svegliarlo, e subito lui si sporse a scuotere l’altra guardia, ma tutto cio che disse a me fu: — Ricorda quel che ti ho detto. — Con un cenno lo tranquillizzai sulle mie capacita mnemoniche. Ci fecero aspettare finche tutti i passeggeri furono scesi dal Boeing, poi ci fecero aspettare ancora un po’, mentre i meccanici controllavano qualcosa dei grossi motori e un’autocisterna riforniva i serbatoi di benzina a 100 ottani.
Poi alla porta del terminal comparve un uomo che alzo un pollice verso Moe, in attesa al finestrino.
Le manette scattarono e fui fatto incamminare verso l’uscita, ma mi costo uno sforzo non vacillare qua e la ed evitare d’inciampare sulla scaletta. Io e l’altro prigioniero venimmo indirizzati alla porta di un terminal che sembrava esser stato costruito come scenario per un musical d’ambiente latinoamericano. C’era gente che ci guardava. I curiosi piu vicini furono scostati con un cortese «Circolare!» e una spinta, ma non erano molti, perche gli scagnozzi dell’FBI non erano difficili da riconoscere e la gente sapeva quand’era il caso di tirar via diritto. Fuori c’era una grossa auto. Moe mi affianco sul sedile anteriore, e l’altro prigioniero con la sua guardia sedettero dietro. Una macchina della polizia cittadina ci fece strada, l’autista diede gas e le schizzammo dietro. A velocita fin troppo sostenuta attraversammo la cittadina e quindi girammo sulla statale, che serpeggiava verso una zona collinosa.
Dopo quasi un’ora di corsa apparve un crocevia, e l’auto rallento rapidamente. Era una terra quasi desertica, le strade silenziose si allontanavano verso i quattro punti cardinali, e gli unici edifici erano una stazione di rifornimento ed un motel. L’insegna sull’ufficio diceva: «LA CUCARACHA —
E se fossi stato un viaggiatore desideroso di riposarmi, la vista delle guardie armate sul vialetto mi avrebbe incoraggiato a riposare altrove.
Le guardie, comunque, erano un tocco decorativo a cui cominciavo ad assuefarmi. Cosi c’erano segni buoni e segni cattivi. Quello cattivo consisteva nel proseguimento della mia detenzione. Quello buono nel fatto che la detenzione sarebbe proseguita a Leavenworth o in un campo consimile, dove mi avrebbero tenuto finche non fossero stati pronti a farmi uscire… se ne sarei uscito. Doveva essere una delle isolette nell’arcipelago dell’FBI. Non potevano aver intenzione di trattenermi a lungo. Avrebbero dovuto lasciarmi andare.
Come alternativa, dal motel «La Cucaracha» poteva uscire di me appena quel che bastava per essere rimandato a casa per la sepoltura.
Non ebbi il tempo di farmi altre domande. Il mio silenzioso collega ed io fummo spinti in una delle piccole stanze, dove ci venne ordinato di sedere sul bordo del letto e starcene quieti, mentre Moe si piazzava sulla soglia con gli occhi fissi su di noi e l’altro faceva il palo all’esterno. Non dovemmo aspettare per molto. Da li a poco la porta batte sulle spalle di Moe, che si tolse di mezzo senza neppure guardare chi era.
A entrare fu Nyla Christophe, con le mani unite dietro la schiena.
Portava un cappellino da sole e occhiali neri. Come al solito la sua espressione era indecifrabile, ma potrei dire che ci esamino con pensosa indifferenza… quella stessa indifferenza con cui il cane s’arrota i denti sul solito vecchio malridotto osso. La sua voce non ebbe nulla di spiacevole salvo il fatto che era la sua voce, quando disse: — Va bene, voialtri due, adesso potete togliervi quei veli dalla faccia.
Farlo mi diede un certo sollievo, visto che eravamo nel deserto e stavo sudando. L’altro uomo si mosse invece lentamente e controvoglia, e levandosi il velo rivelo un’espressione offesa, spaventata, infelice… tutti sentimenti che m’ero aspettato. Ma cio che non m’ero aspettato era che quell’espressione appartenesse alla faccia di Larry Douglas.
Fino ad allora ero stato assolutamente certo che Larry Douglas aveva una parte di colpa nelle mie disgrazie di quegli ultimi giorni. Come, non lo sapevo. Perche, non potevo neppure immaginarlo. Cosi non mi misi a piangere nel vederlo preso nella stessa trappola in cui m’aveva aiutato a cadere… solo che questo rendeva tutto molto piu confuso per me. Se aveva riferito a Nyla Christophe cio che gli avevo detto quando mi aveva trascinato a far visita a quel vecchio attore in disuso, perche era prigioniero come me? E cosa stavamo facendo li nel New Mexico?
