La piccola imbarcazione con la quale erano fuggiti da Venezia era in mare da qualche ora. Un vento di poppa li spingeva verso le coste della Dalmazia.

Il volto di Humarawa era cereo, gli occhi parevano pronti a velarsi nuovamente d’incoscienza.

«Hai disobbedito a un mio ordine, Wu», sussurro il samurai.

«Quando starete meglio avrete modo di punirmi, signore.»

«Mandami la bambina», disse ancora Humarawa.

Quando Adil gli fu dinanzi, il samurai parve riprendersi un po’. Non senza fatica si alzo quasi a sedere e disse: «Ho ereditato te come si eredita un impegno oneroso, giovane Adil. Poi, col passare del tempo, mi sono accorto che stavi diventando parte della mia vita. So che sei forte e coraggioso, cosi come sono convinto che al fianco di Crespi e Wu non ti manchera mai niente. Abbi cura di te».

Adil non riusci a dire nulla. Quando si accorse che Wu era dietro di lei si giro verso il gigante e tento di cingerlo con le sue braccia. Appoggio la testa sulla pancia del cinese e comincio a singhiozzare. «Perche devo veder morire tutti quelli che mi hanno amato…?» ripeteva piangendo.

Anche Crespi era sopraggiunto e restava a guardare in silenzio l’agonia dell’uomo con cui aveva condiviso buona parte della sua vita.

«Amici miei… amici…» disse il samurai, prima di perdere i sensi.

«Come sarebbe a dire ‘Sono riusciti a fuggire’?» grido Campagnola, furibondo. «Tre uomini e un fanciullo hanno ferito alcuni dei vostri e si sono dileguati? Eravate in dodici contro tre, avete avuto la possibilita di coglierli di sorpresa e mi venite a dire che ve li siete lasciati scappare? Sarete processato e condannato per questo.»

«Mio signore… quegli uomini lottavano come delle fiere», si giustifico il comandante degli assalitori. «A un certo punto sono scomparsi nel nulla e a noi sono occorse piu di due ore prima di riuscire a individuare il passaggio segreto del palazzo. Uno dei miei uomini e sicuro di aver ferito gravemente il giapponese e le tracce di sangue sulla scala ne sono la prova. Un testimone ha detto di aver visto due uomini caricare un ferito su una barca e di averli sentiti mormorare che avevano intenzione di raggiungere le coste della Dalmazia. Chiedo la licenza di andare al loro inseguimento con i miei uomini. Sara mio dovere rimettermi alla vostra giustizia al mio ritorno, signore Campagnola.»

Sull’imbarcazione regnava un’aria cupa e pesante: nessuno aveva voglia di parlare. Ciascuna delle tre persone che si erano raccolte intorno al corpo di Hito Humarawa pensava a quanto gli era debitore. E adesso il samurai sembrava prossimo alla morte.

Alessandro Crespi ora stava seduto a prua e giocherellava con l’anello d’oro dal quale non si era piu separato dal giorno in cui Humarawa gliene aveva fatto dono, molti anni prima. Un mercante aveva tradotto il testo scritto in greco antico su un rotolo di papiro che era custodito nel cofanetto intagliato. Quello stesso in cui era conservato l’anello. Nel documento si diceva che l’oggetto era appartenuto a un imperatore romano. Ma anche lo stesso traduttore aveva detto a Crespi che il gioiello sembrava risalire a un’epoca precedente al periodo imperiale e che era sicuro di averne sentito parlare nelle Sacre Scritture. Quasi certamente era appartenuto a una persona di alto retaggio in Terra Santa, dato che recava incisa la stella a sei punte degli ebrei e che veniva chiamato «Anello dei Re».

La mente di Crespi corse al forziere: molti anni prima la sua amicizia con Humarawa lo aveva costretto a fuggire dal Giappone, ma erano riusciti a portare via buona parte del tesoro che apparteneva al samurai, caduto improvvisamente in disgrazia presso l’imperatore. Quel tesoro aveva consentito loro di stabilirsi a Venezia e di diventare immensamente ricchi. Da quella esperienza, Crespi aveva ereditato l’abitudine di non andare mai in nessun luogo senza portare con se quella consistente fetta del suo patrimonio. Dopo aver respinto l’attacco nel palazzo veneziano, gli erano stati sufficienti pochi istanti per prelevare il forziere e poi imboccare il passaggio segreto che li avrebbe fatti sbucare dove una barca era sempre ormeggiata e pronta a salpare.

