Essere un maggiore non significa affatto essere un maggiore quando non si hanno truppe da comandare, e le mie mi erano state tolte. C’era una battaglia in corso. Alle undici e un quarto tutte le armi che avevo visto sparire oltre il portale avevano cominciato a far fuoco simultaneamente. E lo scontro era stato sanguinoso fin dall’inizio. Lo sapevo perche stavo guardando il portale di rientro presso il ponte quando i primi feriti erano stati rimpatriati. Ma a me non era stato affidato nessun compito. Ero rimasto li attorno coi pollici infilati nella cintura, aspettando che qualcuno mi dicesse dove si supponeva che io dovessi andare e cosa si supponeva che potessi fare.

L’intera operazione stava prendendo una brutta piega. Forse definitivamente brutta. Le nuove truppe che avevo visto entrare attraverso il portale a sud del ponte non erano combattenti dallo sguardo duro, il passo deciso, addestrati a uccidere o a morire. Erano penetrati nel grande rettangolo nero a bocca chiusa e con scarso entusiasmo. E quelli che venivano rimpatriati…

I medici e gli infermieri non bastavano neppure per portare via i soldati in barella.

Attraverso il portale di rientro passava l’aria, quindi passavano le onde sonore, e potevo sentire i colpi di cannone e le raffiche e le granate che esplodevano al di la. E l’aria che ne proveniva non risultava gradevole alle narici. Era la stessa umida e calda aria di Agosto che c’era da noi, ma puzzava. Puzzava di bruciato, di polvere e di esplosivi al plastico. Puzzava di fogne squarciate dai mortai, e dei gas di scarico dei carri armati.

Puzzava di morte.

In altre circostanze avrebbe potuto essere una piacevole notte. Riuscivo a immaginarmi a passeggio sul lungofiume con un braccio intorno a una ragazza graziosa, immerso in lieti pensieri. Faceva caldo, ma che altro c’e da aspettarsi da Washington in Agosto? L’afa non era insopportabile, e benche in cielo non si vedessero stelle c’era il continuo sciabolare dei nostri riflettori, a dozzine adesso. Non credevo realmente che riuscissero a ingannare i satelliti russi, non piu, ma era un bello spettacolo vederli falciare le nuvole compatte.

Le circostanze invece erano spiacevoli. Ero piu che mai lontano dall’essere un eroe. Tuttavia mi avevano fatto portare altri indumenti — pantaloni e giacca di pelle, probabilmente dal piu vicino K-Mart — cosicche non ero piu costretto a recitare la parte dell’ospite in abito da sera. Ma cio non m’impediva di sentirmi ancora tale. Mentre mi aggiravo intorno al portale dovetti fare un balzo indietro per evitare un cingolato in uscita, carico di barelle, e andai a urtare in un altro sfaccendato indolente come me. — Scusi — dissi, e poi vidi le stellette di generale sul suo colletto. — Gesu Cristo! — esclamai.

— No — borbotto acremente il Generale Magruder. — Sono soltanto io, maggiore DeSota.

Non e facile sentirsi tristi per un Generale, specialmente per un Generale come Facciaditopo Magruder. Ma quello che mi stava davanti era completamente diverso dall’uomo che m’aveva triturato fra i denti giorni addietro nel New Mexico. Sembrava portarsi addosso tutto il peso del destino, e non mi occorse molto per scoprirne il motivo. Basto che gli domandassi, con formale cortesia, quale aspetto dell’operazione stava dirigendo perche lui grugnisse: — Nessuno, DeSota. Sono stato trasferito. Fort Leonard Wood. Avro un passaggio aereo domattina.

— Oh! — dissi. Non c’era nient’altro da dire. Quando un generale viene tolto dal teatro d’operazioni e mandato a dirigere un campo d’addestramento, quella e la sola parola che si e autorizzati a dirgli. Suppongo pero che la mia faccia rivelasse cio che stavo pensando, perche lui mi sorrise. Non fu precisamente un sorriso amichevole.

— Se e ancora preoccupato per un’eventuale corte marziale — disse, — se ne dimentichi. Ci sono almeno cento individui in fila davanti a lei.

— Questa e una buona notizia, signore — risposi.

Mi gratifico di un’occhiata fra sorpresa e disgustata. — Buona? — grugni, come masticando la parola. — Io non userei l’espressione «buona notizia» davanti a… a questo! — agito un braccio verso il portale, da cui un sergente vacillava fuori sorreggendo una donna coi gradi da sottotenente la cui testa era completamente avvolta in bende zuppe di sangue. Il generale esplose: — Quella stupida cagna di una Presidentessa! Perche ci ha costretti a farlo?

— E una pazza, signore — dissi, per compiacerlo.

