Non e molto cio che si puo vedere dagli oblo di un aereo da trasporto truppe, ma quando ci inclinammo in una larga virata nel cielo della capitale potei scorgere quasi l’intero Distretto, steso sotto di noi. Nulla faceva pensare alla guerra, laggiu. Avevano acceso i riflettori attorno alla Casa Bianca e al Lincoln Memorial, e ovunque si vedevano file e file di fari d’automobili come se tutta Washington fosse in strada per celebrare la notte del T.G.I.F… no, non ovunque! Al di la del Potomac le luci delle auto erano pochissime, e quello non sembrava il traffico normale. Riconobbi i fari bassi e azzurrati dei veicoli militari. Rigido di stupore mi volsi verso il colonnello dell’esercito seduto accanto a me, e gli battei una mano su una spalla. — Se quelli laggiu sono cio che penso — ansimai, — com’e possibile che i satelliti-spia russi non li avvistino?

Si sporse a guardare dove gli stavo indicando. — Ah, si. — Sorrise. — Stanno facendo pratica per la parata del Labor Day. Cosa credeva?

— Il Labor Day? — mi sbalordii.

Lui si alzo a mezzo per guardare meglio il panorama. — Ecco la il mio battaglione, proprio sul terreno della Casa Bianca. Lo vede? — chiese, e mostro un certo disappunto quando scossi il capo. — Ci occuperemo dei controlli di sicurezza durante la parata — annuncio, e mi strizzo l’occhio.

— Gesu! Ma mancano ancora dieci giorni al Labor Day. O pensa che i russi siano cosi coglioni da cascarci davvero?

Scrollo le spalle. — Se non fossero coglioni, non sarebbero russi — dichiaro, poi intercetto un’occhiata del sergente-steward e s’affretto a riallacciare la cintura di sicurezza.

Ma a parte la zona priva di traffico, la c’era il solito vecchio Distretto, pacifico, indaffarato e felice. Tutte le altre strade avevano l’aspetto che dovevano avere. Perfino da quell’altezza avreste potuto comprendere senza equivoci che quella gente non si preoccupava e non temeva alcuna invasione…

E sull’altro lato della barriera, come sapevo bene, c’era un’altra Washington, dove la nostra prima ondata d’assalto era andata a impadronirsi di tutti i ponti sul Potomac.

E cosa stesse facendo e pensando la gente di quella Washington quel venerdi sera, era una cosa che non riuscivo affatto a immaginare.

Quando fummo al Campo Bolling ed esibimmo i nostri ordini, l’impiegato addetto ai trasporti si offri di procurare al colonnello un’auto di servizio, purche nel suo tragitto verso la Casa Bianca desse un passaggio anche a me. La cosa risulto piacevole per entrambi. Seduto al volante il colonnello fece di tutto salvo che rovesciarsi a testa in giu sul sedile, tanto si agitava per la soddisfazione e l’impazienza. Mi aveva gia fatto sapere che era uscito da West Point, e sul suo petto erano bene in vista i nastrini della campagna cilena e di quella tailandese. — Questa sara la nostra grande occasione — promise. — Ci guadagnerete la vostra foglia d’argento, maggiore, percio sorridete! Non e stando dietro le linee che si fa carriera, quando c’e un’invasione in atto!

— Gia — dissi, lasciando scorrere gli occhi sui campi di periferia. Quel che aveva detto era abbastanza vero. Quel che invece non sapeva era che il Generale Facciaditopo non me l’avrebbe fatta passare liscia. Non aveva potuto sbattermi davanti a una corte marziale, due ore dopo avermi dato una medaglia. Ma se l’era legata al dito. Un giorno, prima o poi, sarei stato sorpreso a bere una birra al Circolo Ufficiali, o a sputare su un marciapiede nei recinti del Pentagono, e allora il generale sarebbe stato li pronto ad affondarmi i denti nella gola.

A meno che, naturalmente, non mi fossi procurato un altro po’ di medaglie in quell’operazione. Io sono un uomo prudente. Ma in quel momento mi sembrava che la cosa piu prudente che avrei potuto fare fosse di meritarmi l’aureola dell’eroe, se mi si fosse presentata l’occasione…

Attraversammo il ponte proprio sotto il Cimitero di Arlington, con la sua eterna luce che brillava in cima alla collina. Il traffico di automezzi civili era intenso, mentre riflettevo che proprio li, su quello stesso ponte, le nostre truppe stavano tenendo a bada il nemico, al di la di un’impalpabile barriera temporale. E davanti a noi…

— Ma che diavolo c’e lassu? — chiesi, indicando quelli che sembravano riflettori da un milione di watt puntati verso il cielo.

— Qualcosa che tappera gli occhi ai satelliti dei russi — spiego il colonnello. — Quei proiettori sono sopra la Casa Bianca e sul Centro di Comando Sheraton, e se i russi scatteranno foto sopra quell’inferno di luce saranno i benvenuti. Comunque — aggiunse con un sogghigno, — la notizia ufficiale e che anche loro stanno facendo pratica per la luminaria del Labor Day.

