volto e il collo. A torso nudo era uno dei piu bei casi di scottature solari che avessi visto, e in corrispondenza del colletto gli era rimasta una V di fiamma sulla pelle. Poiche si massaggiava gli zigomi, cio che vidi della sua faccia fu solo una maschera di crema.

L’altro era piu vicino. Giaceva immobile sul letto, ad occhi chiusi. Stava russando. Aveva l’aria di aver passato dei brutti momenti, e non intendo quei brutti momenti che si passano nelle mani dell’FBI. Sembrava mezzo morto. E sembrava anche, o meglio era…

— Douglas! — rantolai. — Ma quello sei tu!

Douglas non pote aprir bocca. La vista del dormiente l’aveva colpito assai piu di me e lo fissava a occhi sbarrati, respirando come se fosse prossimo a strangolarsi. Vedendolo incapace di parlare fui io a fare quella domanda: — Cosa gli e successo?

Nyla Christophe si strinse nelle spalle. — Oh, sta bene. A parte l’insolazione e le scottature, si e fatto mordere da un serpente. Ma il dottore gli ha fatto qualche iniezione e dice che entro domani sara come nuovo. Pero, adesso, perche non date un’altra occhiata al suo amico, eh? — suggeri.

Fu quello che feci. S’era voltato e mi stava guardando. La sua faccia era piena di striature rosse e di crema bianca, ma anche cosi era una faccia che potevo riconoscere senza equivoci.

— Mio Dio! — sussurrai. — Dunque lui e l’uomo dei Laboratori Daley!

— Non proprio — mi corresse allegramente Nyla. — O almeno, lui dice di no. Ha detto un sacco di cose, DeSota, cose che lei non crederebbe. Ha parlato in continuazione fin da quando il macchinista di un treno li ha raccolti nel deserto, la notte scorsa. Afferma che tutte le possibilita sono reali, esistono, e che ci sono altri identici a lui nell’una o nell’altra di queste possibilita. Ma non ha ancora afferrato il punto, DeSota. La cosa che piu di ogni altra afferma, e che tutti gli esami hanno confermato, e di essere lei.

A quell’ora di notte il grande parcheggio sotterraneo era deserto, e guardandosi attorno in cerca della sua auto l’avvocato comincio a pentirsi d’essersi trattenuto in ufficio fino a tardi. Non ricordava piu dove l’aveva posteggiata. E mai che ci fosse un poliziotto in giro, quando ce n’era bisogno. Perche in quel momento ne sentiva il bisogno: due rapine, un omicidio, e numerosi furti d’auto, erano il bilancio di quel garage negli ultimi sei mesi. Ma quando giro un angolo vide due poliziotti di ronda, col mitra appeso alla spalla. — Buonasera — li saluto. E si senti piu sollevato… finche non s’accorse che le loro uniformi erano grigioverdi, bordate di rosso, e i loro berretti non avevano nulla in comune con quelli della polizia di Chicago. Peggio ancora, quando gli rivolsero la parola lui riconobbe la lingua: russo! D’istinto si volse e scappo via, con la pelle d’oca e senza riflettere. Alle sue spalle risuono una raffica di mitra, ma le pallottole rimbalzarono fra le auto in sosta senza colpirlo. Tuttavia quello era un vicolo cieco, e allorche all’estremita del parcheggio l’avvocato fu costretto a voltarsi, ansimando, si disse che quella era la fine. Ma i due uomini erano spariti.

26 Agosto 1983 Ore 7,40 della sera — Senatore Dominic DeSota

Trascorsi quel pomeriggio gettando occhiate di desiderio alla piccola piscina che vedevo fuori dalla finestra, sul piazzale, grondando di sudore e con le scottature che non mi davano un attimo di requie. Ma non erano l’insolazione e l’afa a tormentarmi. Da qualche parte, non lontano da li — e tuttavia disperatamente al di la di qualunque cosa fosse cio che separava una linea temporale dall’altra — la mia patria era stata invasa, e una mia controfigura s’era mostrata alla televisione per portare avanti i piani dell’invasore. Non riuscivo a ricordare nessun caso nella storia degli Stati Uniti, dalla guerra civile in poi, di un comportamento simile da parte di un senatore democraticamente eletto. Che opinione s’erano fatta di me i miei colleghi?

E cosa stava pensando di me Nyla Bowquist?

Neppure io sapevo bene cosa pensare di me stesso. Le ultime quarantott’ore erano state le peggiori della mia vita. C’era stato lo shock di scoprire che le ricerche della Casa dei Gatti erano una realta, e che esisteva un numero infinito di mondi dove c’erano un infinito numero di Dominic DeSota, ciascuno indistinguibile da me. Ero stato preso prigioniero da uno di essi. Avevo picchiato una donna che era in tutto e per tutto quella che amavo. Ero stato di nuovo imprigionato e stavolta da un’altra copia di lei, differente solo per i pollici amputati. Avevo rapito un uomo. Mi sentivo stordito al pensiero che la mia nazione era stata attaccata dalla mia nazione. E avevo vagato nel deserto senza cibo ne acqua prendendomi delle brutte scottature solari, che mi bruciavano come ustioni.

