di nomadi che ne seguivano il corso con i loro cammelli.
L’invito per la serata era ufficiale e molto formale. Rocco entro nella stanza con l’uniforme da cerimonia del colonnello appena stirata e appesa a una gruccia. «Ecco, signor colonnello, sono convinto che farete una gran bella figura questa sera con gli inglesi.»
«Grazie, Rocco.» Nell’osservare il proprio attendente, Sciarra si chiese come un giovane cosi mascolino potesse adattarsi a svolgere lavori che erano tipici delle donne, come stirare una divisa, fare il bucato o tenere pulito l’alloggio del proprio superiore. In un attimo gli tornarono alla mente le urla dei suoi uomini che, abbandonata la trincea, si lanciavano all’assalto.
Gli parve di sentire ancora una volta il brivido che correva lungo la spina dorsale quando l’urlo: «Gas!» si diffondeva di bocca in bocca nelle gallerie. Vide le smorfie di dolore dipinte sul volto degli alpini feriti o l’espressione di terrore che spesso restava impressa negli occhi di chi moriva. Poi, il suo sguardo si poso nuovamente sul sorriso sfrontato di Rocco che gli porgeva l’alta uniforme.
«Ha ragione lui. Rocco e molto piu furbo di quelli che imbracciano un moschetto e gridano nel corso della carica per farsi coraggio», si disse il colonnello. «In questo modo e riuscito a evitare di essere bollato come imboscato e non corre il rischio di beccarsi una pallottola in fronte. Il rovescio della medaglia e che deve compiere un lavoro poco eroico come quello di accudire un ufficiale. Ma in fondo non riesco a biasimarlo per la sua scelta.»
La sala era affollata da tutte le piu alte personalita militari di stanza al Cairo.
«Permettetemi di presentarvi il comandante delle nostre forze in Medio Oriente, colonnello Sciarra», disse il colonnello Wilson, rappresentante inglese presso lo Stato arabo, rivolgendosi quindi all’altro ufficiale. «Generale Allenby, vi presento il colonnello Sciarra della Volta, dell’Esercito italiano.»
Mentre l’italiano assumeva la posizione di attenti, l’altro gli tese la mano con fare amichevole. «Mi auguro che voi capiate la mia lingua, io non conosco che poche parole della vostra.»
Avuta l’assicurazione che il suo interlocutore si esprimeva in un ottimo inglese, Edmund Allenby continuo: «Vi stavamo aspettando, colonnello e vi do il mio sincero benvenuto. Credo sia opportuno che voi mi concediate una vostra visita… diciamo domani nel pomeriggio… vi lascio un po’ di tempo per ambientarvi». Cosi dicendo il generale si volse, non certo per poco rispetto verso il suo sottoposto italiano, ma per la galanteria di cui Allenby era maestro: un’elegante signora si stava dirigendo verso di loro.
La donna liquido con un sorriso distratto le attenzioni del generale e si pose davanti al colonnello Sciarra. «Alberto… Alberto… quanta felicita… Come stai? Lasciati guardare…»
«Kimber… Kimberly, la mia salvatrice quando ho giocato a fare l’aviatore…»
Rimasero attoniti a guardarsi negli occhi per un istante, poi fu la donna a cingerlo in un abbraccio pieno d’affetto e di sincera gioia.
«Ehm, colonnelli… vedo che il saluto tra parigrado ha un’etichetta del tutto particolare tra gli ufficiali italiani e quelli della Corona britannica. E chiaro che voi conoscete gia il colonnello Kimberly Hadwin della Croce Rossa e capisco che avrete un sacco di cose da raccontarvi. Di certo voi sarete uno degli ospiti piu invidiati della serata, colonnello Sciarra… a domani. Buona serata anche a voi, colonnello Hadwin.»
Il generale inglese aveva ragione: erano troppe le cose che avevano da dirsi e la voglia che avevano entrambi di raccontarsele. Ed entro breve tempo Alberto sarebbe dovuto partire per una nuova e pericolosa missione. Questo pensiero parve prendere corpo nella mente di Kimberly all’improvviso.
Il vento accarezzava le palme e portava una piacevole frescura nel giardino interno del lussuoso palazzo del residente di sua maesta britannica al Cairo. I due colonnelli erano uno di fronte all’altra in un angolo isolato del parco. Cio che si svolgeva tra i due non era un duello, ma i loro occhi saettavano come le lame di cento spade.
