«Al-’Adiyat, ovvero `Le Scalpitanti’. Questo e il nome della sura…» disse Cassandra Ziegler al telefono con Oswald Breil, che si trovava in chissa quale angolo della vecchia Europa.

La dirigente dell’FBI leggeva gli appunti che si era preparata: non voleva correre il rischio di dimenticare qualche particolare importante.

«Si tratta della centesima sura del Corano. E composta di soli undici versetti e trae il suo nome dal primo di questi», la interruppe Oswald Breil e, all’esclamazione stupita di Cassandra, rispose prontamente: «Bisogna sempre conoscere tutto della concorrenza se si vuole essere competitivi…»

«Sono a un punto fermo, ho effettuato ogni ricerca possibile e devo arrendermi: come sempre, le parole del Corano utilizzate dal Giusto non riescono a indirizzarci in nessuna direzione. Anzi, ho la sensazione che il vero scopo di questi messaggi sia quello di depistarci o di farci perdere tempo.»

«Mi permetta di non essere del tutto d’accordo con lei», intervenne Oswald. «Il disegno nella mente dell’attentatore e sin troppo chiaro: ce lo ha dimostrato in ognuna delle precedenti occasioni. La difficolta sta nell’arrivarci per tempo. Ed e questo che il Giusto non vuole: che qualcuno riesca a sventare in anticipo la sua macabra rappresentazione.»

«Una rappresentazione nella quale il numero delle vittime innocenti cresce in maniera esponenziale: sembra che il Giusto», aggiunse Cassandra, «sia appagato dal progressivo aumento del numero dei morti e dei feriti nel corso dei suoi attentati. La cosa che piu mi spaventa e che, durante i suoi due anni di operativita, quell’infame ha lasciato dietro di se tracce molto labili, non sufficienti a indicarci una direzione verso cui rivolgere le indagini…»

«…mentre l’opinione pubblica, quella occidentale intendo, sembra del tutto indifferente», concluse Breil. «E come se l’Occidente, in fondo, avallasse la legge del taglione’ che il Giusto ha adottato: il fatto che si accanisca solo contro obiettivi musulmani potrebbe essere la prova che egli si immagina nelle vesti di una sorta di giustiziere.»

George Glakas impreco ad alta voce: le pareti del suo ufficio al quartier generale della CIA erano insonorizzate al punto di garantirgli una privacy pressoche assoluta: «Il mondo sembra pronto a sfornare una serie infinita di quei suicidi figli di puttana!» disse mentre osservava le raccapriccianti immagini di un attentato kamikaze contro un convoglio americano nel Nord dell’Iraq. «Dio maledica tutti i fanatici islamici e le puttane che li hanno messi al mondo.»

La missiva con il timbro di massima urgenza posata sul suo tavolo era passata in secondo piano: a che scopo perdere tempo e forze per tentare di scovare colui che, di fatto, stava ripagando il Medio Oriente con la stessa moneta?

Distrattamente osservo i versetti del Corano che avrebbero potuto indicare il luogo del prossimo attentato. In cuor suo Glakas sperava che anche la prossima azione terroristica del Giusto si risolvesse in una carneficina di seguaci di Allah. Poi, con l’aria sfiduciata di chi ha l’obbligo di obbedire a un ordine nel quale non crede, sollevo il ricevitore. «Come al solito nessuna traccia, vero?» chiese al responsabile della Scientifica, quindi continuo. «I nostri amici dell’FBI avranno vivisezionato la missiva del Giusto, prima di recapitarcela. Non capisco perche non ci fanno avere anche i risultati delle loro analisi… cosi perderemmo meno tempo a rifarle.»

Detto questo decise che l’argomento era chiuso e ricomincio a lavorare su documentazioni e foto segnaletiche che si riferivano a terroristi mediorientali: quelli si costituivano un serio pericolo per l’Occidente. Al diavolo il Giusto, i suoi attentati, il sigillo e i versetti del Corano.

George Glakas aveva cose piu importanti su cui lavorare, adesso.

22

Sighisoara, Romania, maggio 1917

La nebbia era adagiata sul fondovalle come un candido manto: nascosto alla vista, il Tirnava scorreva placido. Era ancora l’alba, ma presto un sole primaverile avrebbe sciolto le brume mattutine e svelato il verde intenso della campagna rumena.

Il suono argentino dei campanelli appesi alle sponde del carro aveva accompagnato i due falsi nomadi rudari dall’inizio del loro viaggio.