Mi lascio al vialetto d’ingresso dello Sheraton Hotel, trasformato per l’occasione in un quartier generale. Quando mostrai i miei ordini scoprii che l’ingresso principale era riservato ai gradi da colonnello in su: la gente come me doveva girare sul retro, entrando dalla parte del parcheggio. Era enorme, e pieno zeppo. Ma non di auto di turisti o delle limousine dei VIP: c’era almeno una divisione di carri armati e di mezzi cingolati, allineati con ordine… e fra essi molti veicoli per nulla in ordine, evidentemente riportati indietro dopo il primo attacco. Alcuni di essi erano stati sottoposti a un fuoco d’inferno. Uno o due mi sorpresero addirittura, perche a vederli non si capiva come avessero fatto a riportarli indietro: torrette rotanti d’acciaio massiccio strappate via di netto, un cannone che sembrava fuso come cera, quattro o cinque autoblinde sforacchiate da gragnuole di colpi o squarciate da esplosioni. Tutti quanti erano coperti da reti mimetiche, per ingannare gli occhi orbitanti dei russi, e l’area era sorvegliata da un bel po’ di guardie armate.

E soltanto al di la della siepe fiorita c’erano le strade indaffarate del Distretto, dove milioni di persone ronzavano attorno senza un pensiero al mondo.

Qualunque cosa stesse accadendo nei salotti, nei bar e nei ristoranti dell’Hotel Sheraton, i graduati come me non erano destinati a saperlo. La parte dell’albergo riservata a noi erano le sale di riunione, e acquartierata li c’era gia una folla di sottufficiali al lavoro. Presentai i miei ordini a un furiere e ne ebbi in cambio una tessera d’identita da appuntarmi sulla giacca, quindi fui dirottato all’appartamento William McKinley per altre disposizioni. Nel tragitto oltrepassai una sala da ballo piena di gente. Non era una riunione di nozze o un bar mitzvah: si trattava di militari, molti dei quali in mutande, che si cambiavano le uniformi (le loro, con cui erano stati catturati) in altre uniformi (le nostre) con le quali sarebbero stati discretamente trasferiti in un campo sulle colline del Maryland.

Prigionieri.

Mi fermai sulla soglia a curiosare. Questi non erano i militari dell’Aeronautica da noi catturati a Sandia. Erano soldati che avevano combattuto, e le bende che molti portavano stavano a testimoniarlo. Le differenze fra le nostre uniformi e le loro erano numerose, ma a una prima occhiata non si notavano troppo. Il colore di base era lo stesso verde oliva. I loro gradi erano piu piccoli dei nostri, e bordati d’argento invece che in nero. I nastrini sul petto avevano certo significati diversi, e da lontano non potevo comunque vederli bene. Inoltre il capitano degli MP mi stava gia indirizzando occhiate ostili, cosi mi allontanai: avevo l’ordine di presentarmi immediatamente a rapporto da chi occupava le camere «William McKinley», e c’era il caso che la guardia alla porta avesse telefonato per annunciare il mio arrivo.

Se anche l’aveva fatto, nessuno gli aveva badato. La sergente di fureria al tavolo presso la porta non aveva mai sentito il mio nome. Scartabello fra i suoi fogli, parlo al telefono con una certa «Tootsie», ributto i fogli sottosopra, infine li lascio perdere e dichiaro: — Si prenda una sedia, maggiore. La sistemeremo appena possibile.

Non ebbi difficolta a tradurre: «Appena possibile» significava «Quando qualcuno scoprira chi diavolo sia e cosa si suppone che sia venuto a fare». Mi rassegnai a trascorrere la successiva considerevole frazione della mia vita a strusciare la schiena sulla spalliera dorata di una delle panche allineate in corridoio.

Non mi annoiai poi tanto. Potei assistere all’ingresso e all’uscita di quasi un centinaio di persone, tutte dal passo molto veloce e che non mi prestarono la minima attenzione. Ma una ventina di minuti piu tardi, quando i piedi mi erano stati pestati appena due volte, la sergente si alzo e mi fece un cenno.

— Da questa parte, maggiore — disse. — Il sottotenente Kauffmann l’aspetta.

Mai qualcuno mi aveva aspettato con l’impazienza del sottotenente Kauffmann. La prima cosa che gli usci di bocca fu:

— Dove diavolo si era cacciato, maggiore? Credevano che fosse gia alla Casa Bianca!

— Alla Casa… — esclamai, ma lui m’interruppe:

— Proprio cosi. E in abiti civili, inoltre. Qui si dice — e sbatte una mano su un foglio che aveva davanti — che lei assomigli moltissimo a un senatore dell’altra parte…

— Un accidente che gli assomiglio. Io sono lui.

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