«Quando pensa ad alta voce», dico alla luogotenente, con un sorriso educato.

Penso proprio di averla presa alla sprovvista. Poi esce in una risata leggera. «Be’, accidenti», dice sottovoce, «lei e molto aspro.»

Fisso anch’io le cupe profondita marine degli alti tronchi dove sei scomparsa tu. «Qualcuno apprezza un po’ di asprezza», le dico.

Ci pensa un attimo, poi trae un sospiro profondo. «Davvero? Un debole per l’asprezza?» Alza gli occhi e scruta il cielo. «Allora ci sara in giro un sacco di gente soddisfatta, di questi tempi.»

Apre il suo fucile, fa saltar fuori le cartucce, ne inserisce con cura altre due. «Bene», dice, richiudendo di scatto il fucile con una mano sola. Io sbatto le palpebre. «Voi due siete sposati? E sua moglie?»

«Non esattamente.»

Sempre tenendo il fucile con una mano sola, mira lungo la canna puntando al suolo. «Ma in pratica.»

«Gia. Anzi, e una relazione piu intima di qualunque altra.»

Credo che la luogotenente vorrebbe continuare con le domande, ma in quel momento ritorni tu, con un sorriso timido e gli occhi bassi, e imbracci di nuovo il tuo fucile. In alto appare uno stormo piu piccolo, del tutto ignaro.

Spariamo ancora un po’. Io continuo a puntare per sbagliare, tu hai qualche successo ma non sei mai stata una buona doppietta, mentre la luogotenente sembra essersi scoperta un talento particolare, e fa cadere uccelli morti e moribondi sulle rive dello stagno.

«Come tiratore mi sembra molto scarso, Abel», mi dice con la faccia severa, mentre i suoi uomini recuperano il suo bottino. «Davo per scontato che fosse molto meglio.» Brandisce la sua doppietta. «Tutti questi fucili erano per gli altri? Lei non andava mai a caccia?»

«Sono abituato a bersagli piu grossi», le dico, e in effetti e la verita.

«Anche Eros.» Sorride a uno dei soldati. «Facciamo provare anche a lui.»

Devo cedere il mio fucile. Il soldato — un giovane rigido, dall’aria goffa, con una faccia dieci anni piu vecchia della sua corporatura — ha bisogno di un po’ di istruzioni, ma poi si abbandona al divertimento. Il suo compagno continua a ricaricarti il fucile. Il sacco pieno di cadaveri piumati mi viene ficcato in mano e sono costretto a occuparmi della raccolta dopo la loro caccia.

«Bene, Eros!» La luogotenente da istruzioni mentre siamo in attesa tra due ondate di uccelli. «Eros si sta comportando molto bene, non le pare, Morgan?» Il tuo breve sorriso potrebbe essere assente. «Molto bene per un uomo ferito. Mostrale le tue cicatrici, Eros.»

Il giovane soldato ha un’aria esitante mentre scopre una spalla — per fortuna non quella che subiva il rinculo del fucile — e ti mostra un bendaggio sudicio. «E il resto? Non essere timido, su!» ringhia la luogotenente, quasi sprezzante, dando una sculacciata al ragazzo.

Il soldato deve sbottonarsi i pantaloni, se li cala fino alle ginocchia e arrossisce. Un altro voluminoso bendaggio attorno a una coscia (non avevo nemmeno notato che zoppicasse, anche se, adesso che ci penso, mi rendo conto che si, zoppicava). Le mutande sono anche piu grigie delle bende, e adesso la sua faccia e piu scura delle une e delle altre. Comincio a provare pieta per lui.

«A un pelo da qualcosa d’altro la sotto, eh, Eros?» dice la luogotenente strizzando l’occhio. Il giovane fa una risata nervosa e si riveste velocemente. Tu hai guardato da un’altra parte. «Eros se l’e cavata per un soffio», ti dice la luogotenente, scrutando il cielo in cerca di nuovi divertimenti. «Shrapnel, vero, Eros?» Il ragazzo soldato grugnisce, sempre imbarazzato. «Granata», ci informa la luogotenente. «Magari e stata sparata da uno di quei cannoni che sentiamo adesso», dice stringendo gli occhi, con il naso levato nella direzione del vento. I due soldati sembrano confusi e tu non hai nessuna reazione. Io mi concentro, e c’e infatti, lo sto sentendo di nuovo, quel rullio distante, quasi impercettibile, dell’artiglieria lontana. «Ah…» sospira la luogotenente, mentre un’altra macchia confusa di minuscoli uccelli si precipita incontro a noi dalle montagne e rotea sopra lo stagno.

Alcuni, solo feriti, cadono sbattendo un’ala, intrappolati in una confusione di foglie cadute ed esplose fino ad atterrare ai tuoi piedi: quando colpiscono il suolo cinguettano e si agitano con eccentrica preoccupazione di se, solo per essere calpestati.

Quando eri piu giovane, ti saresti messa a piangere a sentire un simile scricchiolio di minuscoli crani. Ma hai imparato a distogliere lo sguardo e a controllare il tuo fucile o, in mezzo ai fili di fumo che si arricciano grigi attorno ai tuoi capelli raccolti a crocchia, ad aprirlo e ricaricare.

