stavano facendo marciare le giraffe, gli elefanti e le zebre nella calda notte di Washington. Il nostro autista suono rabbiosamente il clacson. Un elefante scalpito con un barrito minaccioso. — Al diavolo! — mi grido all’orecchio Magruder. — Impossibile passare in questo caos! Dobbiamo proseguire a piedi!
Anche a piedi non fu un divertimento. I cingolati da assalto erano fermi in lunghe file, e zigzagare fra essi significava finire ogni tanto quasi fra le zampe degli elefanti… e dover saltare, qua e la, mucchi di sterco d’elefante. Facciaditopo Magruder avanzava come un mediano di mischia in possesso di palla fra la difesa avversaria, voltandosi a lanciarmi richiami a cui non rispondevo neppure, occupato com’ero a farmi strada verso il cancello dello zoo oltre il quale c’era il portale.
Nessuno era in via di passaggio attraverso il rettangolo nero.
— Dannazione! — impreco ancora Magruder. — Andiamo! — E si diresse al bar dello zoo, dove gli ufficiali in comando si stavano affollando attorno a un televisore.
— Qual e il problema qui, eh? — sbotto. Un generale con due stellette si volse.
— Guardi lei stesso. — Agito un pollice verso lo schermo. — C’e una trasmissione via satellite dal palazzo delle Nazioni Unite, a Ginevra.
Un diplomatico grasso, con occhiali a pince-nez, stava leggendo qualcosa alle telecamere. La voce che si udiva era pero quella di una donna, che traduceva dal russo all’inglese.
— I russi? — chiese Magruder.
— Indovinato — annui l’altro generale. — Quello che sta parlando e il delegato sovietico. Nota la sua faccia stanca? Sono circa le sei di mattina laggiu; dev’essere rimasto in piedi tutta la notte.
— Che cos’ha detto, signore? — domandai io.
— Be’ — riferi asciutto il generale, — sta dicendo che hanno… come le ha chiamate? le prove incontrovertibili che stiamo portando avanti un attacco contro di loro passando attraverso un mondo parallelo. Ha detto che se non ritiriamo immediatamente le nostre truppe la Russia agira come davanti a un’invasione del suo territorio. C’e quasi da ridere, no? I russi che proteggono gli americani da altri americani!
Deglutii saliva. — Questo significa che…
— Che ci attaccheranno? Si, sembra che voglia dire questo. Percio puo anche trovarsi da sedere da qualche parte. Abbiamo bloccato ogni movimento di truppe finche qualcuno non decidera quel che dobbiamo fare… e ringrazio Iddio che quel qualcuno stia molto piu in alto di me.
Non riuscireste mai ad abituarvi a saltare da un tempo parallelo a un altro, neppure se sapeste che e quanto vi sta accadendo.
Io non lo sapevo.
Tutto cio che seppi fu che un momento prima stavo affrettandomi giu per le scale che scendevano dall’appartamento della Presidentessa, con gli occhi fissi sulla donna che amavo. E un momento dopo, senza alcun percepibile intervallo di tempo (avrebbero potuto essere ore, e avrebbero potuto essere giorni) giacevo disteso sulla schiena mentre una voce mi sussurrava dolcemente all’orecchio che non avevo nulla di cui preoccuparmi. Quello era proprio il genere di cose che riuscivano a preoccuparmi. Sapevo riconoscere una bugia quand’era abbastanza grossa, e un nodo d’angoscia mi strinse alla gola.
Questo era cio che provavo a livello mentale. Ma il mio corpo non sembrava far parte di quel tormento, di quell’angoscia. Giaceva immobile e perfettamente rilassato. Non avevo mai provato una tale rilassatezza fisica fin’allora, salvo forse ogni tanto dopo un amplesso davvero prolungato con Nyla quando ambedue ci abbandonavamo piacevolmente sfiniti. Non voglio dire che le mie condizioni avessero qualcosa di sensuale, solo che ero in uno stato di pieno e completo riposo muscolare.
