l’orlo di un cielo gonfio di stelle.
Nella stanza dietro di lei una solitaria lingua di fiamma si levava dall’argento lucido della lampada sul tavolo e, al chiarore di quella piccola luce ondeggiante, riusci a distinguere i mobili — pochi e semplici — ognuno dei quali era lavorato in ebano ed avorio. Sebbene il loro disegno e le forme le risultassero estranee, riconobbe in quegli oggetti l’afflato creativo di una tradizione salda e stabile, il prodotto di una cultura sofisticata e raffinata.
Si accorse di non essere sola. Contro la parete piu lontana della caverna vi era il mobile piu grande, un letto d’ebano massiccio la cui spalliera, decorata con fili di madreperla, rifrangeva l’esile luce dalla lampada. Sopra al letto, quasi nascosto dalle ombre impenetrabili, si poteva intravedere un alto baldacchino istoriato con un emblema d’oro a rilievo: un’aquila stilizzata in picchiata, sormontata da una minuscola corona.
Lo stesso emblema era ripetuto sui luccicanti bottoni d’argento del soprabito scuro che apparteneva all’uomo in piedi accanto al letto, il capo chino, silenzioso come una statua, intento ad osservare la figura addormentata. Era un uomo alto, dall’aspetto gradevole pur nella sua austerita. Qualche filo d’argento spiccava tra la folta capigliatura bruna che gli scendeva lunga fino alle spalle, sebbene Gil non gli attribuisse piu di trentacinque anni.
Dalla suola dei suoi stivali di pelle morbida fino alle pieghe del mantello ondeggiante che copriva soprabito e tunica, l’abbigliamento dell’uomo dava l’impressione di ricchezza — in tono con la sommessa eleganza della stanza — infatti, pur essendo semplice, era perfettamente confezionato con una stoffa costosa. Le gemme sull’elsa della spada che spuntava dal mantello, lucevano come stelle alla luce fioca della lampada, seguendo il leggero movimento del suo respiro.
Un rumore nel corridoio gli fece alzare la testa e Gil riusci a scorgere il suo viso, spaventato dal timore di terribili notizie. Poi la porta accanto a lui si apri.
«Sapevo di trovarti qui,» disse lo Stregone.
Per un attimo Gil ebbe l’assurda idea che si stesse rivolgendo a lei. Ma l’uomo in nero annui, aggrottando la fronte per l’intensa concentrazione circa qualche problema da risolvere, e la sua mano continuo a sfiorare i cerchi sollevati in spire della spalliera del letto.
«Stavo scendendo,» si scuso l’uomo con voce soffocata, il viso rivolto per meta indietro. «Volevo soltanto vederlo.»
Lo Stregone chiuse la porta. Il movimento dell’aria fece tremolare la fiamma della lampada, e la sua luce incerta illumino per un breve istante le rughe scavate dal sole intorno ai suoi occhi, che mostravano quella stessa espressione di stanchezza e di tensione. Gil vide che anche il vecchio portava una spada sotto la stoffa grossolana del mantello. La sua elsa non era pero ingioiellata, e rivelava il lungo uso che ne era stato fatto nel corso degli anni. Egli disse:
«Non ce n’e alcun bisogno. Dubito che attaccheranno ancora, stanotte.»
«Stanotte…», gli fece eco con voce triste l’uomo in nero. I suoi occhi color grigio fumo rilucevano come acciaio nella densa ombra della piccola stanza. «E che mi dici di domani, Ingold? E della notte successiva? Si, e vero, stanotte siamo riusciti a respingerli negli abissi dove dimorano. Abbiamo vinto. Ma cosa e successo nelle altre citta del Regno? Cosa hai visto nella tua sfera di cristallo, Ingold? A Penambra, nel Sud, dove ora sembra che anche il Re sia stato assassinato, i Neri scorrazzano per le sale del suo palazzo come spettri impazziti. Nelle province lungo la Valle del Fiume Giallo, a Est, tu stesso mi ricordi che esercitano un tale potere che nessun uomo si azzarda ad uscire di casa dopo il tramonto. A Gettlesand poi, sulle montagne, la paura dei Neri e cosi forte, che gli uomini rimangono chiusi tra le pareti domestiche mentre i Razziatori Bianchi cavalcano nelle pianure bruciando e saccheggiando a loro piacimento!
«L’esercito non puo essere dovunque. Quei maledetti si sono sparsi nei quattro angoli del Regno anche se la maggior parte di loro si trova a Penambra. Noi, qui a Gae, non potremo resistere per sempre. Forse non riusciremo neppure a tenere il Palazzo se dovessero tornare domani notte.»
«Questo lo sapremo domani», replico pacatamente lo Stregone. «Noi possiamo soltanto fare cio che dobbiamo… e sperare!»
«Sperare!» Lo disse senza vergogna o ironia; solamente il suono di quella parola sembro goffo sulla sua lingua quasi fosse un termine poco familiare. «Sperare in cosa, Ingold? Che il Consiglio degli Stregoni infranga il suo silenzio o che le mura di Quo si spalanchino per farli uscire dai loro nascondigli? Sperare che — se e quando lo faranno — siano capaci di darci una risposta?»
