occhio nudo — solo grazie al fatto che la carlinga del mio aereo, nell’impatto col suolo, ha smosso buona parte della sabbia che ne precludeva l’accesso. Una volta entrato, ho rinvenuto il registro militare da lei redatto e alcune delle lettere che lei e un certo Minhea Petru vi eravate scritti. Quasi certamente quel rifugio non veniva violato dai tempi della Grande Guerra: al suo interno erano ancora evidenti i segni di una violenta battaglia. Gli unici compagni che ho avuto durante il mio soggiorno forzato sono stati i resti di alcuni soldati che vestivano abiti arabi e che, evidentemente, hanno avuto minore fortuna di lei, generale.»

«La collina-bunker numero 164», disse l’italiano, in preda al vortice dei ricordi.

«Vedo che ha un’ottima memoria, generale Sciarra della Volta.»

«Gia… un’ottima memoria, signor Breil… un’ottima memoria.»

«Le chiedo di raccontarmi quello che e accaduto nel tempo che ha preceduto e seguito l’attacco al bunker 164. Lei, generale, potrebbe essere l’unica persona al mondo a conoscere il destino di un oggetto di grande importanza per il mio popolo: l’Anello dei Re.»

«E una storia lunga, colonnello Breil…»

«Ho tutto il tempo, generale, ho tutto il tempo…»

Il sole stava scomparendo dietro alle cime. Il generale Sciarra della Volta aveva detto il vero affermando di avere un’ottima memoria, nonostante fosse prossimo agli ottant’anni. Il passato gli si presentava nitido come i fotogrammi di un film, ed egli sapeva che quel passato avrebbe ancora potuto farlo soffrire. Respiro a fondo l’aria tersa della sera in montagna. L’imponente anfiteatro delle Dolomiti che sovrastava la conca di Cortina andava colorandosi di rosa, mentre l’anziano eroe della Grande Guerra incominciava a parlare.

Con precisione quasi maniacale il generale ricostruiva i fatti in maniera dettagliata. Nel frattempo, Asher Breil prendeva appunti.

Quando, tre giorni dopo, Sciarra disse: «Cosi sono andati i fatti, signor Breil», Asher aveva riempito una trentina di pagine e lo aveva fatto utilizzando il linguaggio che soltanto lui e pochi altri sapevano decifrare.

PARTE TERZA

A che giovano le memorie? Di noi muore la miglior parte e non ci e memoria che possa resuscitarla.

Francesco De Sanctis, La Giovinezza

28

Ragusa, 1348

Le urla spaventate e irose degli avventori della locanda non impensierirono Wu che, con il pesante fardello di Crespi sulle spalle, correva senza voltarsi verso il porto. Il piccolo Adil gli stava appresso.

Non appena giunsero al mare, i tre salirono su una barca da pesca ormeggiata in banchina e, dopo aver deposto sotto la piccola tuga l’amico, Wu ordino a Adil di mollare gli ormeggi e dispiego al vento l’unica vela. Pochi istanti piu tardi si trovavano fuori dal porto spinti da una brezza leggera e costante. Ancora una volta in fuga.

Ma fuggire, questa volta, sarebbe stato ancora piu arduo: lo spettro della peste era ben piu pericoloso dei sicari di Campagnola.

«Credi… credi si tratti di peste, Wu?» chiese Adil indicando il volto pallido e madido di sudore di Crespi.

«Purtroppo si, Adil», rispose il pirata cinese manovrando il timone. «Sulla terraferma non avremmo avuto via di scampo. Meglio prendere il largo e sperare che il contagio non colpisca anche noi. Di certo nessuno si mettera al nostro inseguimento.»

«Gia…» rispose Adil, a cui la vita stava velocemente insegnando a ragionare e a comportarsi da adulto, «… il contagio… me ne ero quasi scordato. Pero e vero che in passato siamo stati spesso insieme a gente che poi si e ammalata. Vuol dire che noi siamo immuni dalla peste?»

