuto essere usata contro il marito. «Preferirei trattare direttamente con suo marito.»

«Si da il caso che nel mio matrimonio io sia il marito.»

Avanzando in direzione di Mallory, Angel Kipling apri la bocca per continuare a parlare, ma poi perse le parole, o cerco di trovarne di piu adeguate. La donna arretro come il gatto quando lo sguardo di Mallory diceva 'Ora basta'. Cammino come un'automa fino alla porta e se la sbatte dietro.

Mallory ando in cucina e poso il sacchetto. Appoggio la pistola sul bancone e ripose gli alimenti. Squillo il telefono. Mise via il burro e richiuse la porta del frigorifero sul secondo squillo. Raggiunse l'ingresso senza affrettarsi. Il gatto stava raspando sul vetro dell'acquario, sovreccitato alla vista dei pesci che nuotavano, incapace

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