creata dall’immaginazione e da un senso di repulsione per il fatto che sapevo che Vlad era stato li soltanto qualche ora prima.
Zsuzsanna giaceva con i suoi capelli scuri sparsi sul cuscino. Brutus sedeva sul pavimento con la grande testa quadrata che riposava sul bordo del letto, accanto al cuscino, fissando il viso della sua padrona con un’espressione preoccupata e attenta. Quando entrai, volto il muso corrucciato e dolente verso di me e piagnucolo piano, come per supplicare aiuto.
Alla vista di Zsuzsanna, alzai le mani alle labbra per reprimere un’espressione di orrore.
Assomigliava a un cadavere vivente: era pallida come i cuscini o la camicia da notte. Gli occhi avevano delle ombre di un viola scuro sopra e sotto; la pelle, non piu morbida ma di un grigiastro privo di vita, era tirata, accentuando gli zigomi prominenti, il naso aguzzo e stretto, e gli occhi neri, enormi sotto i segni delle sopracciglia nerissime. Gli alti zigomi scolpiti e il taglio leggermente all’insu dei suoi occhi le davano un’apparenza stranamente felina e il pallore estremo di una strana e deperita bellezza.
Il suo volto aveva l’espressione tirata e cerea dei morti. Soltanto gli occhi sembravano vivi, lucenti, liquidi, pieni di una particolare eccitazione. Non sedeva propriamente quanto piuttosto era adagiata contro tre cuscini, respirando rapidamente e brevemente mentre lottava per scrivere su un diario appoggiato su un piccolo vassoio. Lo sforzo sembrava quasi troppo grande per lei.
Il mio apparire la spavento. Con una rapidita che chiaramente la stanco, volto il piccolo quaderno (sebbene non prima che vedessi che era stato scritto in inglese, presumibilmente per renderlo inintellegibile a domestici curiosi). Mi sorrise mostrando per un attimo i denti; le sue gengive grige si erano ritirate, facendo apparire i denti lunghi in modo anormale.
Ricambiai il sorriso, cercando di nascondere l’orrore poiche, guardandola, non riuscivo a pensare a nient’altro che a un cranio sogghignante. Ero sgomenta dal vedere che si era ammalata tanto rapidamente; il giorno prima mi era sembrata leggermente indebolita e stanca, ma nulla di tutto cio… cosi vicino alla morte.
«Zsuzsanna!», esclamai. «Mia povera cara, che cosa e accaduto?».
Lei non si sollevo; non poteva, ma lotto per inalare abbastanza fiato da bisbigliare:
«Non lo so. Mi sento cosi debole… e la schiena mi duole terribilmente». La indico debolmente con una mano e mi sembro — e impossibile, naturalmente — che le sue spalle fossero quasi alla stessa altezza, mentre prima una era stata alcuni pollici piu alta dell’altra. «Ma va tutto bene, Mary. Non e niente…».
Sorrise ancora, e gli occhi le brillavano di una beata follia.
«Non parlare», ordinai. «Sei troppo debole».
Mi voltai quindi verso Dunya che mi aveva seguito entrando e stava a guardare con un’aria di convinzione piena d’orrore, le mani sottili strette insieme all’altezza della vita, come se stesse pregando in segreto.
«Dunya», dissi, «manda uno dei domestici a prendere un dottore».
«Non ho bisogno di un dottore», bisbiglio Zsuzsanna, ma noi non prestammo alcuna attenzione a una dichiarazione tanto ridicola.
«Il dottore piu vicino si trova a Bistritsa», rispose Dunya. «Se verra immediatamente, arrivera qui stanotte, ma non e molto bravo. Il migliore si trova a Cluj, ma e troppo lontano per essere d’aiuto». Si fermo, abbasso la voce, e disse con grande convinzione: «Io so che cosa fare per aiutarla».
Aggrottai la fronte, preoccupata che dicesse qualcosa che potesse dispiacere a Zsuzsanna. Non volevo parlare di Vlad, della superstizione, o della cosa impossibile che avevo visto, di fronte a Zsuzsanna, che era gia predisposta alle fantasie.
«Allora, di a uno degli uomini di andare a prendere il dottore a Bistritz», le ordinai.
Lei annui, fermandosi per lanciare un ultimo sguardo muto a Zsuzsanna, e nei suoi giovani occhi intelligenti vidi la rabbia, la paura e l’odio, lo sguardo di una donna che era stata violata e che non avrebbe mai perdonato.
