un’eccitazione quasi infantile. Non era questa che le dava fastidio, ma piuttosto la sensazione di non riuscire a controllare i suoi stati d’animo ogni volta che la vita di Oswald Breil si incrociava con la sua.
«Sara Terracini, la donna tutta studi e archeologia, non riesce a fare a meno di scodinzolare felice quando in giro c’e Breil», si disse scuotendo la testa, prima di aprire la casella di posta e leggere il messaggio che Oswald le aveva mandato.
‹A CHE PUNTO SEI ARRIVATA? NON SONO MAI STATO COSI IMPAZIENTE. D’ALTRONDE SI TRATTA DELLA MIA FAMIGLIA. APPENA HAI QUALCHE COSA ME LA MANDI?? DALLE TUE PARTI DOVREBBE ESSERE CIRCA MEZZOGIORNO, CHIAMAMI SE HAI TEMPO, GRAZIE.›
«Va bene, Oswald, va bene… Ti chiamero durante l’orario di pranzo, cosi non potrai rimproverarmi per aver sottratto tempo al mio lavoro. Tanto tu non dormi mai… Agli ordini, capo…» Sara mimo un saluto militare, quindi scosse la testa… «Se non ci fossi tu, Breil… se non ci fossi tu… mi sentirei davvero sola.»
Lo sguardo della donna si fece malinconico, mentre il volto di Henry Vittard le riaffiorava alla mente. La sua storia con il celebre navigatore oceanico era durata pochi mesi: intensi, carichi di passione e d’amore. Poi tutto era finito. Si erano progressivamente allontanati l’uno dall’altra senza che nessuno dei due facesse niente per impedirlo, come se tra loro non ci fosse stato altro che indifferenza. Ma Sara sapeva che non era cosi e che Henry avrebbe occupato per sempre una parte del suo cuore, cosi come lei sarebbe rimasta per lui qualcosa di piu di una piacevole parentesi sentimentale.
Mentre i pensieri si perdevano nei ricordi, le mani della donna si muovevano rapide sulla tastiera del computer.
«Si, si, criptato, accidenti!» Sara si riscosse e si dedico a un dialogo con il computer che le chiedeva se avesse dovuto procedere a rendere intellegibile il messaggio al solo destinatario.
«Breil mi ha chiesto di crittografare memorie di antichi romani o pittori settecenteschi», continuo Sara, intenta a scambiare due chiacchiere con un monitor. «Figuriamoci con la storia che riguarda i suoi genitori! Comunque ho capito da chi ha preso il vizio degli alfabeti segreti: da suo padre, Asher. Buon sangue non mente! Inizia pure da qui, mio caro Oswald.»
Le dita di Sara impartirono i comandi per allegare il primo tra i file che avrebbe spedito a Oswald. Nemmeno lei conosceva il finale di quella storia che stava mettendo in chiaro per Oswald. «Mettere in chiaro» significava rendere in prosa moderna e leggibile quanto custodito da un antico alfabeto o da un linguaggio segreto. La traduzione ottenuta doveva essere la piu letterale possibile, come le raccomandava spesso Oswald, senza perdersi in errori di interpretazione, voli pindarici o teorie fuorvianti. Cio che lei avrebbe scritto, sempre nella logica di Breil, doveva aiutare a «capire».
Ma per fare cio avrebbe dovuto compiere uno sforzo: avrebbe trasformato quegli appunti in un racconto compiuto, cercando di non perdere la sua obiettivita.
«Meglio di cosi…» si disse Sara premendo sul tasto di invio.
Da ora in poi la ricercatrice si sarebbe trasformata nel narratore di una cronaca affascinante come un romanzo.
34
Dagli appunti raccolti da Asher Breil
a Cortina d’Ampezzo, 1967
«Le dispiace se prendo appunti, generale?» chiese Asher Breil prendendo un quaderno e una matita.
«Niente affatto, anche perche credo che alcune delle cose che le raccontero saranno talmente intricate che non sara male se lei aiutera questa mia testa ormai stanca a fare un po’ d’ordine.»
