Chris Wannamaker stava avanzando a grandi passi verso di loro, facendo oscillare la borsa dei documenti di volo che gli pendeva dal pugno. Un gran figlio di puttana, lo valuto Bishop senza s comporsi. Un vero figlio di puttana, e cattivo.

Proprio cosi, penso. E non credo che gli fara piacere quando iniziero a scoparmi sua moglie.

3

La casa di Kathleen, quella che affittava, non era lontana dal campo di aviazione. Era di legno, a due piani, talmente in cattivo stato che sembrava reggersi a malapena sull’erba bruciata del prato. Al piano terra c’erano la cucina e il soggiorno; di sopra, un solaio con pretese di camera da letto. Il mobilio, se cosi si poteva chiamare, cadeva a pezzi.

Era sera quando Kathleen vi accompagno Bishop. Dalle case vicine provenivano suoni di risate infantili e il fruscio dell’acqua degli irrigatori; i cani abbaiavano e si sentiva il tipico richiamo delle mamme: «E pronto!» C’era ancora un po’ di luce — era solo giugno — ma dalle finestre del soggiorno entrava la prima aria fresca della giornata, che scuoteva le tende sottili.

In camera, invece, l’aria era soffocante. Nello spazio angusto del sottotetto, quando si trovarono vicini sotto il soffitto spiovente, Bishop pote sentire l’odore del sudore di Kathleen mescolato al suo profumo. Gli piaceva; e gli piaceva la sensazione che gli suscitava.

«Qui sopra il condizionatore e quasi sempre necessario», spiego Kathleen. «Fa un po’ di rumore, ma funziona bene.»

Bishop guardo fuori dalla finestra e rimase soddisfatto. Anche da lassu, come dalla finestra rivolta a sud, al piano terra, poteva vedere il soggiorno della casa accanto, quella in cui vivevano Kathleen e il marito. Tutto procedeva al meglio.

Si volse verso la donna. Poi si avvicino di un passo.

«Qualsiasi mobile tu voglia portare, per me va bene», Kathleen disse, alzando gli occhi sul viso di lui. «Posso mettere questa roba da mio zio; la tengo qui solo nel caso un inquilino ne abbia bisogno, ma tu puoi sistemare come…» La sua voce si spense mentre Bishop le osservava il viso, i capelli che incorniciavano le guance, i contorni della bocca carnosa. «Come vuoi tu», concluse la donna.

Bishop lascio vagare lo sguardo dalle sue labbra agli occhi, alla fronte, e poi ancora agli occhi.

«Va benissimo cosi», le rispose.

4

L’uomo dai baffi grigi arrivo proprio quella prima sera. Bishop era seduto al buio in soggiorno, su una sedia di legno. Stava fumando una sigaretta nascondendo l’estremita accesa con la mano, in modo che non fosse visibile dalla casa accanto. Osservava il soggiorno di Kathleen attraverso le tendine mosse dall’aria.

L’uomo dai baffi grigi era con il marito di Kathleen, Chris, che stava sul divano con la schiena curva e il volto contratto in un sorriso torvo e sottomesso. Beveva una birra dopo l’altra e Bishop sentiva la sua voce quando urlava a Kathleen di portargliene un’altra.

L’uomo dai baffi grigi si era accomodato su una poltrona imbottita; sul tavolino davanti a lui c’era un bicchiere di whisky, ma Bishop pote notare che in tutta la sera lo sorseggio solo una volta.

Passo circa un’ora e mezzo, poi l’uomo dai baffi grigi si alzo e usci. Bishop lo segui con lo sguardo finche raggiunse la Mercedes color argento posteggiata dietro il pick-up Dodge sotto la tettoia. Chris rimase seduto dov’era a finire l’ultima birra. Poi si alzo a fatica e si diresse barcollando fuori dal soggiorno. Bishop non lo vide piu, ma resto alla finestra senza muoversi. Poco dopo, udi la voce di Chris provenire dal retro della casa. La voce tradiva una collera sorda che stava trasformandosi in rabbia. Kathleen gli rispose a voce alta. Doveva trovarsi vicino alla porta a zanzariera della cucina, e Bishop pote distintamente udirne le parole: «La casa e mia. Non devo chiedere il tuo dannato permesso per affittarla!»

