Il castello nel quale Dracula era venuto alla luce nel 1431 era scuro e tetro; sulla facciata si aprivano due serie di finestre. Il tetto era in tegole rosse, ma il tempo aveva conferito loro la stessa tonalita cupa dei muri.

Con passo sicuro anche se circospetto, Petru varco la porta secondaria sulla destra dell’edificio: era evidente che il rumeno sapeva perfettamente come muoversi.

Erano appena entrati in un grande atrio, quando un rumore di passi li obbligo a nascondersi in una nicchia. Un vecchio con un cappello nero e un mazzo di grosse chiavi in mano passo davanti al loro nascondiglio.

«Povero Toma, gli anni sono trascorsi anche per lui», disse il tenente Petru con un filo di voce. «Mi sembra ieri che il buon Toma mi teneva sulle sue ginocchia.»

Notando lo sguardo interrogativo di Sciarra, Minhea spiego: «Questo palazzo appartiene alla mia famiglia da generazioni. Toma ne e il custode da quando io sono nato. Seguitemi, maggiore. Dobbiamo agire in fretta. Non voglio che nessuno, nemmeno Toma, venga a conoscenza della nostra presenza».

Nel buio quasi completo Sciarra e Petru salirono l’ampio scalone e giunsero dinanzi alla porta di una stanza del secondo piano. Petru l’apri lentamente, ma non tanto da evitare il leggero cigolio dei vecchi cardini.

Blasko si raggomitolo ancor di piu nel suo anfratto, tra il mobile intarsiato e un angolo della stanza, con la pistola stretta nella mano destra.

«Il principe guarda il sarmale», disse Petru, citando a memoria quanto annotato sul libriccino rubatogli dall’ufficiale ungherese.

Sulla parete dinanzi a loro era dipinto un affresco raffigurante quattro persone sedute attorno a un tavolo. Il tempo e l’umidita avevano lasciato vistose macchie sul dipinto. Petru si avvicino a una delle figure. Si trattava della raffigurazione di un uomo di corporatura robusta, dotato di un bel paio di baffi e con gli occhi a mandorla fissi su un punto lontano. L’uomo del dipinto non indossava abiti ricercati e nessun dettaglio lo distingueva dagli altri due uomini e dalla donna presenti nell’affresco.

«Questo che vedete e l’unico ritratto, giunto sino a noi, di Vlad Dracul padre, principe di Valacchia. ‘Gli occhi del principe guardano il sarmale’, e annotato nel quaderno. Il sarmale e un piatto tipico della cucina rumena, il cui ingrediente principale e costituito da foglie di vite.»

Petru si volse nella direzione in cui sembrava andare lo sguardo dell’uomo con i baffi, e i suoi occhi si posarono sul mobile di legno intarsiato.

Blasko udi i passi che si avvicinavano al suo nascondiglio, mentre Petru prese a osservare con attenzione ognuno degli intarsi mirabilmente eseguiti da un artigiano di qualche secolo prima.

«Questo mobile risale alla fine del Settecento ed e della stessa epoca in cui visse il principe Alexandru, colui che decise che l’anello doveva essere custodito in un luogo sicuro. A lui si deve anche la redazione del libriccino nel quale ha annotato il sistema per trovare il nascondiglio. Ricordo che lo sguardo del personaggio dell’affresco mi incuteva un certo timore quando ero bambino», disse Minhea. «Una foglia di vite, guardate qui, maggiore!» esclamo il tenente indicando un particolare raffigurante una piccola foglia di vite in avorio.

Fu sufficiente una leggera pressione sulla foglia perche il meccanismo scattasse, facendo apparire un cassetto segreto sul lato sinistro del mobile.

Sciarra, affascinato dalla perfezione del meccanismo, osservo l’involucro in seta all’interno del cassetto. Questa fu l’ultima immagine che vide, poi avverti un dolore lancinante al capo e il buio dell’incoscienza lo avvolse.

23

Ottobre 1967

La villetta era una delle tante che si allineavano ordinate nei quartieri residenziali di Tel Aviv.

Asher Breil si guardo intorno soddisfatto, appoggio in terra la borsa e si avvio verso le scale.