Se ne ando e io sedetti sul bordo del letto, facendo attenzione a non urtare il vassoio per scrivere con sopra la penna e la bottiglia d’inchiostro. Il povero Bruto mi si avvicino, ed io accarezzai la sua grande, calda e fidata testa, ma la pelle aggrottata sulla sua fronte turbata non si rilasso mai. Zsuzsanna non si sollevo a sedere ma mosse con rapidita la mano per far scivolare piu lontano il diario voltato, oltre le coperte, come se temesse che potessi prenderlo e leggerlo.
Mi sarebbe piaciuto. Ero disperatamente curiosa di sapere cosa dicesse.
Con delicatezza le poggiai una mano su un braccio e l’altra sulla fronte. Non era affatto calda, cosa che mi sorprese, dato che mi aspettavo che i suoi occhi luccicanti fossero dovuti alla febbre. Invece era piuttosto fresca, e pensai, senza volere, alla stretta gelida di Vlad al
«Non ho bisogno di un dottore», sussurro ancora. «Ho soltanto bisogno di riposare e stare sola».
«Sciocchezze!», dissi con fermezza. «Zsuzsanna, tu sei malata. Hai bisogno di cure». Pensai al vassoio che Dunya stava trasportando e mi accorsi, ripensandoci, che il cibo non era stato toccato. «Hai mangiato qualcosa?».
Scosse la testa, lasciandola ciondolare debolmente da un lato.
«Non ci riesco. Mi sembra un tale sforzo…».
In risposta, lanciai uno sguardo all’occorrente per scrivere.
«Ti portero io stessa qualcosa dalla cucina. Un po’ di brodo forse, qualcosa che vada giu facilmente».
Cominciai ad alzarmi.
Mentre cosi facevo, Zsuzsanna porto distrattamente una mano al colletto della camicia da notte e tiro il nastro, allentandolo un po’ e toccando la pelle con la punta delle dita. La sottile stoffa di cotone bianco si apri, permettendomi di vedere per un attimo un piccolo segno rosso sul collo, proprio sopra la clavicola.
«Mia cara, ti sei graffiata», dissi e, senza pensare, tirai via con delicatezza la stoffa per esaminare la ferita. La mia seconda impressione, nell’esaminare la ferita piu chiaramente, fu che si fosse punta per caso la pelle con una spilla.
C’erano due segni, non uno, ambedue piccoli, di un rosso scuro e perfettamente rotondi, con dei minuscoli centri bianchi nei punti esatti in cui la pelle era stata pizzicata. Proprio sotto una delle ferite, una goccia di sangue nero essiccato aveva formato la crosta.
La mia terza impressione consistette di un ricordo visivo e uditivo: Vlad, alla finestra della camera da letto di Zsuzsanna, che si chinava per abbracciarla e Dunya che diceva: «
Naturalmente, era ridicolo e impossibile. La mia mente se la rideva di tali ragionamenti e scartava subito la possibilita, ma ritirai la mano piu rapidamente che potei come se avessi scoperto un serpente arrotolato. Mentre sedevo a fissare la ferita, il mio cuore comincio a battere forte, e un senso di indicibile terrore mi sopraffece. Il bambino nel mio grembo fece un rapido e violento movimento.
Un animale, mi dissi. I segni dovevano essere stati fatti da un animale. Forse Bruto l’aveva graffiata… ma no, quelli erano morsi, e non potevo credere che la sua gentile e devota creatura l’avesse morsa. Inoltre, i buchi non corrispondevano alla dimensione e alla forma della bocca di un cane, ne corrispondevano a quelle di qualsiasi animale che mi fosse familiare.
Ma erano delle dimensioni e alla distanza esatta per provenire da una bocca umana… o inumana…
Il mio sgomento dovette essere evidente. Zsuzsanna abbasso le sue pesanti palpebre con le ciglia nere come il carbone, e mi lancio uno sguardo di traverso. Le dita ritornarono alla ferita, lo sguardo si fisso davanti a se, e la sua espressione…
La sua espressione, mentre palpava i segni, era la vista che turbava piu profondamente di qualsiasi altra cosa. Le sue labbra senza colore si aprirono, e il petto comincio a sollevarsi mentre il respiro diveniva piu rapido; gli occhi si spalancarono con uno sguardo di pura meraviglia, seguita dalla gioia, poi si strinsero ancora con velata sensualita. Abbasso la mano, languidamente, con volutta, lasciando che le dita seguissero la curva di un seno e rimase assorta, a quella rivelazione, in una sorta di privato rapimento, come se io non fossi presente.
Pensai:
Mi getto un altro sguardo di traverso da sotto le lunghe e folte ciglia, e le labbra le si curvarono in una timida smorfia che mi fece pensare al suo prozio al
«E soltanto una piccola puntura di spillo, Mary. Non devi preoccuparti cosi».