Si sistemarono sulle poltroncine, una di fronte all’altra, e non dissero niente per molto tempo. Le voci che giungevano dal solarium erano come il ronzio di una mosca. Stavano discutendo degli eventi delle ultime ore, mentre Lilo se ne sentiva molto al di sopra. Conservava ancora alcune parti della propria esperienza trascendentale, dello sguardo che aveva dato alle cose, a come erano andate, a come sarebbero state sempre. Sapeva di avere una lunga vita davanti a se, ma i particolari erano confusi e stavano svanendo.

«Se ne va, vero?» chiese Diana.

«Si. Ricordo solo gli eventi principali del tuo passato, e l’altra… diventa complicato, no? Parlarne, voglio dire.»

Diana sorrise.

«Non ricordo molto del futuro,» disse.

«Ho solo l’impressione che vada avanti per un bel po’. Per ciascuna di noi.»

«Si.»

Tacquero di nuovo. Lilo aveva la sensazione che non fosse stato detto qualcosa, ma sapeva che lo sarebbe stato. Osservo il cubo argenteo che Diana teneva in mano. Un oggetto comune.

Diana lo guardo come se avesse dimenticato di averlo in mano. Lo lancio a Lilo.

L’oggetto percorse un metro, rallento e si fermo a meta strada fra loro due. Lilo non riusciva a pensare a nessuna forza che avesse potuto rallentarlo; in assenza di peso avrebbe dovuto spostarsi in linea retta finche non avesse incontrato un ostacolo. Eppure era li che galleggiava.

Allungo una mano e lo prese. Le oppose una leggera resistenza. Sembrava che preferisse rimanere immobile, anche se con non molta tenacia.

«Come funziona, mi domando?» chiese Lilo.

«Pensi che dovremmo aprirlo?»

Lilo lo stava tenendo vicino alla faccia e lo esaminava attentamente. Le era parso che ci fosse una lieve scoloritura su uno spigolo e lo stava toccando con l’unghia del pollice. «Io no, voglio solo…»

Si spiego.

Non fu una cosa semplice. Non era solo questione di facce che si separavano o che si aprivano. Erano cubi piu grandi che si sviluppavano da cubi piu piccoli finche lei non ebbe quello che le sembrava una malferma pila di otto pezzi (e che pero si rivelo un solo ipercubo). Lilo tiro indietro le mani spaventata e la cosa galleggio.

«Uh… e adesso che faccio?»

Diana giro intorno all’oggetto, piegando il collo per vederlo meglio senza toccarlo.

«Pensi che si riesca a farlo ridiventare com’era prima?»

Lilo allungo un braccio. Era chiaro che la figura era instabile. La singolarita si mosse di nuovo non appena lei la tocco; divento nuovamente un semplice cubo, ma con spigoli di dieci centimetri. Adesso aveva un volume otto volte piu grande di prima.

«Mi e sembrato di aver quasi visto cosa e successo,» disse Diana. Prese il cubo, ma prima che riuscisse a fargli qualcosa esso aveva cominciato di nuovo a svolgersi. Questa volta verso l’interno. Alla fine rimasero due cubi di cinque centimetri di spigolo.

«Forse e meglio se lasciamo che se ne occupino i matematici,» disse Diana, e li appoggio con cura sulla cuccetta che aveva accanto.

«Se imparassimo a usarlo, Javelin potrebbe risparmiare un sacco di carburante nel viaggio di ritorno.»

«Penso che prima sia meglio chiederlo a lei.»

Diana guardo Lilo, quindi sposto lo sguardo da un’altra parte. Ma i suoi occhi vennero nuovamente attratti verso di lei.

«Io… i particolari si stanno facendo confusi. Su quello che ci succedera, voglio dire.»

«Si?»

«Ma ho… ecco, hai anche tu la mia sensazione? Tu e io siamo state… insieme a lungo. Ricordo… sembrava che tu partecipassi a quasi tutto cio che faro d’ora in poi.»

