incrociate che permettevano di afferrare saldamente il freddo metallo. Se lo passo sulla gola, senza pensare a niente. Si porto le dita al collo con mano tremante. Niente sangue.

Penso alle due alternative che le si offrivano.

Domani sarebbe stato un momento emozionante. Era sicura che niente poteva uguagliare quello che avrebbe sentito prima di salire i gradini del Foro. Aveva il terrore di crollare completamente, di dover essere tenuta e gettata al di la dell’orlo.

Adesso, tuttavia, era ragionevolmente calma. Aveva perduto ogni speranza. Sarebbe riuscita ad affrontare la morte in quel momento, di propria mano, in privato? Era meglio andarsene in quel modo?

Le sembro di si. Se lo ripete tre volte di seguito e afferro il coltello. Se lo passo su un polso. Rabbrividi e senti il cuore batterle in tumulto. Apri gli occhi e guardo: non c’era neppure una linea rossa. Era sicura di aver premuto. Qualcosa le sfioro una guancia. Allarmata, la respinse con una mano.

Si sedette sulla poltrona accanto al piccolo tavolo e digrigno i denti. Si chino sul tavolo e ci appoggio l’avambraccio. Premette la lama del coltello sulla parte piu tenera, la osservo, giro la testa, costrinse gli occhi a tornare dov’erano prima e se li senti seccare mentre si rifiutava di sbattere le palpebre.

Ci furono alcune gocce rosse di sangue.

«Posa il coltello, Lilo.»

Salto in piedi vacillando, col coltello insanguinato in mano. Arrossi mentre cercava di nasconderlo fra i cuscini della poltrona; quindi si volto per vedere chi fosse.

«E grave?» chiese, dirigendosi verso di lei.

Lei guardo. Era solo un piccolo taglio, il sangue si era gia quasi arrestato. Lui le porse un fazzoletto e si sedette a pochi passi da lei, aspettando che si fosse ripulita.

«C’e una persona che vorrei farti incontrare,» disse l’uomo, e fece un cenno verso la porta della cella. Si apri, ed entro il suo secondino in uniforme blu, seguito da una donna nuda. Era alta, barcollava leggermente, e sembrava drogata. I capelli castani arruffati erano appiccicati alle spalle; un liquido denso, sciropposo, le gocciolava dalle mani, dal naso e dal mento. Per un attimo i suoi occhi incrociarono quelli di Lilo, senza che la sua espressione cambiasse, poi inciampo in una sedia e cadde. La guardia la aiuto a rialzarsi, poi la porto quasi di peso in bagno. Una donna, vestita anch’essa di blu, entro nella cella e chiuse la porta. Si senti il rumore dell’acqua che scorreva.

Lilo riusci a non guardare. La faccia della donna nuda le era terribilmente familiare. Era la sua.

Oro. Tutto era giallo dorato. Aprii gli occhi sott’acqua e capii che non stavo respirando. Misteriosamente non mi dava noia. Mi misi a sedere e sentii un liquido denso che mi scorreva lentamente giu dal corpo.

Mi sentii soffocare, cercai di tossire, e dalla gola mi usci una grande quantita di liquido. Per un attimo non riuscii a controllare la situazione. Stavo annegando. Ma qualcuno mi stava dando delle pacche sulla schiena e mi ritrovai che boccheggiavo.

Nascere non e facile.

Non riusciva a mettere a fuoco gli occhi. Qualcuno le «stava porgendo qualcosa e lei vedeva solo l’estremita di un braccio che sorreggeva un oggetto. Era una tazza. Si tiro indietro, ma quella la segui. La prese e bevve fino in fondo.

Era seduta dentro una vasca di vetro, immersa fino alla vita in un liquido color grano. Aveva dei fili elettrici attaccati al corpo « di tanto in tanto li sentiva ancora emettere delle scosse, in base al programma di tonificazione dei muscoli che si stava riducendo dopo tre mesi di intenso esercizio.

Disorientamento. Non riusciva a mettere due pensieri in fila. La vasca avrebbe dovuto dirle qualcosa, invece non le diceva niente.

«Andiamo, alziamoci,» esclamo qualcuno. Era una donna vestita di blu, che si chino e aiuto la donna nuda a uscire dalla vasca, a restare in piedi gocciolante, incerta e appoggiata poi a una spalla robusta, mentre una mano la teneva saldamente per la vita. Voleva tornare a dormire.