Sciarra si chino verso di lei. Kimberly non fece nulla per respingerlo. La sua bocca si schiuse, sotto la pressione di quella dell’italiano. In quel bacio percepirono la forza di un desiderio che gia una volta avevano represso.
«Ho atteso questo momento per giorni e giorni. Non sai quanto abbia rimpianto…» disse Alberto tenendola stretta, mentre lei gli poneva l’indice sulle labbra, facendogli cenno di fare silenzio.
«Non credo sia possibile dire quanto tu mi sia mancato. Non c’e stato un giorno in cui tu non mi sia tornato alla mente.»
Quella volta non avrebbero avuto rimorsi per un’occasione perduta.
35
Mare Adriatico, 1348
«Devi essere fiero di lui, Humarawa», disse il cinese indicando Adil. «Non fosse stato per il nostro piccolo amico sarei diventato cibo per i pesci.»
«Hai ragione. E io devo la vita, oltre che al tuo coraggio, alla nostra nuova amica: senza le cure di Rhoda non sarei qui a parlare con te», disse Humarawa indicando la nuova donna che, ripulita e abbandonati i cenci luridi, pareva non aver piu nulla in comune con la strega che avevano conosciuto.
«Sia pace per Crespi. Abbiamo affrontato insieme insidie e nemici, ed e stato per noi un compagno leale e coraggioso: conservero sempre il ricordo della sua amicizia», aggiunse Humarawa guardando il mare calmo.
«Gia, pace a Crespi», gli fece eco Wu, e subito aggiunse, quasi per allentare la cappa di tristezza che era calata su di loro: «Questa si che e una barca, mio signore, non quel guscio con cui siamo scappati da Venezia».
La cocca, un tempo parte della flotta personale di Campagnola, navigava placida verso sud: dovevano mettere quanta piu strada possibile tra loro e il veneziano. Conoscevano ormai troppo bene la sua malvagita e il suo accanimento.
Il doge annuiva con aria stanca e distratta, mentre Campagnola terminava di formulare la sua richiesta: «A suo tempo ho armato a mie spese una piccola flotta per catturare il pirata Muqatil e liberare il Mediterraneo dalla sua presenza. Adesso, ti chiedo, doge di Venezia, di aiutarmi a sconfiggere quella che potrebbe diventare una nuova minaccia per la nostra citta. I due orientali, un tempo al soldo dei veneziani, che hanno contribuito alla sconfitta del Muqatil, ora si sono rivoltati contro le istituzioni e costituiscono un grave pericolo: dobbiamo intervenire subito. Sono qui per chiederti di armare una galea e di assegnarmi degli uomini per dare la caccia ai nemici. La pestilenza ha quasi prosciugato le mie casse e non posso piu affrontare da solo una simile impresa».
«Mi rendo conto che c’e del vero nelle tue affermazioni, nobile Campagnola. Ma e anche vero che per te liberarti del Muqatil era una questione personale. Non era forse tua figlia quella che ha dato un erede al pirata?»
«E cosi, signore, e anche di figli vorrei parlarvi. Figli del Demonio: sono convinto che i due orientali conducano con loro un giovinetto dagli occhi malefici, un giovane arabo che chiamano Adil: da quando e comparso a Venezia pare che il Cielo si sia accanito contro la citta. Non avevamo ancora finito di sotterrare i morti del terremoto che ci siamo trovati a dover fronteggiare la peste.»
Andrea Dandolo, cinquantaquattresimo doge di Venezia, pur essendo uomo di lettere e di grande cultura era sensibile alla superstizione e temeva le forze oscure del Maligno.
«Non credo che le tue casse siano molto piu asciutte di quelle di noi tutti in citta: il morbo ci ha messo in ginocchio, quindi cio che posso fare e contribuire alle spese di armamento di una caracca e dare la caccia a questi orientali e a colui che tu dici essere il figlio di Satana.»
Con queste parole e con un gesto della mano, il doge pose fine all’udienza privata che Campagnola aveva ottenuto.
Data l’inattivita commerciale dovuta al divampare della pestilenza, pochi se non nulli erano i traffici svolti in quel periodo dalla marineria veneziana.
L’imbarcazione fu disponibile in pochi giorni, con tanto di equipaggio bramoso di allontanarsi dalla citta