«Si.» Lilo si rilasso. Non avrebbe potuto sbagliarsi, ma era piacevole che Diana ricordasse la stessa cosa. Ormai le restava poco del futuro: immagini di un sogno che svanivano subito appena le esaminava, impressioni piuttosto che ricordi. Quello che aveva ancora era vivido e reale, ma era come un breve spezzone di film o una tessera fuori posto di un puzzle.

Vedeva un bosco sotto un sole azzurro. Era a non meno di cento anni nel futuro, ma Diana era con lei.

«Mi chiedo di che sole si tratti,» disse Diana, e risero tutt’e due. «Sara divertente scoprirlo.»

26

Adesso era difficile trovare il sole nel cielo, e poi Lilo era sulla faccia sbagliata di Poseidone. Avevano effettuato una curva poche settimane prima e adesso stavano decelerando. Alfa Centauri era direttamente sotto di loro.

A Lilo c’era voluto un po’ di tempo per abituarsi al giardino di girasoli. Per accudirlo doveva spostarsi su passerelle attaccate al terreno e rivolte verso il basso. Era come camminare sotto un enorme tetto di roccia. Attraverso le grate delle passerelle vedeva le stelle sotto i suoi piedi.

Il giardino consisteva di tre giri concentrici di piante intorno al campo nullo della grande tazza argentea contenente il buco nero. Poteva vederlo in lontananza, sostenuto da tre colonne invisibili, rivelate solo dalle massicce apparecchiature che le generavano. Una luce bianca esplodeva verso il basso dall’estremita aperta dalla grande tazza, in direzione di Alfa; silenziosamente, imprimendo una decelerazione costante di un ventesimo di gi.

Si mosse su una passerella, con la corda di sicurezza assicurata a un cavo che le correva sopra la testa. La forza di gravita era minima, ma se fosse caduta il primo gradino sotto di lei era a due anni luce.

Il girasole non era una sua invenzione; l’idea risaliva a prima dell’Invasione. Erano piatti parabolici di tre metri, ognuno con un nodulo bianco al centro per il calore. Il piatto metteva a fuoco l’energia sul nodulo. Avveniva un processo di fotosintesi e le radici del girasole producevano tuberi con spesse bucce. All’interno erano dolci e morbidi come un ananas.

Ogni girasole passava la vita a testa in giu, con le radici infilate nel terreno soprastante e il fiore sospeso a un grosso stelo. Per raccogliere i frutti, Lilo appendeva un grande piatto metallico ai ganci sulle passerelle e scavava per terra. Roccia, terreno da poco formato e tuberi cadevano nel piatto. Era esattamente l’opposto dei normali raccolti. Si stancavano le braccia e le spalle, non la schiena.

Si sedette per riposarsi, e mentre era a gambe penzoloni sull’infinito le successe una cosa strana. La sua vita le sfreccio davanti agli occhi, e fu una cosa intricata e tortuosa, non un semplice viaggio dalla nascita alla morte, ma complicata, piena di dolore e di molte morti. E tuttavia…

«Stai bene, Lilo?»

«Cosa?» Alzo lo sguardo. «Quant’e che sei qui?»

«Pochi minuti,» rispose Cass. Era ormai diventato un giovane adulto, che assomigliava moltissimo al padre. «Non mi hai risposto quando ti ho salutato. Stai bene?»

«Si. Sto bene.» Il ricordo stava gia svanendo. Cerco di trattenerlo, di conservare quel fantastico arazzo come l’aveva percepito in quello splendido attimo. Ma per la sua mente era troppo. Senti le sue due sorelle allontanarsi da lei, ma sapeva che non sarebbe stato per sempre.

Adesso Cass le era seduto accanto. Guardava in basso, fra i piedi.

«Cosa credi che troveremo quando arriveremo laggiu?» domando.

«Cosa?» Ormai era svanito. Era solo se stessa. Era veramente successo? Pero ricordava. Aveva visto il futuro.

«Cosa troveremo quando arriveremo laggiu? Su Alfa.»

«Persone,» rispose Lilo. «Persone che conosciamo.»

FINE
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