Ah, quanto ti ho desiderata in quel momento; ti volevo per la notte, senza aspettare che ti lavassi, per meta vestita, in un viluppo di abiti e tappeti e stivali e cinture, divorato da un fuoco impaziente mentre l’odore di quel fumo di cartuccia indugiava cupo sulla tua pelle e nei tuoi capelli scomposti.

Non sarebbe stato cosi. Dopo avermi assegnato la dignita di cane per il resto di quella battuta di caccia, e avermi fatto riempire due sacche di bottino, la luogotenente mi avrebbe ordinato di andare a letto presto come un bambino ribelle, appena arrivati al castello.

Doveva essere a causa della mia trasgressione, ritengo. Tra cane da caccia e bambino, sono diventato per un po’ una bestia da soma: mi viene ordinato di portare le pesanti sacche, calde di uccelli morti, e un fucile aperto, per tutta la ripida discesa fino al castello.

Dietro di me, la luogotenente continua a parlare, intrattenendoti con la sua vita; un’altra famiglia a pezzi. Un misero avvio, in tempi meno tormentati, modeste vittorie a scuola e nello sport su cui si fonda un barlume di considerazione di se e che conducono a una lotta lenta e determinata per innalzarsi dal resto del gregge. Poi un periodo in qualche universita e poi — grazie alla timida spinta di una delusione d’amore — la decisione di arruolarsi, qualche tempo prima dello scoppio delle presenti ostilita.

Insomma, una di quelle persone per le quali simili disordini sono in verita una liberazione, dato che portano a edificare un carattere individuale nel teatro di questa piu vasta rovina; un piccolo vortice di creazione in questi tempi cosi ferocemente corrosivi. La nostra luogotenente e uno spirito liberato dal riordino implicito in questo generale disordine; una beneficiaria, almeno fin qui, del conflitto. Cio che ha trascinato al fondo noi ha fatto emergere lei e, nel castello, ci incontriamo, specchiandoci gli uni nell’altra, e forse ci diamo il cambio.

Mi piacerebbe ascoltare qualcos’altro della storia di colei che ci ha fatti prigionieri, ma cogliendo l’occasione faccio cadere il mio prezioso carico. Sul primo ponte che attraversa il torrente scivolo e mi afferro al parapetto sguisciante, e lascio che le sacche rigonfie mi sfuggano, insieme al fucile, cosi che tutto il bottino della luogotenente se ne vola verso le rapide piu sotto. Il fucile sparisce in silenzio, il suo tonfo si perde nell’infinito flusso schiumante del ripido torrente. Le sacche cadono piu lentamente, finiscono in un gorgo e lasciano uscire i loro morti. Gli uccelli nuotano fuori, la schiuma si riempie di penne e piume, piombo e carne, e gli uccelli, fradici, fluttuano e girano in cerchio e si allontanano e fuggono via nel torrente, quasi fosse una corrente d’aria.

Mi alzo con lentezza, e mi asciugo la melma verde che ho sulle mani. La luogotenente mi raggiunge, con una faccia torva. Da un’occhiata, oltre la balaustra del ponte, al torrente rombante e vorticoso che sta portando via tutto il suo bottino. «Che sbadataggine, Abel», mi dice attraverso labbra simili a una ferita grigio-rosa e denti poco inclini a separarsi.

«Probabilmente ho messo le scarpe sbagliate», le spiego, con aria di scusa. Lei abbassa gli occhi sulle mie grosse scarpe marroni; hanno a prima vista un’aria ragionevolmente rustica, ma le suole sono poco adatte a questo terreno.

«Forse», dice. Credo proprio di aver paura di lei, solo per un istante. Potrei credere che sia capace di farmi un buco nella pancia con la doppietta, o di ficcarmi in testa una pallottola della sua pistola, o semplicemente di ordinare ai due soldati di gettarmi oltre il parapetto di legno. Invece lancia un’ultima occhiata al punto in cui gli uccelli spariscono fra le rocce e, quando li ha persi di vista in quelle rapide, ordina ai soldati di darmi la sacca dei fucili. «Questi non li perderei, Abel», dice con un tono quasi triste. «Sul serio.» Si volta. «Stai attento al nostro amico», dice al soldato dietro di me. «Non vorremo certo che scivoli di nuovo. Sarebbe una cosa proprio terribile. Vero, cara signora?» ti chiede mentre ti oltrepassa. Andiamo avanti, e lasciamo il rombo del fiume sepolto nel suo abisso.

Sono rinchiuso in una camera alta e mai usata, una palude interrata nel piano piu alto della torre orientale. E ingombra di tutta la schiuma della nostra vita, come la soffitta dalle dolci memorie. Le finestrelle sono quasi tutte infrante, e i davanzali ricoperti di guano. I vetri rotti lasciano entrare la pioggia gelata; cerco di tappare i buchi con vecchie tende. Accendo nel caminetto un fuoco intermittente con volumi rilegati di vecchie riviste dalle pagine ingiallite, alcune delle quali trattano di caccia e di altre materie rurali; mi sembra molto appropriato. Il tema continua. Non posso credere che la brava luogotenente abbia memorizzato in un solo giro tutte le stanze del

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