Poi, dal silenzio alle sue spalle, un suono diverso… un debole scricchiolio.

Clawly si volto di scatto. In piedi sulla porta, alto e impressionante, c’era Tempelmar.

E sul volto magro ed equino di Tempelmar stava scomparendo un’espressione nella quale erano uniti sospetto, allarme, e qualcosa di piu immediato… un’espressione mortale.

Ma quando Clawly lo fisso direttamente, il volto aveva gia assunto un’espressione gentile, condiscendente e un po’ perplessa: — Ebbene?

Un altro suono, alle sue spalle. Voltandosi, e facendosi indietro di qualche passo, in modo da poter tenere entrambi sotto controllo, Clawly vide che Conjerly si stava alzando, con espressione dapprima assente. Fisso Clawly. Allora anche la sua espressione cambio, ed egli pronuncio un «Ebbene?» simile a quello di Tempelmar, anche se piu irato, piu indignato, e meno gentile. Era un’espressione che non apparteneva all’uomo che aveva dormito, drogato, sul divano.

Le parole che Clawly aveva appena intuito continuavano a ronzargli nelle orecchie.

Comincio a fare le sue scuse:

— Ero venuto a parlare del programma… ho sentito il rumore di un respiro affannoso… mi sono allarmato… sono entrato…

Ma mentre parlava, mentre considerava la possibilita di un immediato attacco fisico e il modo migliore di affrontarlo, aveva gia preso la sua decisione.

Doveva andare da Firemoor.

8

Tenendo le spalle curve e il capo basso, con il braccio paralizzato che gli pendeva lungo il fianco, Thorn sedeva nella sua cella oscura, come se l’intero peso della Stella Nera… fino all’altezza del gelido pinnacolo che sfiorava le nubi, la dove “loro” tenevano consiglio… gravasse su di lui. La sua mente era stanca all’inverosimile, oppressa dal mondo contorto e tirannico nel quale era caduto, dal corpo dolorante che non era il suo, del cervello che si rifiutava di pensare i suoi pensieri nel modo da lui desiderato.

Eppure, in un certo senso, la mente umana e instancabile… uno strumento costruito per decenni di pensieri e sogni ininterrotti. E cosi Thorn continuo a pensare, meditando su disgrazie, paure e rimpianti, cercando di aprire la porta chiusa che dava sui ricordi di quel cervello straniero, preparando piani senza speranza. E soprattutto affronto con un’intensita da incubo il problema del ritorno al suo mondo d’origine, e gli enigmi paradossali a esso connessi. Thorn si disse che lui doveva fare ancora uso, seppure parzialmente, del cervello che si trovava nel Mondo Numero 1… per dargli un nome… proprio come Thorn II… anche qui, per dargli un nome… si serviva di quei ricordi nascosti dietro a una porta chiusa. Ogni pensiero doveva essere basato su un cervello fisico: il pensiero non poteva esistere nel nulla. E inoltre, dato che gli Universi Uno e Due… anche qui, per dare loro un nome… erano creazioni spaziotemporali indipendenti e autonome, non poteva esistere tra di loro una comune relazione spaziale… non potevano essere ne lontani, ne vicini tra loro. L’unico legame tra di loro sembrava costituito dalla forza mentale di cervelli quasi uguali, e questi legami non erano sottoposti alle leggi della distanza, nel senso letterale della parola. Il suo passaggio nel Mondo II era sembrato istantaneo; di conseguenza, da un punto di vista pragmatista, i due universi dovevano essere considerati in una specie di sovraimpressione. Il fatto di trovarsi in uno o nell’altro era semplicemente una questione di punti di vista.

Cosi vicino, eppure cosi lontano. Cosi diabolicamente simile che veniva spontaneo tentare di svegliarsi dall’incubo… e l’oscurita della sua cella aumentava questa similitudine. Doveva soltanto radunare energia mentale a sufficienza, trovare l’impeto sufficiente, per costringere l’altro Thorn a cambiare nuovamente i suoi punti di vista. Eppure, mentre si sforzava di penetrare incredibili abissi di eternita nelle tenebre, mentre cercava di affondare, di cadere, di scendere nelle oscure gallerie del suo subcosciente, mentre le trovava chiuse, impenetrabili, mentre incontrava la resistenza ferrea dell’altro Thorn, comincio a pensare che lo sforzo fosse impossibile… comincio perfino a domandarsi se il Mondo I non fosse stato il bel sogno di un individuo perseguitato, frustrato e senza memoria, figlio di un mondo nel quale invisibii tiranni preparavano un’incomprensibile invasione, costruivano macchine inesplicabili, e piegavano milioni di esseri umani ai loro voleri nascosti.