— Sicuro, una maledetta pazza! Ma — aggiunse cupamente, — se non altro io riesco a capire il suo genere di pazzia. Non e una traditrice, lei. E quel dannato testaduovo…

— Signore?

— Lo scienziato! — sbotto. — Non parlo di Douglas. Quello che gli avevamo messo alle costole. Sa cosa viene a dirci, adesso? Avremmo potuto salvare l’intera fottuta operazione! Ci sono altri mondi che potevamo usare, mondi dove non c’e gente per niente!

— Niente gente, signore?

— Dove l’intera dannata razza umana si e tagliata la gola anni fa. Li ha visti con l’apparato-spia. Mondi dove c’e stata una guerra nucleare totale, negli anni sessanta o settanta. Certo qualcuno e troppo radioattivo, non e possibile utilizzarlo. Ma altri non lo sono. Avremmo potuto passare attraverso uno di quelli. Nessuna opposizione. Nessuno a metter bocca negli affari nostri. Avremmo potuto mandarci un intero esercito, una flotta, fare base in Russia e piazzare portali dove ci sarebbe piaciuto meglio. Non avremmo avuto bisogno neppure di bombardarli. Sarebbe bastato spingere oltre il portale una testata nucleare, o anche mille, in tutti i punti chiave della loro dannata steppa… bah! Volete una tazza di caffe? — termino, bruscamente.

— Ecco…

— Andiamo — disse, e attraverso la strada verso l’edificio del quartier generale. — Inutile formalizzarci — bofonchio, girandosi a mezzo, — adesso che tutto sta andando a farsi fottere.

Anche un generale rilevato dal comando ottiene quello che vuole. Il colonnello che stazionava nell’astanteria mi guardo con aria allusiva mentre passavamo oltre, ma non apri bocca, neppure quando Magruder riempi due tazze di caffe al distributore e me ne porse una.

— Questa nuova operazione, generale… — cominciai a dire.

— Gia, certo. L’abbiamo mandata a catafascio, credo. Ma il fatto e: quanto tempo ci rimane?

— Tempo, signore?

— I russi — preciso. — Si stanno mobilitando. — Ingoio un lungo sorso di caffe. Era si e no due gradi sotto il punto di ebollizione, e mi ci ero gia ustionato le labbra. Magruder doveva avere la gola laminata in bronzo. — Il mondo sta per saltare in aria, DeSota — disse stancamente. — I prigionieri parlano con le guardie, le guardie parlano con le loro amichette, i feriti parlano con le infermiere, e i giornalisti piombano addosso a tutti come avvoltoi. Non potremo tenere il coperchio sulla pentola ancora per molto… qual e il problema, colonnello? — chiese, voltandosi verso l’ufficiale di picchetto.

Il colonnello s’era avvicinato, con un foglio in mano. Lo agito nella mia direzione. — Scusi, signore — sbotto, in tono per nulla di scusa, — ma quest’uomo e Dominic DeSota, no? Cristo, DeSota, che accidenti sta facendo qui? E nel posto sbagliato! Mi risulta che dovrebbe essere gia passato dal punto di uscita… tolga le chiappe da qui e vada immediatamente allo zoo!

Magruder parve stabilire che una corsa in auto con me era quel che gli si addiceva. Non pronuncio parola. Si limito a balzare sulla jeep da una parte mentre io saltavo dentro dall’altra, e certo non stetti a obiettare. Continuo a tacere anche quando l’autista filo via facendo stridere i pneumatici. Non c’erano molte auto in giro. I civili avevano ubbidito agli ordini, e quelli che non stavano tappati in casa erano pochissimi. I semafori seguitavano a lavorare pero al loro solito ritmo, e oltrepassammo gli incroci facendo ululare il clackson, rosso o verde che fosse, ma non trovammo nulla a ostacolarci finche non girammo sul viale.

E l’autista dovette inchiodare di colpo i freni.

Il viale era bloccato per tutta la sua lunghezza. Sembravano gli schieramenti preliminari per la parata del Giorno delle Forze Armate, con le rappresentanze di ogni arma in sosta anche nelle stradicciole laterali, e i capisquadra dagli elmetti rossi o dorati che andavano nervosamente avanti e indietro accanto ai loro veicoli in attesa di ricevere via radio il segnale di partenza. Solo che non si stavano preparando a una parata. Si preparavano a varcare il portale, per attaccare la Signora Presidentessa. E in quello scenario c’era una nota anacronistica: una corsia del viale era stata tenuta aperta per evacuare un po’ degli animali piu ingombranti dello zoo, tutti quanti mezzo imbizzarriti per il rumore e la confusione. Veicoli simili a vagoni ferroviari, con porte e finestre di sbarre, stavano portando via leoni, leopardi e gorilla. Dietro di questi dozzine d’inservienti frenetici

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