«Arkady Petrovich! Che bello da parte tua venire! Come sono grata di poterti vedere un’altra volta!».
Pronuncio l’ultima frase con tale convinzione che io risposi:
«Avrai molte opportunita di vedermi ancora, al castello».
Le sue labbra si strinsero forte; scosse la testa e nei suoi occhi brillo lo stesso cupo dispiacere e timore che avevo visto proprio prima che la presenza di Laszlo la interrompesse nello studio di papa.
«No», disse a voce bassa. «Non ci ritornero piu».
«Sei sconvolta dal dolore, Masika Ivanovna. Tra una settimana, forse due, ti sentirai abbastanza forte da lavorare di nuovo. Inoltre, la, tu sei la mia unica vera amica».
Le lasciai le mani e tirai fuori dalla tasca il grosso crocifisso d’oro con la catena che avevo preso la notte precedente dalle camere degli ospiti. Lo premetti nel suo palmo; lei guardo in basso con sgomento.
«Jeffries non lo portera piu», spiegai e, dopo un attimo, aggiunsi a voce bassa: «E scomparso».
«Oh, Arkady!», grido, cosi presa dall’angoscia che mi si rivolse come a un familiare. «Tu non capisci ancora, vero?». Immediatamente si guardo furtivamente alle spalle, verso le donne che l’attendevano a breve distanza. Sporgendosi verso di me, come se temesse che qualcun altro potesse sentire, bisbiglio: «Il mio destino non mi importa piu. Ho perduto i due uomini che maggiormente amavo al mondo, e non mi importa se vivro o moriro. Eppure, temo moltissimo per te, per tua moglie e per il bambino…».
Il mio cuore comincio a battere piu rapidamente al pensiero che qualcuno potesse credere che Mary fosse in pericolo.
«Che cos’e che temi, Masika? Che qualcuno ci faccia del male?».
«Non fisicamente, ma ci sono ferite peggiori… quelle inflitte all’anima». Si porto le mani al viso ed emise un debole, amaro singhiozzo. «La mia ha sopportato abbastanza. Voglio soltanto morire».
«Masika, non devi dire queste cose…».
Continuo come se non avessi mai parlato, allungando il braccio per toccarmi la guancia e mi guardo con gentile affetto materno.
«Tu sei come tuo padre quando era giovane, pieno di bonta e gentilezza. Ma puo essere gia troppo tardi per te… troppo tardi».
«Non capisco», risposi, ma lei m’interruppe con un bisbiglio rauco e veloce, come se temesse che potessi cercare di fermarla.
«Il Patto, Arkady Petrovich, il Patto! Vieni da me di giorno, quando lui dorme. Non e sicuro per noi parlare cosi all’aperto: ci sono troppe orecchie, troppe spie. Oggi non possiamo parlare; la mia casa sara piena, ma vieni da me presto… tra un giorno o due. Dobbiamo parlare, e…», qui la sua voce si abbasso talmente che potevo a malapena sentire, «… c’e una lettera da parte di mio figlio che devi leggere. Lui sapeva che il suo momento era vicino, e cosi ti ha scritto. Ma per amor suo e mio, non parlarne a nessuno. Devi giurare di tenerlo segreto. Soltanto, vieni…!».
La sua fretta era impellente, ma io non riuscivo a dare un senso alle sue parole.
«Ma perche, Masika?»
«Perche…», comincio, poi esito per alcuni secondi, guardando intensamente il mio viso con occhi ansiosi, pieni di dolore, come se temesse di essere condannata. «Perche amavo tuo padre. Perche e tuo fratello che seppelliamo oggi».
Mi ritrassi, sopraffatto dalla sorpresa, incapace di rispondere mentre lei se ne andava rapidamente per unirsi al gruppo delle donne in attesa, le cui forme scure scomparivano veloci come merli che volavano bassi sull’erba che si risvegliava per la primavera.
