Intorno a loro, il vento proveniente dalle porte soffiava sempre piu veloce, freddo e pungente, vibrando di una sovrumana avidita. Le Guardie brontolarono, e la tensione che si andava accumulando tra di loro divenne visibile come il fremito di un filo teso. Anche loro avevano paura!
Ma lo Stregone non si mosse, e il pacato calore della sua voce non subi alcuna flessione.
«Io… io sto sognando…,» balbetto Gil. «Ma questo… io… non e piu un sogno, vero?»
«No,» le rispose gentilmente il vecchio, «ma non aver paura.» Alzo le dita e fece alcuni movimenti in aria che la ragazza non riusci a distinguere chiaramente. «Ritorna ai tuoi sogni!»
Non appena la nebulosita del sonno confuse i suoni, l’odore, la paura, e il freddo della notte svanirono. Gil si accorse che le Guardie osservavano con occhi vuoti le vacillanti ombre blu, le sole cose ancora in grado di vedere. Poi lo Stregone parlo loro brevemente, ed allora essi lo seguirono quando avanzo nel cortile deserto, affrontando il vento cupo e la minaccia di una morte misteriosa qual era quella annidata aldila delle porte.
Sollevo la sua spada, una lama lunga e pesante che scintillo nell’oscurita come un lampo nel cielo sereno. Allora, quasi che un’esplosione avesse colpito l’intero edificio, le porte si spalancarono e l’oscurita che ne promano si riverso fuori come una coltre di fumo.
Gil vide cosa nascondeva l’oscurita, e… furono le sue stesse grida di terrore a svegliarla.
Le mani le tremavano tanto che riusci a malapena ad accendere la lampada sul comodino. L’orologio sul tavolo accanto al letto segnava le due e mezza. Madida di sudore e gelata come un cadavere, Gil si strinse al cuscino mormorando freneticamente a se stessa che si trattava solamente di un sogno…
«Ho ventiquattro anni, sono una studentessa laureata in Storia Medioevale e conseguiro la Laurea in Filosofia tra meno di un anno: e stupido aver paura di un sogno! Ora e tutto finito, e niente di quello che mi e parso di vedere era vero… E stato soltanto un sogno!»
Pronuncio queste parole per convincere se stessa, ma non seppe trattenersi dal lanciare uno sguardo incerto e timoroso alla consolante familiarita degli oggetti presenti nel suo appartamento. I
Penso alla prima ora del seminario che l’attendeva il mattino seguente, poi guardo l’orologio e la lampada, e si mise a riflettere in attesa che sopraggiungesse il sonno. Nonostante fosse una ventiquattrenne prossima alla Laurea in Filosofia, troppo grande quindi per poter essere spaventata dai sogni, si agito a lungo nel letto e, dopo un po’, cerco a tastoni sul comodino la «
Non si accorse di essersi addormentata sin quando non fu l’alba. Stranamente, al risveglio, Gil non ricordo niente del sogno che aveva fatto sino ad una settimana dopo, e quel che ricordo, mentre tornava a casa in macchina — una Wolksvagen rossa — dall’Universita, nella luminosita dorata di un pomeriggio del settembre californiano, fu la voce dello Stregone. Si chiese smarrita dove l’avesse sentita mentre ne rammentava il timbro caldo, la cadenza caratteristica e la sua armonia vellutata capace di scivolare nella durezza per poi tornare ancora vellutata. Ricordo gli occhi, la citta, le ombre, la paura.
Nell’esatto momento in cui svoltava con la sua automobile in Clarice Street, diretta al suo appartamento, capi che quella citta le era apparsa in sogno piu di una volta. Le torno alla mente uno strano particolare del primo sogno proprio nel mezzo della solita manovra nel consueto stretto parcheggio del vicolo cieco in cui era solita fermarsi. Sebbene non ci fosse stato nulla di spaventoso nel sogno, ne era rimasta ugualmente spaventata, e si era svegliata coperta da un sudore gelido e con un senso diffuso di timore.
Aveva sognato di camminare sola in una camera a volta, tanto grande e spaziosa che le linee degli archi tappezzati d’ombra sui quali si appoggiava il basso soffitto a costoloni, sembravano dissolversi nell’oscurita che la sovrastava. Un fitto strato di polvere le ricopriva i piedi e, allo stesso modo, ricopriva un vecchio rotolo di gomena ed un mucchio di malandate scatole di cartone incastrate l’una nell’altra che giacevano tra i pilastri. Piccole particelle della stessa polvere danzavano in aria ed offuscavano il distante bagliore di una fioca luce giallastra proveniente da una piccola lampada di sego che bruciava in lontananza.