«E pronta?»

«Credo di si.» C’era una seconda persona, un uomo, vestito anche lui di blu. «Non ci vorra molto.»

Sapeva che parlavano di lei. Cerco di liberarsi della mano che la stringeva, ma era troppo debole. Le dava noia, sentirli parlare. Voleva che smettessero.

«Lasciatemi sola,» disse.

«Cos’ha detto?»

La stavano portando lungo un corridoio. L’aiutavano ad attraversare le varie porte, rimanendole sempre dietro. Non ce la faceva a tenere la testa eretta; continuava a caderle da una parte. Riusciva a vedere solo i propri piedi nudi, le proprie gambe, e il liquido che le gocciolava sul tappeto dal corpo. Le sembro divertente; rise, e quasi scivolo dalle braccia della donna.

«Cos’ha?»

Non senti la risposta, rideva troppo forte. C’era un’altra porta. Vi si fermarono davanti e si rese conto che qualcuno le stava dando degli schiaffi in faccia. Cerco di fermarlo, ma non ci riusci e comincio a piangere. Uno schiaffo piu forte la fece sbattere contro il muro opposto, barcollante. Si tiro indietro e si accorse che si teneva in piedi da sola e guardava l’uomo in faccia.

«Sei sveglia adesso?» Lui la fisso negli occhi.

«Si… io…» Tossi e cerco di guardarsi intorno, ma lui continuo a tirarle la testa indietro finche lei non penso che avrebbe pianto di nuovo. «Io… cioe…»

«Sta bene. Portala dentro.»

Di nuovo l’uomo. «Seguimi, hai capito? Seguimi e basta.»

Annui. Sembrava che pensasse che fosse molto importante ed era disposta a fare qualsiasi cosa purche le lasciasse la testa. Ma era tutta bagnata, aveva i capelli scarmigliati e si sentiva viscida. Cerco di dirglielo, ma era gia entrato nella stanza. Si senti spingere per una spalla e passo barcollando dall’altra parte della porta.

Lancio un’occhiata alle persone sedute nella stanza. C’era un uomo con una giacca strana che le fece venire in mente qualcosa. Lo conosceva, ma non ricordava il suo nome. E c’era una donna sulla poltrona. Quella la conosceva. Era lei.

Non avrei mai creduto di incontrare faccia a faccia l’ex presidente Tweed. Sul cubo non si poteva evitare; in un programma o in un altro, appariva di continuo, a sostenere i suoi progetti folli. Era un’istituzione della scena telepolitica da quando ero nata.

Tweed sembrava appena uscito da una vignetta politica dell’inizio del ventesimo secolo. Si era fatto venire la pancia, indossava sempre pantaloni a righe e una giacca con le code, cilindro e ghette. Fumava sigari, e quando era stato eletto, aveva chiamato la residenza presidenziale della Tammany Hall. E ne aveva vinte di elezioni! Sebbene non seguissi molto la politica, sapevo che era stato eletto per tre volte consecutive.

Aveva lastricato la strada per l’attuale spettacolo pagliaccesco che chiamiamo governo. Il riconoscimento e tutto, e il pubblico aveva dimostrato una confusione, forse comprensibile, fra la retorica politica e le fantasie che la circondano al cubo. Cosi adesso abbiamo i nostri Tweed, i nostri Churchill e i nostri Kennedy. C’e un Hitler, un Bonforte, un Lewiston e un Traiano. Metteteli tutti insieme e il risultato sara qualcosa che si puo senz’altro chiamare un circo.

Fortunatamente chi ricopre cariche elettive non ha piu molti compiti; si tratta di incarichi per lo piu di rappresentanza o di supervisione sull’operato dei computer quelli che governano effettivamente. Non sono mai stata sicura che fosse una cosa tanto positiva, ma Tweed mi fece essergliene grata. Non che le mie opinioni avessero molta importanza in quel momento.

Misi da parte le elucubrazioni politiche e mi preparai ad ascoltare la proposta che stava per farmi. Di qualsiasi cosa si trattasse, doveva essere meglio di quanto mi aspettava.

«Non si faccia venire idee strane,» disse col suo famoso brontolio da basso. «Sono refrattario a qualsiasi attacco.»

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