schiena. Ora pero non stava piu guardando il bimbo addormentato: i suoi occhi meditavano nell’ombra ed erano meno lucidi, spersi in un’epoca passata e lontana. Sondavano esperienze di altri uomini, in altre ere.

«Vuoi farmi un ultimo favore, Ingold?»

Lo sguardo del vecchio si poso su di lui.

«Nel tuo vocabolario non deve esistere la parola ultimo

I lineamenti del volto di Eldor si contrassero in uno stanco sorriso; era da sempre abituato alla testardaggine dello Stregone.

«Alla fine,» rispose, «c’e sempre un’ultima ora. Lo so! Il tuo Potere non puo nuocere ai Neri,» riprese, «ma puo pero eluderli. Ti ho visto farlo. Quando scendera la notte in cui sorgeranno di nuovo, il tuo Potere ti permettera di fuggire, mentre io ed i miei uomini rimarremo a combattere e a morire. No!»

Eldor alzo una mano in un gesto imperioso a prevenire la reazione dello Stregone.

«So gia cosa vuoi dirmi. Ma non mi interessa: voglio che tu te ne vada… Non puoi farci nulla! Te lo ordino come tuo Re! Quando verranno — e lo faranno — porterai via con te mio figlio Altir!»

Lo Stregone rimase seduto immobile, senza muovere un muscolo, ma la sua barba irta tradiva la tensione che lo stava lacerando. Vincendo a fatica l’impulso di ribellarsi, non pote impedirsi una protesta sommessa:

«Sotto un certo aspetto tu non sei il mio Re…»

«Allora te lo chiedero come amico», rispose Eldor, e la sua voce si abbasso fino a diventare un sussurro. «Tu non puoi certo salvarci. Forse solo qualcuno di noi, ma a che cosa servirebbe? Certo, tu sei un grande spadaccino, Ingold, forse il piu grande spadaccino vivente, ma il contatto con un Nero significa la morte per te come per chiunque altro. E scritto su qualche libro che il nostro destino debba compiersi qui. Essi ritorneranno: e sicuro come e vero che a Nord c’e ghiaccio. Tu pero puoi salvare Altir… Lui e l’ultimo della stirpe dei Dare di Renweth — l’ultimo della stirpe dei Re di Darwath — ed e anche l’unico nel Regno che possa ricordare il Tempo del Nero… La storia stessa lo ha dimenticato: non esiste alcun documento di quell’epoca, neanche una menzione nelle antiche cronache. Mio padre addirittura non ricordava assolutamente nulla, e i miei stessi ricordi sono incompleti e frammentari… Ora c’e bisogno di qualcuno che riesca a ricordare tutto: e il momento che lo richiede. Tremila anni fa i Neri spazzarono virtualmente via il genere umano dalla faccia della Terra. Poi sparirono. Perche scomparvero, Ingold? Perche?»

Lo Stregone scosse il capo.

«Altir lo sa!», continuo Eldor con la stessa voce sussurrante. «Mio figlio lo sa! E lui potra riuscire la dove i miei ricordi si fermano: te l’ho ripetuto anche troppe volte. E lui la Promessa, Ingold! Io sono solamente una speranza fallita, una candela in procinto di lanciare i suoi ultimi barbagli di luce. In qualche angolo della memoria della stirpe di Dare e nascosto l’indizio — dimenticato finora da tutti — che ci aiutera a sbaragliare i Neri. In me e nascosto troppo profondamente, ma mio figlio e l’unico che potra rivelare quel segreto. E lui quello da salvare!»

Lo Stregone ascolto in silenzio le parole di Eldor. La fiamma silenziosa della lampada, pura e piccola come una moneta d’oro, si riflette nei suoi occhi pensierosi. Nella stanza non si udiva alcun rumore. Il bagliore della fiammella era immobile: una piccola pozza di oro fuso che circondava la base della lampada sul tavolo, una macchia di luce dai contorni definiti.

«Che ne sara di te?», sussurro lo Stregone.

«Un Re ha il diritto,» replico tranquillo Eldor, «di morire con il suo popolo. Io non disertero la battaglia finale e, anche se volessi, non potrei mai farlo. Ora, per tutto l’amore che mi hai sempre dimostrato, fai questo per me: prendi mio figlio e portalo in un luogo sicuro. Te lo affido: adesso e nelle tue mani!»

Ingold sospiro, e chino il capo in un gesto di rassegnata obbedienza. Il chiarore della lampada si sparse sui suoi capelli grigi.

«Lo salvero!», rispose. «Te lo prometto! Ma non puoi impedirmi di rimanere con te fino al momento in cui dovro ubbidire al tuo ordine, quando non ci sara piu alcuna speranza.»

«Non preoccuparti di questo,» replico aspramente il Re. «La causa e gia senza speranza.»