Bruciavo dentro e bruciavo fuori… e non mi permettevano neppure di rinfrescarmi in piscina. Non che me l’avessero esattamente proibito. Era solo una di quelle cose che potevano esser fatte su espresso ordine di Nyla, e lei se n’era andata per gli affari suoi. Il lavandino nell’angolo non era un buon sostituto. Ogni mezz’ora circa mi spogliavo e mi spruzzavo l’acqua addosso; e ogni quarto d’ora mi applicavo uno strato fresco di quella crema buona a niente che loro chiamavano crema idratante. Questo mi dava qualcosa da fare. Non che mi aiutasse molto.

Un’altra cosa che non mi tirava su di morale era la presenza del mio involontario compagno di viaggio, il Dr. Lawrence Douglas. Per l’intera interminabile giornata non s’era mosso dal letto. C’era poco da meravigliarsene. Aveva passato le mie stesse traversie: la stessa insolazione, le stesse lunghe ore di sete e d’afa marciando nel deserto. E inoltre non solo s’era fatto mordere da un crotalo, non solo gli avevano fatto un’iniezione antivenefica peggiore del morso stesso, ma era stato riempito di non so che droga affinche Nyla Senzapollici potesse interrogarlo. Io non avevo assistito a quel terzo grado, pero quando l’avevano riportato dentro in stato d’incoscienza m’ero accorto che alle sue scottature s’erano aggiunti alcuni lividi.

Adesso mi chiedevo se non fosse il caso di svegliarlo, per farlo reagire alla droga.

Non ebbi bisogno di provarci. Quando mi volsi inaspettatamente, dal lavandino, vidi che mi scrutava. Fu svelto a richiudere gli occhi, ma non abbastanza. — All’inferno, Douglas — dissi stancamente. — Se vuoi dormire, dormi. Se vuoi alzarti, alzati. Ma a che scopo fare la commedia?

Per un altro minuto tenne le palpebre serrate con testardaggine, poi parve capire che era una cosa stupida. Si tiro su dal letto, giro attorno lo sguardo in cerca di un gabinetto che non esisteva e poi, senza dir nulla, orino nel lavandino.

Quand’ebbe finito, sbottai: — Almeno sciacqualo, — Io l’avevo fatto. Non si prese la briga di guardarmi, comunque diede svogliatamente una lavata alla maiolica; poi uni le mani a coppa e bevve, lappando quasi come un gatto. Rifiutava di rivolgermi la parola con ogni suo atteggiamento.

— Bagnati i capelli, ti fara star meglio — consigliai. — E qui c’e della crema per le scottature.

Si raddrizzo lentamente, accigliato, poi torno a chinarsi e mise la testa sotto il rubinetto. Mentre si asciugava la faccia si volse a borbottarmi scontrosamente quello che interpretai come un «Grazie». Quando giro lo sguardo in cerca della crema gliela porsi con un sorrisetto incoraggiante.

La sua espressione rimase cupa. Pur facendo le debite concessioni a quel che era stato costretto a sopportare, non avevo mai visto un uomo cosi disperato, risentito e depresso.

Naturalmente anch’io ero alquanto giu di morale. A parte l’accaduto e i dolori che avevo addosso ero preda di una sensazione spiacevole. Mi sentivo sotto costante osservazione, anche se non avevo mai sorpreso le guardie a sbirciar dentro dalla finestra. E c’era un’altra cosa a preoccuparmi. — Senti — dissi, — non e il caso di prendertela cosi.

Smise di spalmarsi la crema sul viso per elargirmi un’occhiata astiosa. — E come mi consiglieresti di prenderla?

— Gia che ci siamo potresti almeno soddisfare la mia curiosita circa un particolare che mi da da pensare. Quando ti sono venuto accanto, al portale, tu avevi regolato i comandi dell’apparecchiatura approfittando della distrazione di chi ti sorvegliava. Poi hai attraversato con me…

Ebbe una risata amara come un latrato. — Poi mi hai scaraventato dentro, vorrai dire!

— Si, certo. Ma subito dopo siamo precipitati per quattro metri, dall’altra parte. Cristo! Avresti potuto avvertirmi che c’era un salto — lo accusai, per nessun’altra ragione che dividere le colpe a meta. — Credevo che avessimo fatto ritorno nella mia linea temporale. Ma mentre tu dormivi ci ho pensato sopra.

Fece un grugnito. — DeSota, se hai qualcosa da dire vuoi per favore venire al punto?

— Il punto e: tu dove stavi cercando di andare?

— Cercavo di scappare — borbotto.

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