Il viaggio di ritorno da Bucarest era stato particolarmente lungo e faticoso: per avvalorare la copertura da lui assunta in Romania era stato costretto a una sosta di alcuni giorni a Ginevra. Le precauzioni non erano mai sufficienti quando si aveva a che fare con i servizi segreti di Ceausescu.

«C’e nessuno in questa casa?» chiese Asher ad alta voce.

Un grido proruppe dal piano superiore: «Papa!» esclamo il bambino prima di lanciarsi a capofitto giu dalle scale.

Asher rimase a osservare Oswald e il suo volto si illumino per la gioia di rivedere il figlio.

I segni di quella rara forma di nanismo, tanto evidenti sul corpo del bambino, per fortuna non erano tali da rendere sgraziati i suoi movimenti: ma la sua crescita si era praticamente fermata quando il bimbo aveva otto anni.

«Hu-ha, papa, oggi e uno yom tovesh per me!» grido Oswald cercando di cingere il padre con le sue braccia.

«Vedo che gli insegnamenti yiddish di Lilith Habar stanno facendo breccia. E comunque ‘buongiorno’ si dice yom tov e non tovesh», disse Asher stringendolo con affetto.

«Se vuoi cambiamo lingua. Sono pronto», disse Oswald ed emise una serie di suoni incomprensibili per chiunque, ma non per i componenti della famiglia Breil. Esprimersi tra di loro in quella specie di sistema cifrato era un gioco che li faceva sentire ancora piu uniti. Il padre aveva detto a Oswald che quell’alfabeto era una versione semplificata di un metodo usato dagli italiani per inviare messaggi segreti nel corso della prima guerra mondiale.

«Posso salutare anche io l’eroe al ritorno dalla guerra?» chiese Aliah Breil, unendosi all’abbraccio e parlando anche lei con quello che tutti loro definivano, ricalcando il nome della celebre scrittura per ciechi, «l’alfabeto Breil».

Aliah aveva capelli corvini e ricci, un viso tondo dalla carnagione leggermente olivastra e, come Asher, un fisico alto e slanciato. Gli occhi neri si posarono in quelli del marito che, una volta rimasti soli, aveva assunto un’aria seria.

«Ti devo parlare, Aliah.»

La donna si raggomitolo sul divano e appoggio la testa sulle gambe dell’uomo.

«Sono a disposizione, maggiore», disse in tono scherzoso.

«Credo che mi dovro trasferire per qualche tempo in Romania, Aliah.»

«Qualche tempo che cosa significa? Giorni, settimane, mesi?»

«Con buone probabilita potrebbe trattarsi di anni. Mi hanno proposto il ruolo di referente per l’Istituto a Bucarest.» Tra i coniugi Breil non c’erano mai stati segreti: quando era necessario Aliah sapeva essere la donna piu riservata che lui avesse mai conosciuto. Ma sapeva anche essere saggia ed equilibrata. Spesso il suo consiglio era stato determinante quando si era trattato di prendere decisioni importanti. E quella che Asher stava sottoponendo alla moglie era una questione di vitale importanza per l’intera famiglia.

«Vuol dire che tu sarai a capo dei nostri servizi di intelligence in Romania? E un incarico lusinghiero e importante», disse Aliah con un moto di compiacimento.

«Frena il tuo orgoglio, donna.» Asher sorrise. «Saro il capo di una rete che non esiste: ci saranno una serie di collaboratori e qualche agente, ma tutto e ancora da costruire.»

«Sono contenta che i tuoi capi abbiano ascoltato le tue richieste. Sei stato tu a scegliere Bucarest come destinazione, non e vero?»

«Gia, sembra che una misteriosa forza mi spinga verso lo Stato governato da Ceausescu, sin da quando sono precipitato col mio aereo nel deserto palestinese…»

«A noi hai pensato, Asher?»

«Certo, tu potrai seguirmi quando vuoi, come una qualsiasi moglie che raggiunge il proprio marito, funzionario di banca, in missione all’estero. Oswald invece dovra prima terminare l’anno scolastico. Poi decideremo se trasferirci in maniera definitiva o continuare a fare i pendolari. Personalmente preferirei questa ultima soluzione, soprattutto pensando all’educazione di nostro figlio.»

«Molto bene, maggiore», rispose Aliah con un sorriso, sfiorando con le sue le labbra dell’uomo. «Ma adesso

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