«La parola speranza ha un suono troppo amaro sulle tue labbra, Eldor. E Dio solo sa quanto sia scarsa in tutti noi!»
Eldor si giro e comincio a camminare per la stanza come un leone in gabbia, giungendo fino alla finestra per poi tornare ancora indietro sui suoi passi. Calpesto un piede di Gil, ma non diede segno di essersene accorto. Ingold, lo Stregone, invece alzo gli occhi, ed il suo sguardo indugio brevemente su di lei. Eldor intanto continuava a camminare, ed il suo braccio sfioro le mani di Gil appoggiata sul davanzale della finestra.
«E l’impotenza che non riesco a sopportare!», urlo con voce rabbiosa. «E la mia gente, Ingold, il Regno — e tutta la civilta, se cio che dici e vero — che stanno andando in rovina, ma ne tu ne io possiamo offrire loro altro che uno scudo dietro il quale nascondersi. Tu puoi dirmi cosa sono i Neri e da dove provengono, ma i tuoi poteri non possono colpirli in alcun modo! Tu non sei in grado di dirci cosa fare per sconfiggerli definitivamente. Puoi solamente combatterli, come facciamo tutti, con una semplice spada!»
«Forse non c’e niente da fare!», rispose Ingold appoggiandosi allo schienale di una sedia.
Intreccio le mani, ma i suoi occhi erano attenti e vigili.
«Non posso accettarlo.»
«
«Non e vero! Tu sai che non e vero!»
«Il genere umano sconfisse l’Oscurita migliaia di anni fa,» replico pacatamente lo Stregone mentre il tremolio della lampada creava curiose figure sui lineamenti del suo viso smunto, segnato da molte cicatrici. «Come cio sia potuto avvenire, non si sa! Forse anche i Neri ignorano come sia accaduto; in ogni caso, non abbiamo trovato nessuna registrazione di quei lontanissimi avvenimenti. Il mio Potere non puo influire sui Neri perche non li conosco, e non capisco ne la loro essenza, ne la loro natura. Essi possiedono un proprio Potere, Eldor, molto diverso dal mio, al di la della comprensione di qualsiasi Stregone, eccetto, forse, Lohiro, il Capo del Consiglio di Quo. Di cio che accadde al tempo dell’Oscurita, tremila anni fa, quando essi sorsero per la prima volta a devastare la Terra… tu ne sai quanto me!»
«Sapere?» Il Re sorrise amaramente fissando lo Stregone con i suoi occhi cupi, quasi fosse un lupo pronto ad attaccare. «Lo ricordo bene. Chiaramente: come fosse successo a me e non a qualche mio lontanissimo avo!» Si avvicino quindi allo Stregone e la sua ombra lo oscuro come quella di un enorme albero colpito dal fulmine. Il chiarore tremolante della piccola lampada confuse quell’ombra con le altre che incombevano nel minuscolo ambiente. «E anche lui ricorda…»
Allungo una mano verso il letto, e l’ombra sembro rimbalzare sulla parete per scendere ad oscurare il bambino che vi dormiva tranquillo.
«Radicati in profondita nella sua mente di fanciullo, li sono conservati quei ricordi. Ha appena sei mesi… sei mesi… tuttavia anche lui dovra svegliarsi piangendo! Cosa puo sognare di tanto terribile un bimbo cosi piccolo, Ingold? Il Buio, soltanto il Buio. Lo so!»
«Si!», assenti lo Stregone pensieroso, «Anche il tuo sonno e turbato da quei sogni. Tuo padre non ha mai sognato il Buio: dubito che quell’uomo abbia mai provato paura o sia riuscito ad immaginare qualcosa di diverso dalla vita di ogni giorno; quelle memorie erano rinchiuse troppo profondamente in lui. Forse, piu semplicemente, lui non aveva alcun bisogno di ricordare. Ma per te e stato diverso: tu l’hai sognato, e ne hai avuto paura anche se ancora non sai cosa sia quell’Oscurita.»
In piedi, rannicchiata nel freddo vano della finestra, Gil percepi il legame che univa quei due uomini: era una sensazione addirittura palpabile, una parola, un contatto reale e concreto.
Il pensiero di un goffo ragazzo dai capelli scuri che si svegliava piangendo a causa di incubi tremendi, confortato solamente da uno Stregone vagabondo, la commosse profondamente. Il viso di Eldor lascio intravedere un’ombra aspra, ed il tono sinistro svani dalla sua voce lasciando il posto ad una tristezza infinita.
«Sarei dovuto rimanere all’oscuro di tutto,» disse. «La mia gente nasce gia adulta, e non conosce mai le gioie della fanciullezza: le nostre stesse memorie diventano la maledizione che segna la razza!»
«Ma esse possono anche diventare la sua salvezza», replico Ingold. «Ed anche quella di tutti noi.»
Eldor sospiro e ritorno accanto al letto riflettendo in silenzio, le mani sottili e forti intrecciate dietro la