In quell’istante, dalle profondita del Palazzo, risuono un tonfo cupo, simile al rimbombo di un gigantesco tamburo, e Gil senti la vibrazione diffondersi attraverso il marmo del pavimento.

Eldor raddrizzo il capo di scatto e si guardo intorno; la sua bocca si induri in una smorfia, e la sua mano corse automaticamente verso l’elsa ingioiellata della spada. Ingold invece rimase seduto: sembrava una statua fatta di carne e di ombre.

Un secondo tonfo scosse le fondamenta del Palazzo come fossero state colpite da un gigantesco pugno. Col respiro mozzo, nel chiuso di quella pacifica stanza, tre persone attendevano che giungesse il terzo colpo; un freddo orrore fece drizzare i capelli di Gil filtrando dal silenzio sottostante, segno tangibile e strisciante di un pericolo fin troppo noto.

Ingold ruppe il silenzio.

«Stanotte non verranno,» sentenzio e, nonostante la stanchezza, aveva il tono di chi e certo di cio che dice. «Vai dalla Regina piuttosto. E confortala!»

Eldor sospiro. Come un uomo sciolto da un incantesimo che lo avesse tenuto legato o pietrificato, il Re scosse le spalle quasi a scacciare i fantasmi della stanchezza e della fatica.

«I capi del Regno s’incontreranno fra un’ora,» si scuso e si stropiccio con forza gli occhi, cercando di scacciare con le dita le macchie scure che li cerchiavano. «Prima pero dovrei parlare con le Guardie che stanno fuori delle vecchie arcate, sotto la Prefettura dell’Approvvigionamento… nel caso che non fossero sufficienti i rifornimenti. Poi mi aspetta il Vescovo… dobbiamo decidere dello spostamento delle sue truppe dalla Chiesa alla citta… Ma hai ragione: dovrei trovare il tempo per andare a trovarla…»

Eldor riprese a camminare a lunghi passi: non era spinto dalla rabbia o dall’incertezza. Era semplicemente un uomo che tentava di mettere ordine in una massa di pensieri che si accalcavano uno sull’altro, sempre piu veloci e pressanti, ed ai quali il suo corpo faticava a tenere testa.

Ingold non si sposto dalla sua sedia intarsiata d’avorio con i piedi dorati e curvati a forma di zoccolo di cervo. La fiamma davanti allo Stregone fluttuo come fosse guidata dalla frenetica vitalita di Eldor.

«Parteciperai al Consiglio?»

«Ho dato tutto l’aiuto e i consigli che potevo,» replico Ingold. «Penso invece di rimanere qui per tentare di mettermi in contatto con gli altri Stregoni a Quo. Tuo figlio potrebbe non essere la nostra sola risposta… Ci sono delle registrazioni nella Biblioteca di Quo, tradizioni trasmesse da insegnante ad allievo per millenni. Il sapere e la ricerca sono le chiavi ed il cuore della Stregoneria. Tir e ancora piccolo: quando imparera a parlare, potrebbe essere troppo tardi per poter ascoltare quello che ha da dirci!»

«Potrebbe essere tardi anche adesso…»

La fiamma si chino al lento chiudersi della porta alle spalle di Eldor.

Ingold rimase seduto ancora un poco dopo che il Re fu uscito, in meditazione, concentrandosi sulla pura, piccola striscia di fuoco. Il bagliore si rifletteva nei suoi occhi ambrati sfiorando le nocche delle sue mani intrecciate e le dita affusolate. Mise in rilievo i segni e le cicatrici di antichi colpi di spada, ed il marchio che ancora spiccava sul polso robusto dello Stregone, traccia evidente di una ferita causata da manette, schiarita dal tempo trascorso.

Lo Stregone si stropiccio gli occhi stancamente, e fisso lo sguardo in direzione della pozza d’ombra, incorniciata dall’intricata filigrana dei pilastri dietro i quali era nascosta Gil.

«Vieni qui,» disse gentilmente, «e parlami di te. Non aver paura.»

«Non ho paura…»

Gil riusci appena a muovere un passo esitante, e subito la luce della lampada svani insieme all’immagine dell’intera stanza, nei nebbiosi labirinti del sonno.

La ragazza non racconto a nessuno di quel terzo sogno: aveva tentato di parlare del secondo con un’amica che l’aveva ascoltata con studiata comprensione senza pero credere ad una sola delle sue parole. In verita, neppure lei sapeva trovare una spiegazione a quella sequela di sogni, anche se ormai era quasi certa che non si trattasse di semplici scherzi del subconscio. Quel pensiero la rese inquieta.

Non si stanco di ripetere a se stessa che, non appena fosse trascorso abbastanza tempo, sarebbe riuscita a parlarne con qualcun’altro, liberandosi cosi da quei ricordi che la turbavano. Per il momento pero, preferi serbare i suoi pensieri chiudendoli nel profondo del suo cuore.

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