Attesi finche l’ultimo dei partecipanti fu sparito, poi mi avvicinai alla tomba, dove i becchini stavano cominciando a coprire la bara calata nella fossa con palate di terra. La semplice lapide recitava:
Bulgakov era il cognome di Masika, ma il vedere sulla lapide il patronimico russo non consolo il mio cuore: Petrovich, figlio di Petru.
Non so descrivere come mi sento ora, o come mi sentii in quel momento. Colpito. Ferito. Tradito. Amaramente arrabbiato… con Masika, con papa. Con quel giovane, perche era morto prima che lo potessi incontrare.
Quando mi ripresi, chiesi al becchino piu anziano:
«Di che cosa e morto?».
L’uomo smise di spalare per guardarmi con educata ostilita mentre sollevava il cappello spiegazzato e si puliva la fronte sporca con un avambraccio persino piu sporco.
«Voi siete Dracula, signore. Di sicuro lo sapete».
Il suo tono era perfettamente civile, ma trasmetteva la profondita del suo odio verso di me… e la sua paura.
«Tsepesh», lo corressi, ma non c’era rimprovero, non c’era rabbia nella mia voce, soltanto un sincero desiderio di sapere. Quel nome evoco nella mia mente un’immagine improvvisa di Jeffries, che giaceva impalato su degli alti e oscillanti rami di pino; lottai per reprimerla.
«Onestamente no. Per favore…». Mi fermai e aggiunsi, pensando a Laszlo: «E stato un assassinio?».
Mi fisso con gli occhi socchiusi, scettici, cercando di giudicare la mia sincerita. Alla fine, qualcosa che vide lo dovette convincere, perche rispose, mentre cessava la sua osservazione e ritornava a scavare:
«Ahime, si potrebbe dire cosi, signore. La sua gola e stata squarciata dai lupi».
Capitolo sesto
Ieri ero certa che sarei morta; oggi sono un po’ piu forte e mi posso sedere e mangiare la minestra che Dunya mi porta. Scrivere non e piu uno sforzo terribile. Stranamente, cio mi delude.
Adesso, due donne abitano il mio corpo. Una e la Zsuzsanna che ho sempre conosciuto: debole, timida, la ragazza brava e obbediente di papa. Questa e grata a Mary per la sua gentilezza e a Dunya che mi cura nella malattia. Io so che loro mi amano e che vogliono che mi rimetta e, cosi facendo, io voglio far loro piacere. Questa ama Bruto per la sua devota presenza al mio capezzale e si commuove fino alle lacrime quando, preoccupato, da alla mia mano un colpetto freddo e umido e mi guarda con quegli adoranti occhi ambrati. Questa sa che e quasi morta, ed e terrorizzata alla prospettiva.
Ma l’altra…
Ah, l’altra… L’altra sa che sta cambiando, e vuole il cambiamento. L’altra e forte, appassionata, e attende soltanto che lui ritorni, per mantenere la sua promessa di legarci insieme per sempre.
So che sta cercando di venire da me. Non ha dimenticato. Penso che abbia tentato la notte scorsa; ho un ricordo debolissimo di Bruto che scatta verso il sedile della finestra e abbaia ferocemente. Mi ricordo di essere emersa a sufficienza dal mio torpore drogato per avere la sensazione dei suoi occhi disincarnati che mi fissavano dalle profonde ombre vellutate delle mie palpebre chiuse. Cercavo di parlare e non potevo; e cosi, gli ho mandato un pensiero, e credo che abbia udito. Gli ho raccontato quello che avevano fatto alla finestra. L’ho avvertito del cane.
Dio, quanto l’altra Zsuzsanna odia Mary! Quanto odia Dunya! Odia anche quel maledetto cane per aver tenuto lui lontano dalla mia finestra. Se non fossi stata cosi debole e incapace di alzarmi, le avrei uccise strangolandole per aver osato separarci! Fingono di essere innocenti; non diranno niente di lui, ma sanno cosa stanno facendo. Lo sanno, quelle bugiarde piagnucolose! Hanno liberato il cane dalla cucina e hanno messo i fiori d’aglio alla mia finestra mentre ero addormentata entrando di soppiatto come dei ladri per commettere le loro