«Sighisoara e sempre stato un importante nodo di transito commerciale tra la Germania occidentale e Costantinopoli. Inoltre era tappa obbligata per i traffici tra la Polonia, il Baltico e le citta della Lega anseatica», disse Petru mentre si inoltravano nella periferia della citta. «Qui il padre di Vlad Tepes visse per alcuni anni a partire dal 1431, e qui nacque Dracula. Nel 1431 colui che chiamero Vlad Padre, per distinguerlo da Vlad Dracula, l’Impalatore, aveva ricevuto l’investitura a cavaliere dell’Ordine del Drago…»

«E che cos’e l’Ordine del Drago? Non ho mai sentito parlare di un ordine cavalleresco cosi chiamato», disse Sciarra.

«L’Ordine del Drago venne istituito, sotto forma di setta segreta, dall’imperatore tedesco Sigismondo di Lussemburgo e dalla sua seconda moglie, l’imperatrice Barbara», spiego Petru. «Come altri ordini cavallereschi medievali, l’Ordine del Drago nacque per proteggere la Chiesa cattolica dalle eresie e dalle minacce dell’Islam. Nella cruenta repressione dell’eresia ussita, i cavalieri del Drago ebbero un ruolo da protagonisti; tentarono anche di organizzare una crociata contro i turchi, ormai padroni di ampie fette di territorio balcanico, ma il progetto non venne mai attuato. Buona parte dei potenti dell’epoca, come Ladislao di Polonia o Alfonso V d’Aragona, il Magnanimo, erano cavalieri del Drago.

«Alcuni individuano l’etimologia del termine Dracul proprio dalla radice Drac, ovvero Drago nella nostra lingua. Ma potrebbe darsi che il nome derivi dalla parola Dracul, che vuol dire ‘Demonio’.»

«Sia il padre che il figlio si chiamavano nello stesso modo?»

«Si, eccettuata la ‘a’ che sta a indicare il patronimico. Dracula starebbe a significare ‘figlio di Dracul’… Ma adesso dobbiamo smettere di parlare in italiano: stiamo per entrare in citta e, se scoprissero che siamo ufficiali di quell’esercito, pur di guadagnare credito presso gli usurpatori molti abitanti sarebbero pronti a denunciarci agli asburgici.»

Bela Blasko aveva cercato di seguire le istruzioni contenute nel quaderno sottratto all’ufficiale rumeno Minhea Petru. Qualche particolare, pero, gli era forse sfuggito, dato che non riusciva a trovare il prezioso manufatto che stava cercando. Eppure doveva essere li, non lontano da lui. Ma aveva tempo, molto tempo, adesso che la Romania era stata occupata dalle truppe ungheresi.

Non appena gli era stato possibile aveva chiesto il trasferimento a Sighisoara: voleva a tutti i costi impossessarsi dell’Anello dei Re e del resto del tesoro che, stando alle indicazioni, doveva trovarsi fra le mura del castello.

L’ufficiale ungherese sedette su una sedia e prese a sfogliare nuovamente il libriccino e gli antichi documenti. Si soffermo sul racconto della leggenda secondo cui chiunque portasse l’anello al dito sarebbe stato dotato di enorme potere. L’anello, a seguito di una serie di vicissitudini, era giunto dall’anulare di un imperatore romano sino a quello del piu temuto tra i voivoda rumeni: Vlad Dracula l’Impalatore. Negli appunti annotati sul quaderno di Petru, che contenevano la traduzione da un antico papiro, si sosteneva che il monile era stato tra i piu cari oggetti di Nerone Claudio Druso, imperatore di Roma.

Uno scalpiccio proveniente dalla strada spinse Blasko ad affacciarsi a una delle strette finestre del castello. Rimase a osservare i due zingari che si accostavano al portone con il loro carro.

Quando i due alzarono lo sguardo, Blasko si ritrasse dalla finestra. Quindi li vide incamminarsi verso una delle porte laterali del palazzo.

Un fremito pervase l’ungherese appena li riconobbe e, d’istinto, la sua mano corse alla piccola Steyr 6.35 che teneva sempre allacciata al polpaccio. I trecentocinquanta grammi della semiautomatica gli infusero sicurezza: si rese conto che, forse, avrebbe potuto volgere a suo favore la situazione. Blasko carico il colpo in canna e si nascose dietro uno dei grandi mobili in legno massiccio che arredavano la sala. Tra poco l’Anello dei Re sarebbe stato suo. Per sempre.

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