«Vorrei arrivare io alla sua eta e possedere la sua lucidita.» L’affermazione di Asher non era dettata dall’adulazione: Sciarra della Volta era un anziano signore dalla distinzione innata, con la pelle increspata dagli anni come la superficie di un mare agitato. Nonostante l’eta il suo sguardo bonario era vivo e intelligente. Vestiva in maniera sobria ed elegante e gli abiti sportivi che preferiva gli conferivano un aspetto piu giovanile. Aveva modi garbati e cordiali che mettevano a proprio agio le persone con cui si trovava. Sciarra della Volta apparteneva alla classe 1888…
«Grazie Kimber», disse Sciarra, appena la moglie ebbe posato il vassoio con le tazzine di caffe. Lo sguardo dell’anziano generale parve accarezzare il volto della moglie come una mano invisibile carica di affetto.
Asher pensava a quanto forte doveva essere il legame che li univa se anche lui, un estraneo, lo percepiva tanto nitidamente.
«Come le dicevo, tutto e cominciato il giorno in cui ho incontrato per la seconda volta la donna che sarebbe poi diventata mia moglie… Anche se, in realta, l’inizio risale al momento in cui Minhea Petru venne distaccato presso la mia compagnia di alpini sul fronte dolomitico. Ma i fatti hanno assunto una piega diversa quando io sono giunto a Port Said, in Egitto, nel luglio del 1917…»
A Sciarra capitava spesso di confondere le gocce di sudore che gli rigavano il collo con il tocco di uno dei tanti insetti che si aggiravano attorno alla sua divisa estiva da colonnello del Regio esercito italiano.
Si volse a guardare il piroscafo
«Comandi, signor colonnello. Ditemi dove trovo il vostro bagaglio.» Il colore della pelle del giovane nulla aveva da invidiare a quello dei tanti indigeni che si aggiravano nei pressi del porto. Era solo la divisa da fante italiano che ne provava le origini.
Dietro le spalle del soldato che gli si era appena rivolto in una lingua molto piu vicina al dialetto siciliano che all’italiano, Sciarra vide un’auto scoperta di colore verde militare. Il colonnello penso che la testardaggine dei muli sarebbe diventata presto un lontano ricordo e che l’accoglienza che l’Egitto gli aveva riservato non gli dispiaceva affatto. Era dall’inizio della guerra che non metteva piede su un’auto e quella Ford T Touring gli apparve come un miraggio.
«No, signore, non e quello il nostro mezzo, ma questo. Scusatemi, signore, ho dimenticato di presentarmi… soldato scelto Rocco Cadrici, vostro attendente in terra d’Egitto», disse il giovane, indicando nel contempo un carro militare trainato da due cavalli che sembravano sfiancati dal caldo.
Sciarra sorrise e si lascio andare a una colorita espressione in siciliano, una delle poche parole che conosceva nella lingua dei suoi nonni.
«Quella e la macchina degli inglesi. Si dice che un ufficiale molto ricco di stanza a Port Said l’abbia regalata ai suoi colleghi al momento del congedo per invalidita: una granata turca gli aveva amputato entrambe le gambe.»
Mentre Sciarra aiutava il giovane a caricare i propri effetti sulla ribalta del carro, la sua attenzione fu catturata dalla donna che saliva sulla Ford: era vestita in maniera elegante ma senza fronzoli. Da quella distanza si sarebbe detta molto avvenente, anche se il volto era rimasto celato alla vista di Sciarra.
L’auto parti accompagnata da un borbottio sommesso, seguita dallo sguardo del colonnello italiano il quale non si spiegava il motivo dello strano senso di familiarita che la donna aveva suscitato in lui. Un sergente in uniforme impeccabile era al posto di guida e fungeva da chauffeur.
Lo chauffeur di Sciarra schiocco, invece, la lingua e incito i due cavalli scuotendo le briglie. «L’Egitto, signore, e una terra meravigliosa… c’e tutto quello che si puo desiderare: storia, cultura, intrighi… e le picciotte… signore… le picciotte…» Rocco bacio la punta delle sue dita unite. «Vedrete, signore, avrete modo anche voi di amare questa terra. Il battello per il Cairo e in partenza tra poche ore, signore, dobbiamo affrettarci se non vogliamo restare a piedi.»
Erano trascorsi ormai tre giorni da quando Sciarra aveva raggiunto il Cairo, dopo un viaggio di tutto riposo lungo le acque calme del Grande Fiume. I colori del Nilo erano quanto di piu incredibile la natura riuscisse a offrire: i rossi dei tramonti, i contrasti tra la rigogliosa vegetazione delle rive e il deserto subito dietro, le carovane