Perlomeno, lui non era capace di scoprire in se stesso la forza sufficiente per riuscire, qualunque essa fosse.

Una fessura verticale di luce apparve, si allargo, divenne un quadrato, rivelo un lungo corridoio. E nel corridoio, accompagnato da due guardie in uniforme nera, c’era Clawly.

Quella figura nervosa era cosi simile a quella del Clawly che conosceva… vestito di uno strano abito, e intento a interpretare una parte… che a malapena riusci a trattenere un saluto amichevole.

E poi, pensare che la mente di quel Clawly era legata a quella dell’altro, che al di la della mente cosciente si muovevano i pensieri del suo amico… era una cosa che faceva girare la testa. Osservo quel volto cinico e ironico, affascinato.

Clawly II parlo: — Considerati fortunato. E lusingato. Ti consegnero personalmente ai Servitori del Popolo. Vogliono essere loro a decidere, nel tuo caso, tra l’immediato sacrificio spontaneo, la confessione incoraggiata, o qualcos’altro. — Ridacchio, senza malizia personale. — I Servitori hanno creato degli eufemismi molto divertenti per le parole Morte e Tortura, vero? La cosa strana e che sembrano prenderli sul serio… gli eufemismi, intendo.

Le guardie in uniforme, sui cui solidi volti erano impressi anni di obbedienza senza domande a ordini incomprensibili, non risero. Semmai, sembravano vagamente colpite.

Thorn si alzo in piedi a fatica e si face avanti, lentamente, comprendendo che cosi facendo accettava un destino che non era il suo ma che era ineluttabile come ogni destino, e faceva il suo ingresso su un palcoscenico sconosciuto, per recitare una commedia sconosciuta. Percorsero il corridoio; le guardie si misero alle loro spalle.

— Sei un assassino meno abile di quanto avessi immaginato, se mi perdoni la critica — disse Clawly II, dopo un istante. — Gridare il mio nome per cogliermi di sorpresa… un trucco piuttosto misero. E poi, lasciar cadere la tua arma nel letto del torrente… No… non direi che la cosa e stata fatta con competenza. Temo che la tua reputazione di Recalcitrante piu pericoloso abbia subito un duro colpo. Ma certo, la fatica logora, e tu eri stanco.

Thorn capi che in quelle parole c’era molto di piu del semplice compiacimento per la sconfitta del nemico. Senza dubbio, Clawly II si rendeva vagamente conto che qualcosa non andava, e stava cercando di capire il motivo di questa sensazione. Thorn rimase in guardia, dato che aveva deciso perlomeno una cosa, nel buio della cella… di non rivelare di essere una mente sostituita, se non per sfuggire a una morte immediata. Sarebbe stato tutto a posto, se lo avessero considerato semplicemente pazzo. Ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato cosi.

Clawly II lo fisso con curiosita!

— Piuttosto silenzioso, eh? L’ultima volta che ci siamo incontrati, ricordo, tu mi denunciasti… o denunciasti forse cio che rappresentavo?… usando il linguaggio piu crudo, pur con un controllo di te stesso ammirevole. Forse stai cominciando a cambiare idea, sulla bonta delle idee dei recalcitranti? Temo che sia piuttosto tardi, ormai.

Attese per qualche istante. Poi:

— Sei tu a odiarmi, lo sai. Io non odio nessuno. — Vide la smorfia involontaria che Thorn faceva per nascondere il dolore provocato dalla spalla. — Oh, a volte faccio male alla gente, ma si tratta di semplice adattamento alle circostanze… e un’altra cosa. Il mio ideale, che sono convinto di avere raggiunto, e sempre stato quello di essere perfettamente adattato a qualsiasi circostanza della vita, di galleggiare libero sul fiume dell’esistenza, senza essere appesantito da sentimenti di odio, amore, paura, presentimento, colpa, responsabilita, e cosi via… godendomi sempre lo spettacolo, intervenendo di quando in quando.

Thorn ammicco… le parole di Clawly II erano sorprendentemente simili a quelle pronunciate da Clawly I quando si trovava di pessimo umore. Certo, l’uomo doveva avere qualche sospetto, e cervava di farlo parlare… altrimenti non avrebbeo mai parlato a quel modo. E poi, Thorn penso che Clawly II fosse disturbato da un inesplicabile sentimento di affetto e di simpatia, e cercasse di scoprirne il motivo. Forse l’indipendenza delle menti quasi duplicate non era cosi completa come era sembrato all’inizio. Forse le emozioni di Clawly I filtravano in maniera inesplicabile nella mente di Clawly II. Era tutto confuso, snervante, e Thorn fu sollevato quando entrarono in una grande sala, rimandando cosi il momento in cui egli avrebbe dovuto decidere come rispondere.

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