se ne era andato, o se attendere fino al mattino, e mi preoccupavo anche su cosa dovessi dire con precisione.

Non riuscivo nemmeno a padroneggiare la mia curiosita circa quanto poteva accadere dall’altra parte della tenda. Di sicuro, decisi, Zsuzsanna doveva aver notato la mia oscura allusione al lupo alla sua finestra e avrebbe, almeno, avvertito Vlad che la sua camera da letto non era piu un posto sicuro dove incontrarsi; osai persino sperare che le mie ambigue parole fossero state sufficienti per convincerla a rompere del tutto la sua relazione segreta.

Nonostante cio, mi forzai a chiudere le palpebre. Forse sonnecchiai… sebbene la mia memoria giuri che sono rimasta completamente cosciente. Caddi, pero, in uno strano sogno ad occhi aperti, simile a una trance, e mi trovai a fissare un paio di grandi occhi languidi, sospesi nella morbida oscurita.

Li circondava una pelle candida come la neve ed erano sorprendentemente belli, come degli smeraldi di un verde intenso; le pupille erano grandi, lucenti, nere. Li riconobbi immediatamente, poiche erano gli occhi di Vlad, e sembravano gettare lo stesso incantesimo ipnotico di cui avevo fatto esperienza al pomana, tranne che, questa volta, essendo in preda al sonno, cedetti per un momento. In questo modo, il mio malessere scomparve, e mi prese un languore molto piacevole che ero riluttante a interrompere.

Indugiai solo un momento, ma poi la mia naturale ostinazione mi sveglio e aprii gli occhi scuotendo la testa per schiarirla.

Eppure sapevo di non essermi addormentata. Questa allarmante consapevolezza — e forse il disagio provocato dalle storie che il signor Jeffries aveva raccontato nella cappella — fecero si che il cuore mi cominciasse a battere piu forte. Con un senso di inesplicabile terrore, mi avvicinai al sedile nella rientranza e con timore tirai la tenda, appena a sufficienza per poter vedere la finestra di Zsuzsanna ma per non essere vista.

Stanotte, la luna piena brillava in un cielo senza nubi, illuminando la campagna come fosse giorno. Potevo del tutto chiaramente vedere ogni filo d’erba, ogni fiore di campo sulla striscia di terra tra la nostra finestra e quella di Zuzsanna, sebbene i colori fossero sbiaditi in gradazioni di grigio leggermente diverse.

Sapevo che Vlad era la: lo sapevo, sebbene anche ora non sappia dire come ne fossi venuta a conoscenza. Lo sapevo, anche prima di vedere che le imposte erano state nuovamente spalancate e la finestra aperta. La lampada nella stanza era spenta, tanto che non riuscivo a vedere chiaramente all’interno ma, a pochi piedi oltre le imposte aperte, vidi delle ombre che si muovevano nell’oscurita, un lampo bianco contro il nero, e seppi, con la stessa impossibile certezza, che erano la pallida pelle di Zuzsanna contro il mantello di Vlad.

Per quanto tempo rimasi alla finestra non so dirlo esattamente. La mia percezione indica ore, ma per l’orologio erano minuti. Rimasi comunque paralizzata a guardare finche le ombre non si ritrassero dalla mia vista per inoltrarsi nella stanza buia… verso il letto.

Dopo un po’, l’ombra piu scura riapparve e si arrampico agilmente sul davanzale, lasciandosi cadere sull’erba per qualche metro, con l’agilita senza sforzo di un giovane.

Era Vlad. Lo vidi chiaramente, senza possibilita di errore, con i capelli bianchi e la pelle che mandavano riflessi nella chiara luce lunare. Si guardo alle spalle, furtivo come un ladro che scappa, poi comincio a correre.

Passo molto vicino alla mia finestra e io mi ritrassi, non osando respirare, tirando le tende in modo tale che rimanesse soltanto una piccola apertura, contro la quale premetti un occhio. Mentre guardavo, lui si curvo in avanti e comincio a muoversi carponi, a lunghi passi, come un animale, mentre il suo scuro mantello si richiudeva.

E sotto il mio stesso sguardo…

E impossibile. Impossibile! E follia, eppure so di essere del tutto sana di mente.

Era come osservare la crescita di un figlio, estremamente accelerata, tanto che la trasformazione di anni si verificava in pochi secondi. Sotto il mio sguardo, le sue gambe si accorciarono, le braccia si allungarono, e il naso e la mascella si protesero in avanti, allungandosi fino a formare un lungo e sottile muso pieno di aguzzi denti canini. Il tessuto del mantello e dei pantaloni sembrarono scomparire dentro la pelle e cambiare colore e consistenza finche non furono piu nera seta ma una pelliccia grigio argentea.