Notai con stupore che Douglas aveva le mie stesse perplessita. — Nyla — disse, sforzandosi inutilmente di avere una voce ferma. — Cosa diavolo significa tutto questo? I tuoi ragazzi sono piombati in casa mia e mi hanno trascinato giu dal letto, senza neppure dirmi una parola…
— Tesoruccio — disse dolcemente lei, — tappati la bocca. — Malgrado gli occhiali neri, lui pote vedere abbastanza della sua espressione da deglutire a vuoto. Tacque. — Cosi va meglio — approvo lei. Giro appena la testa. — Moe?
— Si, miss Christophe?
— Il laboratorio mobile e gia qui?
— Parcheggiato proprio dietro il motel. E tutto pronto.
Lei annui. Si tolse cappello e occhiali e sedette nell’unica e consunta poltrona di cui era fornita la camera. Senza voltarsi a guardare protese una mano di lato. Moe le infilo una sigaretta fra l’indice e il medio, poi fece scattare l’accendino. — E possibile — disse lei, — che voi due siate puliti, in questa faccenda. Ma ci sono alcune cose che dovete chiarire.
— Oh, finalmente, Nyla! — gemette Douglas. — Io lo sapevo che doveva essere tutto un malinteso!
Ed io riuscii a chiedere quello che, con mia vergogna, ammetto di non aver chiesto neppure a me stesso in quei giorni: — Cosa ne e stato della mia fidanzata e degli altri, miss Christophe?
— Questo dipende da voi, DeSota. Se il piccolo test che adesso faremo andra come io penso, tutti loro saranno rilasciati.
— Grazie al cielo! Uh… di quale test sta parlando?
— Quello che vi verra fatto adesso — disse. — Avanti, Moe, faglielo. — E lascio la camera, facendo entrare l’altra guardia con una valigetta metallica dietro cui venne un individuo in camice bianco con una valigia in mano anche lui.
Non potei fare a meno di ripiegarmi su me stesso; ma subito fu chiarito che Moe non si apprestava a picchiarmi ancora. Cio che misero in atto prese parecchio tempo, tuttavia non era nulla di spiacevole… be’, non fu neanche troppo divertente. Mi presero le impronte digitali e quelle delle scarpe; mi presero varie misure degli orecchi e la distanza fra le pupille. Mi prelevarono campioni di sangue, di saliva e di pelle, quindi dovetti orinare in una bottiglietta e defecare in un vaso di carta. Non fu cosa breve. L’unico elemento che la rese meno detestabile fu che il mio detestabile compagno di prigionia — l’anguilla dei tribunali Larry Douglas, il mio cospiratore del Carson coffee-shop, l’uomo che mi aveva fatto sprecare una serata dai Reagan a Dixon, Illinois — dovette fare le stesse cose che facevo io.
E gli piacquero ancor meno. Moe e l’altra guardia esibirono all’improvviso una sensibilita delicata e preferirono uscire a sorvegliarci dalla finestra; cosi, intanto che il tecnico del laboratorio si dava da fare, Douglas e io potemmo parlare un poco. La mia prima domanda fu quella su cui piu m’ero arrovellato: — Chi diavolo sei tu? Una specie di federale travestito?
Aveva l’aria di un cane bastonato, e la sua risposta fu un grugnito: — Grattati la rogna tua, DeSota. — Fisso cupamente il mio sangue che risaliva in una siringa, premendosi un dito sulla vena dell’avambraccio dove il silenzioso tecnico aveva appena salassato lui.
— E allora cosa sei? L’amichetto di Nyla Christophe? Il suo complice? Il suo prigioniero?
Lui borbotto appena: — Si. — Abbasso i pantaloni e si lascio prendere un campione di pelle da una natica. — Se fossi al tuo posto, DeSota — disse, ostile, — non mi preoccuperei tanto degli altri. Hai un’idea del guaio in cui sei infognato?
Gli risi in faccia. Tutti i dolori e le miserie del mio corpo non stavano facendo altro che dirmi in che guaio ero. — Comunque — puntualizzai, — lei ha detto che forse siamo puliti, e allora di cosa dovrei preoccuparmi?
Mi guardo fra la pieta e il disgusto. — Questo e quel che ha detto, certo. Ma le hai sentito dire anche che sarai rilasciato, per caso?
Fui costretto a deglutire un groppo di saliva, prima di replicare: — Di che accidenti stai parlando, Douglas? — Lui scosse le spalle e si volse a guardare il tecnico, senza rispondere. Da li a poco l’uomo raccolse i campioni e mise gli strumenti nelle valige, poi se ne ando. Le guardie non rientrarono, anche se le potevamo vedere sedute sulla balaustra che si facevano vento e guardavano verso la strada. Al di la di essa, sulla linea ferroviaria, stava passando un elegante treno passeggeri, e con una stretta al cuore ripensai a Greta. Dissi, ancora: — Di che stai parlando? Lei ha detto che probabilmente ci fara rilasciare…
— Non «noi», DeSota. Loro. I testimoni, che non sanno niente. Tu sei un esemplare del tutto diverso. Tu sai molte cose.