Chris impreco e Kathleen lancio un urlo: evidentemente era stata picchiata. Bishop la senti lamentarsi con rabbia mentre lottava con il marito e ancora gridare sotto un secondo colpo. Chris impreco nuovamente e Bishop lo senti muoversi a passi incerti. Kathleen rimase a piangere vicino alla porta della cucina.

«Brutto bastardo», furono le sue parole.

Poi la casa cadde nel silenzio. Bishop porto la sigaretta alle labbra e tiro una lunga boccata; il sudore gli imperlava le tempie. Il silenzio continuava. Bishop infine si alzo, spense la sigaretta nel posacenere e sali in camera.

L’aria fresca del condizionatore fu una gradita sorpresa. Si chino sulla borsa da viaggio nera che aveva appoggiato ai piedi del letto e frugo tra i vestiti. Trovo il computer portatile, lo poso sul tavolino vicino alla parete, apri la piccola tastiera e lo accese.

Era uno di quei palmari in grado di inviare la posta elettronica sulla rete wireless. Bishop preferiva le e- mail; erano piu difficili da intercettare delle telefonate, non potevano essere ascoltate da un’altra linea. La tastiera era di dimensioni ridotte ma Bishop vi era abituato. Digito rapidamente il messaggio con gli indici.

«Weiss», inizio, «sono qui…»

5

«Qualcuno vuole uccidermi», stava dicendo l’uomo con la faccia da topo.

Il petto formidabile di Scott Weiss si gonfio e si ritrasse come un’onda del mare. «Sono un investigatore privato, signor Spender», disse. «Se qualcuno sta cercando di ucciderla, deve rivolgersi alla polizia.»

«Non posso andare alla polizia. Non posso proprio.»

«E perche mai non dovrebbe?»

Il Topo — come Weiss l’aveva gia soprannominato — si chino in avanti con aria affannata. «Perche quello… quello che vuole uccidermi ha le sue ragioni; mi vuole ammazzare perche gli ho violentato la sorella.»

Weiss rimase impassibile, ma sarebbe potuto anche scoppiare a ridere: non credette a quella panzana neanche per un istante.

I due uomini si trovavano nell’ufficio di Weiss in Market Street, al settimo piano di un alto palazzo in cemento sormontato da un rosso tetto spiovente. Al piano terra c’era una banca, che occupava anche i locali dei sei piani immediatamente superiori. Al settimo c’eravamo noi, l’Agenzia, e uno studio legale aveva sede agli ultimi due. Lo studio Jaffe Jaffe passava molto lavoro all’Agenzia, e quindi trovava comodo averla in affitto al settimo piano, che era di sua proprieta.

Ma la convenienza era reciproca. Per l’Agenzia la posizione centrale era preziosa e il settimo piano era il migliore di tutto lo stabile. Dalle grandi finestre ad arco si godeva una bella fetta del celebre panorama della citta, con i palazzi d’epoca in pietra scolpita che si stagliavano su un vibrante sfondo di moderni grattacieli. Avevamo il privilegio di vedere i muri della citta accendersi di rosso e giallo per il sole, al mattino, e brillare di luce propria la sera, quando i lumi artificiali si accendevano nel crepuscolo.

Nello spazioso ufficio di Weiss, dove tutto era imponente — la scrivania, le poltrone per i clienti, la sedia girevole su cui lui, a sua volta imponente, sedeva con lo schienale leggermente inclinato —, lo sfondo della radiosa vista della citta, incorniciata dal finestrone ad arco, provvedeva a sottolineare efficacemente la grandiosita della scena.

E proprio quella scena faceva sembrare molto piccolo il cliente di quella mattina. Wally Spender era in effetti un uomo piccolo e magro, con orecchie a sventola, occhi spaventati e un lungo naso sottile. Un topo che, per incanto, si era trovato in un involucro umano.

«E accaduto in Spagna», stava dicendo a voce alta. «Il… il fattaccio con la sorella, intendo. Non so… non so che cosa mi abbia preso… una passione incontrollabile, ritengo.» Stringeva le piccole mani sui braccioli e sedeva

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