Io non capisco la loro guerra, non so chi combatte chi, per che cosa e perche. Potremmo essere in qualunque luogo, in qualunque epoca, e ogni causa porterebbe gli stessi risultati, la stessa fine, che si vinca o che si perda.

Osservo il campo, finalmente appropriato alla loro natura: i soldati sono tranquilli o sbuffano, attizzano un fuoco, fumano le rinsecchite sigarette della luogotenente, trangugiano il loro bottino, controllano le armi o stanno con le donne.

Devo essere troppo tollerante, ho il sospetto, perche la verita e che provo pieta per questi bruti. Adesso mi uccidono ma moriranno poco dopo, torcendosi sulla terra intrisa del loro sangue senza una luogotenente pronta a baciarli sulla bocca e finirli rapidamente; o vivranno mutilati, o in un ospizio, con un fantasma di dolore che aleggera per sempre intorno al ricordo abbreviato della carne, o si porteranno le ferite ancora piu in profondita, nell’oscurita abissale della mente, e ancora fra molti decenni si agiteranno, tormentati da sogni di morte, soli nel sonno anche se qualcuno dormira al loro fianco, trasportati dai memori artigli dell’orrore impresso dentro di loro in un tempo al quale credevano di essere sopravvissuti e sfuggiti, e dove invece ritorneranno per sempre.

La mia opinione e che, a meno che il coinvolgimento non sia superficiale, nessuno sopravvive a una guerra; la gente che esce dall’altra parte non e la stessa che ci e entrata. Oh, lo so, tutti cambiamo, tutti i giorni, e ogni mattina emergiamo diversi dal bozzolo del sonno, per incontrare un viso inesprimibilmente alieno, e ogni malattia, ogni shock ci invecchia e ci cambia in diversa misura… Pero quando la malattia e passata e lo shock e svanito, torniamo a raggiungere, piu o meno, la stessa societa che avevamo lasciato, e su di essa ci riequilibriamo. Questa confortante triangolazione ci e negata quando la comunita stessa e cambiata quanto e piu di noi, e dobbiamo ricostruire non solo i nostri esseri ma anche il tessuto di quel mondo condiviso.

E il soldato, che rinuncia al suo posto nel flusso della vita civile per essere inserito nei ranghi militari, cede piu degli altri ai capricci di quella confusione. I profughi, collettivizzati dalla miseria e dalla sfortuna, portano con se la propria vita quando si muovono, e continuano a nutrire una speranza pratica, anche se parziale, di resurrezione futura; quando i soldati sottraggono agli altri la vita, o perdono la propria, vanno verso la fine non per essere lodati o condannati, o per contemplare una vita cosi marchiata dall’errore, ma semplicemente per abbracciare la vuota verita della distruzione della mente.

Cara luogotenente, credo che tutti noi ti abbiamo sedotta, ti abbiamo deviata da un corso che forse ti avrebbe salvato la vita. Hai occupato la nostra casa cercando qualcosa nel fondo di noi, tentando di assicurarti una specie d’amore contrassegnato dall’antichita, dalla terra, dalla famiglia; aspiravi all’eredita che era nostra, e se non hai capito che pretese simili hanno ripercussioni ramificate, e che le pietre richiedono una loro continuita di sangue, se non hai compreso la serieta del loro isolamento, della solitudine in cui sono intrappolate, della durezza della loro responsabilita, allora non puoi dare la colpa al castello o a qualcuno di noi, e lamentarti di essere stata condotta alla tua fine.

Io avevo lasciato il castello; tu ci hai riportati indietro.

Scende profonda la notte su di loro e i soldati si riparano, nelle tende o sui camion, vicino a me. Il corpo mi duole per tutto quello che ha patito, straziato dal tempo e dal freddo. Continuo a credere che verra il falco e sara la mia liberazione, strappandomi gli occhi in un’ultima impensata estensione del tormento, o forse davvero mi liberera, lacerando le corde che mi tengono legato cosi da concedermi un ultimo tentativo di fuga.

… Ma e l’alba la mia liberazione piu probabile. O forse potrei — una fine ignominiosa, questa — soccombere al gelido bacio della notte, cedendo, come il castello, il calore vitale all’abbraccio dell’aria e del vento.

Dovrei gridare, strillare, bestemmiare, scagliare imprecazioni contro questi imbecilli, o almeno disturbare il loro sonno nella mia ultima notte, ma temo le torture che potrebbero escogitare se li seccassi cosi, perche a quanto ho sentito e letto e visto, l’uomo abbrutito, cosi carente di ogni altro tipo di immaginazione, si dimostra straordinariamente ricco di risorse quando si tratta di inventare metodi nuovi e ingegnosi per fare del male.

Non posso accusare nessuno di noi, o tutti. Siamo tutti morti e moribondi, siamo tutti feriti. Noi tre, il castello in rovina, questi tristi guerrieri, nessuno di noi si merita di finire cosi, ma non dovremmo sorprenderci: e degno di nota, e anche di essere celebrato, il fatto che qualcuno riceva cio che si merita.