Non c’era motivo che giustificasse questo. C’erano mille motivi per cui avrei dovuto essere teso e allarmato, e avrei dovuto sentirmeli come un groviglio doloroso nei muscoli e nei nervi. Inoltre nulla di quel che potevo vedere o sentire sembrava fatto per rassicurarmi. Ero disteso su un giaciglio duro in un locale simile a una stanza mortuaria delle piu macabre. C’era un’altra dozzina di giacigli oltre al mio, ciascuno con un corpo umano su di esso. L’acre odore di medicinali e sostanze chimiche mi convinse che doveva trattarsi appunto di una «morgue».
Neanche la persona che mi stava sussurrando all’orecchio era rassicurante. Non aveva faccia. Uomo o donna che fosse, cio che riuscivo a vedere era un velo color carne che celava tutto dai capelli al mento. Oscillava appena, mentre la voce parlava, ma sotto di esso non s’indovinavano forme o lineamenti d’alcun genere. Lei (o lui) stava dicendo: — Sara trattato bene, uh, senatore, uh, DeSota, e godra della piu completa liberta personale. — E mi poteva vedere, benche non gli/le scorgessi gli occhi, perche le sue mani mi stavano toccando, e dove lui/lei mi toccava avvertivo un formicolio o una fitta di dolore.
Mi stava facendo qualcosa. Potevo solo lasciare che lo facesse.
E c’era un’altra cosa che dovetti lasciar succedere. Non voglio dire che non fossi scosso, o preoccupato… diavolo, ero terrorizzato! Ma qualunque cosa la mia mente provasse a dire al mio corpo esso non ubbidiva: faceva cio che gli diceva di fare qualcun altro. Non c’era bisogno che gli fosse detto in parole; tocchi e gesti bastavano, e all’istante il mio corpo si muoveva, si girava, o presentava al richiedente la parte da lui desiderata.
D’un tratto ricordai che avevo gia visto qualcosa di simile, dopo che Nyla Senzapollici e il suo gorilla erano stati recuperati insieme a noi dalla stanza del motel nel New Mexico. Ma loro erano addormentati. Questo era molto, molto peggio. E in quell’occasione io ero stato solo uno spettatore. Non avevo mai immaginato di poter subire un trattamento cosi indegno, col mio corpo che si girava da una parte e dall’altra, da solo, offrendosi poi a una specie di sculacciata finale.
Fu a quel punto che mi accorsi d’essere nudo. E avrei anche potuto non arrivare a quella constatazione se la voce non avesse detto: — Puo anche alzarsi e vestirsi, adesso, e poi passare nell’
Il mio corpo ubbidiente indosso un paio di short, scarpe da tennis e una specie di maglietta di rete. Il tutto mi aderiva spiacevolmente, non tanto perche fosse della mia misura quanto perche a quel materiale sembrava non importare quali fossero le misure di chi lo indossava. Poi il mio corpo ubbidiente si mise in marcia dietro la donna (o uomo) per uscire da quel locale privo di porte. No, non c’erano porte. E neppure ne apparve magicamente una all’ultimo momento. Cio che accadde fu che lui/lei s’incammino verso il muro e continuo a camminare, e cosi feci io… insieme ad altri sette od otto corpi altrettanto compiacenti i quali appartenevano a persone vestite con un completino da spiaggia color nocciola identico al mio.
E in quanto a questo, eravamo davvero su una spiaggia. O non molto distanti. Il luogo era una sorta di aeroporto, una curiosa mistura di edifici decrepiti e strutture nuove di zecca, e quella era una calda giornata estiva, con la brezza marina che portava con se un forte odore di alghe e di salmastro, e la risacca che frusciava sulla massicciata d’una strada piuttosto malridotta. Oltre il moncone di un palo da bandiera c’era un muro di cemento, sulla cui superficie erano state inserite conchiglie a formare una larga scritta: