loro carabine e portano la pesante sacca di tela dei fucili da caccia.

La luogotenente continua a chiacchierare: indica specie di alberi, arbusti e uccelli, parla di caccia come se ne sapesse molto, raccoglie impressioni su come tu e io dobbiamo aver vissuto in tempi piu pacifici. Tu ascolti; non mi volto, ma immagino di sentire i tuoi cenni di assenso. Il sentiero e ripido; risale attraverso gli alberi e sulla cresta alle loro spalle, poi segue quasi sempre il corso del torrente che alimenta il fossato del castello, attraversandolo piu volte su piccoli ponti di legno che valicano burroni profondi e buie fenditure della roccia, dove l’acqua romba luminosa sul fondo e il cielo sopra di noi e uno specchio brillante spezzato dai rami nudi degli alberi. Il fango e lo strato di foglie decomposte rendono incerto ogni appoggio, e spesso ti sento scivolare, ma la luogotenente ti afferra, ti sorregge, ti aiuta a proseguire, ridendo e scherzando senza sosta.

Sempre piu in alto. Guido il drappello fuori dai nostri boschi e in quelli di un vicino; se questa farsa deve proprio cominciare, almeno non sara sulle terre che un tempo erano nostre.

La luogotenente fa una gran scena e insiste perche anche a noi tocchi un fucile: te ne mette uno fra le braccia, ne porge uno a me. Devo aprirlo per controllare che non sia gia carico. I due soldati a cui lei aveva fatto portare i fucili restano indietro, con le loro carabine pronte — noto che hanno tolto la sicura. La luogotenente si carichera da sola la sua doppietta — era delusa del fatto che non avessimo quegli arnesi a pompa — ma noi ci troviamo nella condizione privilegiata di avere ciascuno un aiuto: i soldati ricaricheranno per noi.

Su un’alta cresta di brughiera, la luogotenente si erge statuaria, impugnando un binocolo: scruta la pianura, il fiume, la strada, il castello lontano, si cerca una preda. «Laggiu», dice. Passa il binocolo a te. «Vede il castello? Vede la bandiera?»

Il tuo sguardo vola sul paesaggio e si ferma; annuisci lentamente. Indossi una giacca da caccia, una gonna pantalone scura, un comodo cappello e gli stivali; la luogotenente sfoggia la sua mimetica, ma con un cappello da cacciatore. Io ho pensato di mettere un vestito piu adatto a un informale ricevimento da pomeriggio che a una battuta di caccia sulle colline, ma la nostra brava luogotenente non sembra aver notato la mia leggera stravaganza. In questo punto sopraelevato la nostra assurdita viene messa a nudo; facciamo una tal fatica per trovare piccole stupide creature da ammazzare, quando tutt’intorno — nella pianura, entro le colline piu basse, nei paesi e nelle citta piu lontane, in ogni luogo in cui la carta indica un insediamento umano — ci sono le prove piu evidenti di atrocita e di una smisurata moltiplicazione di macellai imbrattati di sangue: bersagli piu adatti, avrei pensato, dato che non richiedono scuse, nessun elaborato e artificiale surrogato dell’ira per trasformarli in prede.

«Shhh!» fa la nostra luogotenente, toccandosi appena la testa. Ci mettiamo tutti ad ascoltare, e sentiamo, sopra il vento che cambia direzione, trasportati in sordina attraverso le cime degli alberi, i borborigmi, i rumori cupi e per meta avvertiti attraverso le vibrazioni del terreno, di una lontana artiglieria pesante.

«Lo sentite?» dice la luogotenente.

Tu annuisci. Lo stesso fa lei, pensosa. Quel lento battito ci cade addosso: due immense mani che applaudono, la terra cava e l’aria sonora che rimbombano insieme. La luogotenente si riprende il binocolo e interroga con quegli occhi grigi e freddi le terre distese sotto di noi, facendo scorrere lo sguardo su di esse, cambiando di continuo direzione, cercando invano l’origine di quello spettrale bombardamento.

«Oltre le colline, molto distante» dice sottovoce. Alla fine il rumore svanisce, sospinto su qualche invisibile superficie entro la portata del vento. La luogotenente scrolla le spalle e ritorna alle sue intenzioni originarie, punta il margine di una fitta foresta lungo il fianco della collina e ci ordina di puntare tutti in quella direzione. Ben presto ci troviamo davanti al bosco: un muro verde scuro a meta del pendio.

Non riesco a immaginare che possiamo trovare proprio li qualcosa a cui sparare; avevo cercato di rimanere il piu possibile sul vago, mentre la luogotenente pianificava questa spedizione. Non mi ero pronunciato su cosa c’era da cacciare e dove, sostenendo di essermi sempre affidato ai fedeli servigi di un dipendente che da tempo ci aveva lasciati perche mi mostrasse dove appostarmi per puntare il fucile, anche se avevo buttato li che questa non fosse la stagione migliore per cio che aveva in mente la luogotenente. Avrebbe preferito cervo, cinghiale o pecora?

Eppure, quando arriviamo a una piega fra le colline dove la foresta fa una V poco profonda, ci imbattiamo in uno stagno e in un intero stormo di piccoli uccelli che si abbeverano; un qualche tipo di fringuelli, penso. La luogotenente ci invita a stare pronti, controlla che i suoi uomini guardino noi e non la preda, poi spara i primi colpi quando le creature sono ancora troppo lontane e a terra. Gli uccelli si alzano in volo e roteano, si disperdono e poi si raggruppano mentre lo stormo si leva nel cielo. La luogotenente urla e scavalca una siepe, ricaricando in corsa. Tu e io ci guardiamo negli occhi. Anche le nostre scorte si scambiano un’occhiata, senza sapere cosa fare. Gli uccelli volano in cerchio, e ci sorpassano, mentre la luogotenente, ormai sotto di loro, spara di nuovo. Anche tu alzi il fucile e spari. Io no. Due nuvole di piume nell’aria e due corpi che precipitano a spirale segnalano un certo successo.

«Venite!» grida la luogotenente mulinando le braccia. I suoi battitori si fanno avanti; uno mi tocca sulla schiena col fucile. Procediamo, mentre lo stormo fugge seguendo la discesa del pendio; la luogotenente spara ancora e un altro corpicino sussultante cade sull’erba a ciuffi. Ricominciano intanto i colpi sordi di quella lontana artiglieria pesante, mentre la luogotenente scorge alcuni scoiattoli che si arrampicano su un albero vicino; apre il fuoco contro quei bersagli minuscoli e mette fine al loro comico zampettio con una piccola esplosione di rami, foglie, aghi, pelo e sangue. Quando la raggiungiamo ai margini di un boschetto lei sta scalciando un arbusto spinoso e ricarica la doppietta; e rossa in viso, il suo respiro e veloce.

«Verbale, raccogli gli uccelli che prendiamo, d’accordo?» Uno dei soldati torna indietro arrancando per recuperare i trofei conquistati dalla luogotenente. «Ma come…?» comincia, poi si calma e alza una mano. «Verbale, giu!» sibila. Il soldato che sta raccogliendo gli uccelli morti si abbassa, obbediente come un vero cane da caccia. Un altro stormo di uccelli sta volando in cerchio, piegando verso la discesa da un passo sulle montagne; rotea e picchia sopra lo stagno, un’unica entita di ronzanti puntolini bruno-nerastri, come uno sciame racchiuso in un’immensa sacca invisibile, dai bordi elastici, che si espande e cambia forma, si fende, si fende un’altra volta e infine, con un ultimo slancio, si posa. La luogotenente getta un’occhiata verso di noi, annuisce e poi spara.

I pallini esplodono sull’acqua dello stagno, sollevando migliaia di piccoli spruzzi in mezzo al disperato battito d’ali dello stormo terrorizzato.

La luogotenente mi fissa, corruga per un attimo la fronte e poi sorride. «Cattiva forma, eh, Abel?» grida. Apre il fucile, e saltano fuori le cartucce fumanti. «Ma un gran divertimento!» conclude, e scoppia a ridere. Aspetto finche gli uccelli sono in volo, poi sparo per mancarli, troppo basso. Tu ne prendi un altro paio. La luogotenente, sempre ridendo, ha il tempo di ricaricare prima che lo stormo riesca a fuggire; i suoi bersagli volano sopra di noi, e i colpi di fucile fanno cadere una grandinata di foglie e rametti che picchiettano su se stessi. Fra di loro cadono anche gli uccelli moribondi, un minuscolo detrito di morte in mezzo agli echi e ai rimbombi — anche se penso che la luogotenente non li senta — del piu grande conflitto nel mondo sotto di noi.

Un’attesa eccitata, nascosti al limitare del bosco, poi appare un altro volo d’uccelli. Comincio a chiedermi se non e la stessa massa di idioti a ritornare ogni volta, con la memoria troppo corta per ricordare le recenti perdite, ma questo stormo e piu grosso di quelli che abbiamo visto finora e credo che la luogotenente si sia imbattuta nella rotta seguita da questa specie nella loro migrazione verso sud all’inizio dell’inverno, lungo queste alte vallate.

La luogotenente si alza in piedi, spara, avanza e spara di nuovo, abbattendo altri uccelli; tu ne colpisci un altro prima che lo stormo si disperda. Imbraccio il fucile aperto; nessuno pare accorgersene.

Gli uomini della luogotenente raccolgono i corpicini e li infilano in una vecchia sacca per le cartucce. Tu chiedi permesso, e ti inoltri nella foresta scura alle nostre spalle. La luogotenente, senza fiato per l’eccitazione, ti guarda sorridendo, poi si volta verso di me.

«Cerchi di partecipare, Abel», dice con un sorriso a labbra strette, fissando il mio fucile. «Non bisogna fare i pesi morti, in queste uscite, no?»

«Mi sembrava che stesse facendo cosi bene lei», le dico, in malafede. «Mi sento completamente superfluo.»

Le sue labbra si increspano per un istante. «Certo. Ma non sta bene, non e vero? Bisogna fare uno sforzo.»

«Davvero?»

Lei da un’altra occhiata nella tua direzione. «Morgan sta facendo del suo meglio; mi sembra che si diverta, per quello che posso capire.» Corruga la fronte.

«E docile di natura.»

«Mmm», fa la luogotenente, annuendo, sempre cercandoti con gli occhi. «E molto silenziosa, vero?»

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