essere visti ne uditi. Non potevano tornare a far rapporto. E non potevano neppure mandare messaggi di qualunque genere, finche un secondo generatore di campo non fosse stato portato dall’altra parte e messo in funzione. Se avessimo avuto un apparato-spia… ma no, anch’esso avrebbe dovuto essere collegato al portale, e questo era spento. Dunque non sapevamo cosa stesse accadendo nell’altra Casa Bianca.
Poco dopo tuttavia il portale fu riattivato e lo sapemmo, ma non furono buone notizie. L’operazione fu una sorpresa tattica, un successo completo sotto tutti gli aspetti salvo uno: non raggiunse l’obiettivo per cui era stata messa in piedi. La signora Presidentessa se n’era andata attraverso un’uscita di cui nessuno aveva sospettato l’esistenza.
Entro altri dieci minuti il traffico nei due sensi fu stabilito su tutti i piani dell’edificio, ma ormai l’efficienza tecnica aveva scarsa importanza. Prendemmo prigionieri a iosa; i nostri avevano sorpreso le guardie e gli uomini dei servizi segreti praticamente con le braghe in mano. Vidi il consigliere militare della Presidentessa Regan, un brigadiere generale in alta uniforme, portato via con aria furiosa e risentita da «Questo oltraggio a me!». Catturammo perfino il Primo Gentleman, riconosciuto grazie alle videocassette dei suoi vecchi film fatte circolare fra le truppe, ma la persona che piu volevamo ci sfuggi.
La signora Presidente aveva tagliato la corda.
Alle prime luci di quell’alba tiepida trovai un passaggio per tornare allo Sheraton in un pullmino della Casa Bianca, anacronistico fra i prigionieri e le guardie nel mio elegante abito da sera.
Quello che ci aspettava adesso era pura e semplice guerra.
Appena il pulsojet fu decollato e le scritte in rosso si spensero, sganciai la cintura e mi alzai. Non ero stato il piu svelto: una ragazza in muu-muu purpureo era scivolata nel passaggio fra le poltroncine davanti a me, e da sopra la spalla mi rivolse un gentile sorrisetto di trionfo. Ma non era il caso. Lei era diretta alla toeletta, ed io fui il primo a raggiungere il visifono.
A dire il vero ci arrivai troppo presto. Quando composi il nome di casa mia ebbi soltanto una luce gialla, perche non eravamo ancora in quota e il pilota stava tenendo per se tutte le frequenze video. Rifeci il nome. Ero impaziente. Mancavo gia da troppo tempo per i miei gusti. La prima volta che avevo dovuto andare in un’altra linea temporale mia moglie m’aveva tenuto sveglio tutta la notte con le sue paure: non riusciva a dimenticare quel che era successo con Larry Douglas. Sklodowska-Curie distava comunque appena sei chilometri da casa mia e quel primo balzo, nel Paratempo-Rho, era stato un semplice passaggio avanti e indietro fatto piu che altro per collaudare la nuova apparecchiatura.
La faccio sembrare piu semplice di quello che era. In realta avevo la pelle d’oca. Ma quando poi dirigemmo le nostre ricerche sulle linee temporali che potevano sviluppare studi sul paratempo, o almeno sulla fisica dei quanta, le zone da esplorare cominciarono a incrementarsi anche geograficamente. Il Paratempo-Beta possedeva un’installazione giusto a sud di San Francisco. Il Phi ne aveva una a Red Bank, nel New Yersey. Significava balzare in un portale, tornarne fuori, imbarcarsi su un pulsojet e fare qualche ora di volo, balzare in un altro portale… e avevo una moglie e un figlio con cui mi sarebbe piaciuto trascorrere piu tempo.
La terza volta che composi il nome sullo schermo apparve finalmente la sigla «DeSota-Arbenz» che pulsava a ogni squillo. Dorothy rispose al primo. Poche cose mi smorzavano l’ansia come il volto dolce e calmo di lei che mi sorrideva dal visifono.
— Hai un aspetto incantevole, Do — le dissi, dopo averla salutata con un bacio. Lei studio il mio volto, dalla sua parte. E poiche l’apparecchio di casa nostra aveva la telecamera posta sopra lo schermo il suo sguardo mi apparve fuori fuoco, come se avesse dimenticato le lenti a contatto, ma la sua vista era perfetta.
— Vorrei poter dire lo stesso di te, caro — rispose. — Le cose non vanno bene?
Non potevo dirle fino a che punto non andassero bene, da un apparecchio pubblico. Ma non aveva bisogno di risposte: poteva vedere la mia faccia. Dissi: — Abbastanza male. Come sta Barney?
— Sente la mancanza del suo papi. Per il resto tutto bene. Ha perso un dente. — L’avevo sorpresa con una tazza di caffe in mano e ne bevve un sorso, scrutandomi. — Non e soltanto che hai dei problemi… mh? — osservo. — Hai qualcos’altro per la mente. Di che si tratta, Dominic?
Dovetti ridacchiare, sorpreso. — Hai detto bene, Do. Mi sento… strano. Non so perche.
Lei annui. Stavo solo confermando quello che sapeva gia. Quando Dorothy Arbenz era stata assunta all’istituto, fresca di laurea in psicologia, mi era bastato guardarla negli occhi per capire che dietro quel volto incantevole c’era un cervello. Piu tardi ero stato costretto a riflettere che mi avrebbe praticamente letto nella testa per tutta la vita, ma l’avrei sposata lo stesso in ogni caso. Lascio che il mio subconscio si preoccupasse di quello che lo preoccupava e cambio argomento. — Stai tornando a casa, adesso?
— Vorrei. Non e una faccenda di cui ci si possa occupare a Sklodowska, tesoro.
— Vai a Washington?
— Ho paura di si.
Bevve un altro lungo sorso di caffe. Anch’io avevo cominciato a leggere un po’ nella mente di Dorothy, cosi sapevo cosa stava per dire. — Ti faranno saltare ancora in qualche portale? — chiese.
Non le diedi una risposta diretta. — Non dipende piu da me, adesso — le ricordai. Lei sapeva che quella non era una risposta. E sapeva, come lo sapevo io, che se fossi ripassato in un portale non sarebbe stata una passeggiatina tanto per guardarmi intorno.
Cosi la salutai e le mandai un bacio, e lei me ne soffio un altro dalla mano. Poi riappesi e indugiai sul sedile davanti al visifono, cercando di scoprire cosa mi stava preoccupando.
Sapevo cos’era. L’avevo saputo fin dall’inizio, solo che non avevo voluto pensarci.
C’erano troppi me.
Quando m’ero infiltrato nel Tau e nell’Epsilon avevo visto gli altri Dominic DeSota, ma soltanto nel trovarmi con loro nella stessa stanza quel fremito di meraviglia — arcano timore, incredulita, un senso di gelo nelle ossa — mi aveva realmente scosso. Voglio dire, loro erano
O avrei potuto intraprendere la carriera militare come l’altra mia incarnazione, il maggiore, che si sentiva realizzato in atti di conquista e di disonesta intellettuale… O avrei potuto morire giovane per una ragione o per l’altra, come sembrava esser successo al Dominic DeSota di Rho.
E tutti quei
Questo era frustrante. Ne sentivo minacciata la stabilita della mia vita in modi a cui non mi era mai accaduto di riflettere. Chiunque, certo, sapeva dirsi che le cose avrebbero potuto andare diversamente per lui… ma era