Wu, con un coltello, cercava di rendere sempre piu appuntita l’estremita di un pezzo di legno. Sembrava che il lavoro lo occupasse molto, in realta cercava in tutti i modi un alibi che lo costringesse a non alzare lo sguardo sul suo padrone: gli occhi del cinese erano gonfi di lacrime per l’agonia a cui doveva assistere impotente.

Solo Adil non faceva nulla per nascondere il suo dolore e piangeva silenziosamente, ma senza ritegno. Era preda di due sentimenti contrastanti, ma strettamente imparentati tra loro: la rabbia e il dolore.

La comparsa della terraferma non venne accolta con l’entusiasmo con cui di solito i marinai salutano dal mare la vista di luoghi abitati.

Mantenendosi sempre sottocosta, avevano diretto a sud, in direzione dei principati serbi, e oltrepassato la citta di Spalato.

Erano sbarcati su una spiaggia a sud della citta: per prima cosa dovevano assicurare a Humarawa le dovute cure. L’idea di Crespi, sia che il samurai si riprendesse, sia che non riuscisse a sopravvivere, era di riguadagnare l’Oriente, terra nella quale la ricchezza del mercante veneziano avrebbe garantito loro l’immunita.

Crespi, da solo, si era recato in citta dove aveva pagato con oro e pietre preziose un carro, un ronzino malandato e un asino dal carattere indomabile. Avevano quindi caricato Humarawa sul carro e si erano messi in viaggio verso la citta di Ragusa, il cui porto costituiva la tappa obbligatoria per le navi in rotta per Costantinopoli, a sua volta punto d’arrivo delle carovane dirette a Oriente. Grazie ai floridi rapporti commerciali che la citta intratteneva con la Repubblica veneziana, Crespi confidava che qualche notizia riguardante i loro inseguitori li avrebbe prima o poi raggiunti. Dovevano stare all’erta perche sapevano bene, Crespi e Wu, che il fatto di muoversi portandosi appresso un ragazzino e un giapponese ferito li avrebbe resi facilmente riconoscibili.

Ma, negli ultimi tempi, i legami tra i principati e la Repubblica si erano molto diradati a causa della peste divampata a Venezia: il timore del contagio era capace di tener lontano anche il piu avido dei mercanti o il piu fedele tra gli alleati.

La peste… Nella concitazione della fuga si erano quasi dimenticati della minaccia orribile a cui erano scampati… ma erano riusciti a scongiurare il pericolo del Male?

Nella vicina citta di Ragusa tutti la chiamavano «la strega» ed erano in molti a cambiare strada quando la incontravano sul loro cammino, nelle rare occasioni in cui la donna vi si recava.

Pochi conoscevano il segreto della sua vita: un marito che, reso pazzo dal vino e dalla vita dissoluta, era rientrato una notte e aveva cercato di sgozzarla, prima di ammazzare il loro figlio e di togliersi la vita. Miracolosamente la donna era sopravvissuta e aveva deciso che da quel momento avrebbe evitato il contatto con chiunque, annichilita dal grande dolore che si era insediato dentro di lei.

Erano trascorsi quasi sette anni da quando la strega si era costruita una casupola su di uno sperone di roccia ai limiti della spiaggia a ovest della citta, e ora viveva in solitudine raccogliendo erbe curative che poi vendeva a un guaritore che passava da lei ogni due o tre mesi.

La vista del carro le fece alzare gli occhi.

«Avete acqua e bende pulite, donna?» chiese il veneziano seduto a cassetta. Accanto a lui stava un gigantesco orientale che teneva sulle gambe un bambino di una decina d’anni, piu o meno la stessa eta di suo figlio, prima che la follia del marito lo uccidesse.

«L’acqua e nel pozzo, servitevi pure. Bende, invece, non ne ho.»

«Ve ne prego, donna. Un nostro compagno e gravemente ferito.»

Cosi dicendo Crespi indico il cassone del carro. La strega si sporse oltre la sponda e osservo a lungo l’uomo adagiato sul pianale.

«Quest’uomo ha la morte dipinta in volto», disse la donna. «A poco serviranno delle bende pulite. Fermatevi e consentitegli di riposare — e forse di morire — in pace e non tra i sobbalzi del vostro carro.»

«Non possiamo fermarci, donna. Vi ho chiesto delle bende e dell’acqua e non dei consigli.»

«Fate come volete. Pensavo voleste dare un po’ di sollievo al vostro compagno. Vi ho detto dove si trova l’acqua. Il resto non mi interessa.»

Cosi dicendo la donna volse loro le spalle ed entro nella catapecchia.

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