Davanti ai miei occhi, si trasformo in un grande lupo grigio.

Gridai per lo spavento. Non credo che il suono che emisi fosse forte, nondimeno Vlad — il lupo — si fermo e si volto in direzione della mia finestra, guardandola con grandi occhi chiari.

E — forse questa parte e immaginazione — vidi quelle labbra canine scoprire dei denti appuntiti, atteggiandosi leggermente nello stesso ghigno da predatore che aveva diretto a me, quando indugiava nell’abbraccio di Zsuzsanna al pomana.

Nella mia vita non sono mai stata piu vicina a svenire. Lasciai andare la tenda e mi ritrassi barcollando fino al muro, poi mi appoggiai contro di esso, timorosa che, se lo avessi lasciato, non sarei stata capace di reggermi in piedi.

Quando, infine, mi sono ripresa, sono corsa alla scrivania per scrivere tutto questo, per timore che, al mattino, mi sarei convinta che non era altro che un incubo.

Posso udire, in distanza, l’avvicinarsi di Arkady con il calesse. Ero stata cosi preoccupata per tutta la sera di raccontargli di Zsuzsanna e Vlad!

Che cosa gli diro adesso?

Che cosa posso dirgli?

Il diario di Arkady Tsepesh

10 aprile. Sera tardi. Jeffries e svanito. Penso che lo abbiano ucciso.

Sono ritornato con lui al castello abbastanza tardi, verso l’una o le due del mattino. Non ho disturbato lo zio, sebbene sospettassi che fosse ancora sveglio a quell’ora tarda e Jeffries ha detto che sicuramente avrebbe presentato le mie scuse per averlo riportato molto piu tardi di quanto indicasse il biglietto che avevo lasciato. Sentivo di non avere il diritto di sottrarre nuovamente allo zio la compagnia del signor Jeffries il giorno seguente, ma lo invitai ugualmente per il the del pomeriggio.

Questo pomeriggio, sono partito presto diretto al castello per andare a prendere Jeffries per il the. Mentre entravo con il calesse nel cortile, Laszlo se ne stava appena andando in carrozza con un grosso involto sul sedile accanto a lui. Al vedermi sembro allarmarsi: frusto immediatamente i cavalli e si affretto ad andarsene.

Considerai la sua fretta e la sua riluttanza a parlarmi come un segno della sua avversione, e non riflettei molto su cio o sull’involto accanto a lui, fino a quando, piu tardi, cercai Jeffries nella stanza degli ospiti. Se n’era andato: il bagaglio e il blocco per appunti si trovavano nelle sue stanze, cosi come il biglietto che gli avevo inviato da parte dello zio piegato con cura, ma una ricerca nel castello si dimostro senza frutto. Non era in nessun luogo, e nessuno dei domestici ammise di averlo visto.

Preso dalla disperazione, li chiamai uno per uno nel mio ufficio e li interrogai. Nessuno di loro sembrava saper nulla della misteriosa sparizione del visitatore (sfortunatamente, Masika Ivanovna oggi non e venuta al castello, poiche suo figlio e morto. Ma ne sapro di piu, giacche ho in programma di partecipare al funerale). Per ultimo, ho parlato con Laszlo alcune ore piu tardi, quando finalmente e ritornato al castello.

Mentre lo facevo, ho notato che aveva sul panciotto un orologio d’oro con catena che non avevo mai visto prima; con un’ispirazione nata dall’orrore, gli domandai di tirare fuori l’orologio e di farmelo vedere.

Cosi fece, e io trattenni il fiato quando i miei occhi riconobbero la grande “J” d’argento incisa sulla superficie dorata dell’orologio. Una tale sfacciataggine! Durante la mia ispezione, lo tenne con la stessa mano che ora portava l’anello d’oro di Jeffries.

Persi completamente la calma e gli gridai:

«Come osi rubare a un ospite di questa casa! Sei licenziato immediatamente! Vedi di non mettere piu piede di nuovo in questa proprieta!».

Sollevo il mento pronunciato, con aria di sfida, senza rimorso.

«Oh, non me ne andro, signore. Ci pensera il voievod. Inoltre, voi non avete l’autorita per licenziarmi».

La sua arroganza mi rese furioso; il calore mi invase il viso mentre gridavo:

«Non c’e dubbio su cio! Vedremo cosa Vlad ha da dire quando gli diro che sei un ladro!».

«Io non sono un ladro», ribatte. «I morti non possiedono nulla».

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