Castello, non saresti mai dovuto bruciare. Quel mulino era di legno: combustibile pieno d’aria. Tu eri di pietra. Sentivi con antico disprezzo il rombo terrestre delle sue ruote in ininterrotto movimento, eppure sei bruciato tu al posto suo, e adesso, a parte il tuo cranio scavato di travi annerite, non sembri quasi cambiato, visto da qui, nell’oscurita, eppure sei sventrato, come lo saro io fra poco… Mi hanno detto che potrebbero minarti, per raderti al suolo, ma credo che l’abbiano detto piu per abbattere me che te. Dovrebbero sprecare dell’utile esplosivo solo per distruggere te? Non credo proprio che lo faranno.

Castello, non ti ho reso giustizia dicendo che questa potrebbe essere un’epoca qualsiasi; un tempo le tue pietre avrebbero garantito la migliore delle protezioni, ma nei giorni dei cannoni e dell’artiglieria, basta puntarle contro di te, le canne dei cannoni, simili ad aghi di bussola, per appiccarti all’istante quel fuoco.

Forse abbiamo distrutto cio di cui facevi parte nell’istante stesso in cui l’acciaio ha colpito la pietra della cava, e il martello del muratore e la granata sparata dal cannone sono entrambi responsabili della ferita. Tutto alla fine e costruzione, compreso questo: un uomo sul punto di morire che si rivolge a un edificio bruciato. Il mio sbaglio estremo, la mia finale follia. Ma in fondo siamo la bestia che da nomi, l’animale che pensa grazie a una lingua, e tutto attorno a noi si chiama come noi abbiamo stabilito di chiamarlo, per mancanza di termini migliori, e ogni cosa a cui diamo un nome significa — per quanto ci riguarda — proprio cio che vogliamo che essa designi. E, comunque, alla fine veniamo ugualmente puniti: perche le nostre belle parole definitorie alla fine non domano nulla, e se cadiamo vittime dell’ignota grammatica della nostra vita, dobbiamo affrontare con coraggio gli elementi e soffrire in cambio la loro indifferenza, del tutto ricambiata.

Il falco se n’e andato. Le ombre della notte ti lasciano sola come un’unica fiamma pallida sospesa sul guscio del castello, appena sfiorata da un cupo bagliore rosso rubino emesso dalle braci ancora accese all’interno. Forse l’uccello tornera a liberarmi dalle corde, o forse i superstiti del gruppo a cui apparteneva il cannone — e che forse sono gli stessi che stamattina hanno teso l’imboscata alla luogotenente — attaccheranno all’improvviso, sconfiggeranno i miei torturatori e mi libereranno, colmi di gratitudine. O forse il vento gelido e le nuvole gonfie preannunciano la neve, che scendera a coprirmi e ad ammorbidire i profili di ogni cosa qui intorno, compresi i cuori dei soldati, che avranno pieta di me e mi lasceranno andare.

Voglio una fine troppo pulita? O troppo aperta? Non lo so, miei cari, anche se prima dell’alba avro la risposta, senza alcun dubbio.

Credo di voler morire, adesso. Davvero? Sono paradossale? Siamo tutti cosi: in noi la destra controlla e percepisce la sinistra, la sinistra la destra, cio che vediamo e tutto invertito, e siamo sempre in due menti.

Vieni, alba, a coprirmi, vieni, luce, e fammi diventare ombra. Cancellami da questo luogo raso al suolo.

La vita e morte e la morte vita: accarezzare l’una significa abbracciare l’altra. Ho visto bestie morte, accanto a torrenti di montagna, dilatate dai gas, gravide di una morte generatrice. E tu, mia cara, tu trovasti l’espressione piu adatta — anche se non ho mai potuto dirtelo, non ho mai potuto accennarti che era cosi che la vedevo — con quel tuo gonfiore, quando desti alla luce la morte (che noi nascondemmo, timorosi per la prima e unica volta della nostra intimita, minacciati da tutto cio che condividevamo. Fu dopo quella silenziosa espressione del nostro amore che tu rifiutasti di articolare molto altro).

Forse, mio ingiusto amore, forse sei stata tu l’unica a vedere veramente chiaro, e col tuo rifiuto di scoprire cio che cercavamo di trovare attraverso di te, l’hai saputo fin dall’inizio, e cosi ti sei serbata fedele. Forse, per quanto ingiustamente, il tuo stesso sesso ti ha resa piu vicina a cio per cui noi dovevamo lottare, negandolo. Forse tu sola hai capito il nostro destino dal principio: il tuo genere e la tua inclinazione ti fornivano gli strumenti per ospitare concezioni che a noi erano negate.

La pioggia cade su di me; lecco l’umidita dalle labbra. Siccome nessun falco e venuto a tagliare le corde che mi legano e i soldati liberatori non hanno attaccato, ho dovuto liberarmi comunque, sospeso quassu. Dovrei vergognarmene? No, non me ne vergogno. Siamo fatti in gran parte d’acqua, e noi stessi non siamo altro che bolle, e il nostro corpo non e che un vortice momentaneo, un’onda immobile nel flusso del nostro corso aggregato. Passiamo in acqua i mesi piu formativi, in una vita che anche allora ci e semplicemente data in prestito, un’indipendenza che fin dall’inizio e legata a una serie di corde, e non ha molta importanza se la nostra fine e un composito scioglimento o una vincolante decomposizione. E gia abbastanza dover camminare su questa riva e trascinarci su simboli instabili, per preoccuparci che quella corda ci strangoli.

Eppure, mentre il calore si raffredda sulla mia gamba, all’improvviso tremo di paura, come se la ripetizione

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