Quando furono al largo Wu calo le reti. Data la situazione, Wu e Adil potevano stare relativamente tranquilli: nessuno, dalla citta di Ragusa, sarebbe andato alla ricerca di una barca di appestati. Per quanto riguardava Crespi, sarebbe stato amorevolmente accudito dai suoi amici piu cari, cosa che era di solito preclusa ai malati, destinati a morire in solitudine a causa del timore del contagio.

«Adil, aiutami!» disse Wu indicando i remi, mentre la rete veniva calata di poppa. «Spingi lentamente la barca in modo che compia un semicerchio. Speriamo di riuscire a pescare abbastanza pesce per sopravvivere. E che tu abbia ragione quando dici che potremmo essere immunizzati nei confronti del morbo.»

«Ho sentito dire che alcune persone sono riuscite a sopravvivere alla malattia, Wu.»

«Prega il tuo Dio, Adil, e spera che venga in nostro aiuto. In questo momento navighiamo davvero in cattive acque, molto piu pericolose di qualsiasi tempesta.» Il gigante osservo il volto livido di Alessandro Crespi e riprese: «I nostri compagni di tante avventure sembrano in procinto di lasciarci entrambi. Non abbiamo piu avuto notizie da Rhoda: chissa se il mio signore Humarawa e ancora vivo».

«Piano, piano… senza fretta…» La mano di Rhoda sorreggeva la testa del guerriero giapponese, mentre questi accostava le labbra al bordo della ciotola d’acqua.

La donna guardo l’uomo con aria soddisfatta: «Tu vivrai, Humarawa. Ora ne sono certa. Tu vivrai».

Era ormai trascorsa una settimana dalla precipitosa fuga dalla locanda: sette giorni passati in mare aperto, pescando. Con l’unica eccezione di un paio di approdi su isole deserte per approvvigionarsi di acqua potabile, si erano sempre tenuti lontani dalle terre abitate.

Adil osservo il gigante mentre abbandonava il capo e chiudeva gli occhi in preda alla stanchezza. Wu, per precauzione, non aveva mai voluto che Adil si occupasse del malato, ne che gli somministrasse l’acqua o il poco cibo che Crespi riusciva a ingoiare nei sempre piu rari momenti di lucidita.

Il mercante emise un flebile lamento. Adil gli si avvicino e Crespi apri gli occhi.

«Sto morendo, piccola mia», disse rivolto a colei che tutti chiamavano ormai Adil. «Non ti avvicinare. Restami lontana il piu possibile e, se proprio dovrai farlo, copriti bocca e naso con un cencio.»

Crespi parlava con fatica. «Avete con voi il cofanetto?» chiese il veneziano.

«Certo, tu stesso hai ordinato a Wu di non abbandonarlo mai, li dentro e conservato il nostro avvenire.»

«L’avvenire… guarda a che cosa si riduce il mio avvenire…» Un violento colpo di tosse scosse il mercante. «Voglio darti una cosa, Adil. Prendi il cofanetto e aprilo. La chiave e appesa alla catena che porto al collo.»

Adil si copri con uno straccio sudicio le narici e la bocca, quindi sfilo la chiave dalle maghe della ricca catena d’oro. La bimba riusci a non tradire il suo turbamento dinanzi alla pelle dell’uomo ormai ridotta a una distesa scura di ecchimosi.

Adil apri il forziere. Al suo interno c’erano gemme di ogni colore e forma, che in comune avevano la notevole caratura. Inoltre c’erano gioielli cesellati e lingotti d’oro di piccole dimensioni che avrebbero potuto essere contenuti in una borsa da cintura.

«Vedi, Adil… questo e sempre stato l’unico bagaglio da cui non mi sono mai separato. E il mio tesoro e ora il vostro futuro. Guarda sotto al cuscino di raso rosso che si trova sul fondo.»

Le mani della giovane sollevarono il piccolo cuscino ricamato e, sotto di questo, Celeste vide due oggetti. La sua attenzione fu attirata da uno dei due: si trattava di un antico anello d’oro. Era meno appariscente degli altri gioielli contenuti nel cofanetto, ma era come se fosse dotato di uno strano magnetismo: chiunque lo guardava ne era irresistibilmente attratto.

Adil osservo con attenzione l’anello: due triangoli si intersecavano tra di loro formando una stella a sei

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