La polvere non era pero la sola compagna di Gil: nella stanza aleggiava impalpabile, dotato di ubiquita come le ombre, un senso latente di paura, quasi che creature senz’occhi la stessero osservando nascoste nel buio. La pallida fiamma si rifletteva sugli ampi gradini rossi della scalinata e lasciava intravedere la sagoma di monumentali porte di bronzo. La plumbea oscurita del pavimento sembrava invece assorbire quella luce a dispetto del fatto che il basalto nero di cui era fatto fosse lucido, Uscio come vetro, e levigato dal passaggio di innumerevoli piedi. Come questo potesse accadere, Gil non lo sapeva: era chiaro, dal profondo strato intatto di polvere, che pochissime persone, forse nessuno, venivano in quel luogo.
Il pavimento era antico, piu antico delle pareti, piu antico ancora della stessa citta, e Gil penso, senza essere per niente sicura del perche lo sapesse, che fosse piu antico di qualsiasi citta del genere umano. Una sola cosa era nuova in quell’ambiente: nel bel mezzo di quel cupo impiantito, proprio davanti alla scala, una singola lastra spiccava tra le altre. La sua superficie ruvida, di granito grigio pallido, sembrava stridere nel contrasto con la consumata levigatezza del resto del pavimento, pur se anch’essa era ricoperta da quel millenario mantello di polvere.
Nell’oscurita intorno a lei senti scricchiolare una porta, ed un riverbero di luce si riflette tra gli archi. La ragazza scivolo nell’ombra di un pilastro nascondendosi istintivamente, anche se era conscia che si trattava di un sogno e che i suoi abitanti non avrebbero mai potuto scorgerla perche semplicemente non esistevano.
Dalle scale scese una donna, forse una serva a giudicare dai suoi vestiti, che portava con passi cadenzati un cesto sul braccio e teneva una lampada alta sulla testa. Dietro di lei camminava rumorosamente uno schiavo gobbo che scrutava l’oscurita che si stendeva tutto intorno con occhi foschi e diffidenti.
La donna scese dalle scale con aria indifferente e percorse il cupo pavimento levigato. Cambio direzione per evitare di calpestare il lastrone di granito nonostante il suo obiettivo — una cesta di mele secche — fosse posto sul pavimento alla base delle scale, e lo strano pezzo di granito non fosse affatta sollevato dal resto del pavimento.
Il gobbo scelse un percorso piu ampio, muovendosi di pilastro in pilastro e borbottando tra se senza mai pero distogliere gli occhi acuti pervasi di paura dalla pietra pallida. La donna sollevo la cesta e la porse al gobbo perche la portasse. Riprese quindi a dirigersi verso le scale e poi si fermo, indecisa, come se stesse dicendo a se stessa di non fare la stupida o la superstiziosa… Non c’era alcuna ragione di aver paura, ne dell’oscurita, ne certamente di quella porzione di pavimento di colore grigio invece che nero, che era semplice granito in luogo del basalto. Alla fine, pero, la ragazza scelse la strada piu lunga per evitare di camminare su quella lastra inconsueta.
«
Il ricordo spari come era arrivato, e persino l’idea che i due sogni fossero collegati tra loro, ebbe il solo effetto di una curiosita passeggera. Gil fece poco sforzo per cercare di ignorare quanto le era tornato alla memoria, e tutto torno alla normalita fino a che non si verifico il terzo sogno.
Nulla disturbo la sua esistenza giornaliera; continuo a frequentare le sale della Biblioteca dell’Universita alla ricerca di articoli ed esaminando le cronache di alcune citta inglesi nel Medio Evo. Prese anche molti appunti che alla fine si vide costretta a riordinare, com’era solita fare, sul tavolo della cucina del suo appartamento di Clarke Street, cercando di dare un senso logico a tutta quella massa di dati. Classifico carte non classificate, si affanno su una proposta di borsa di studio, ed intanto continuava la normale routine della sua vita incontrandosi con i suoi amici e con qualche innamorato. Poi sogno di nuovo quella citta assediata!
Si trovava in piedi nel vano dell’alta finestra di una torre. Il bagliore della luna era tanto luminoso che riusciva a distinguere il pavimento del cortile molto piu in basso, e le incisioni sulle maniglie di ferro battuto dei cancelli: scorse l’ombra di una foglia che cadeva, e perfino una sottile crosta di polvere sul terreno. Alzando gli occhi invece, riusci a spingere lo sguardo oltre l’intricato labirinto delle cime degli alberi, e scorse il luccichio dell’acqua in lontananza. Nella direzione opposta, le nere falde delle montagne si stagliavano in distanza contro