Se viaggiano via terra, arriveranno entro una settimana; se viaggiano per mare (cosa che offre minori rischi) ho un mese per prepararmi. Mi atterro alla prima ipotesi, in modo da essere pronto.

Quindi devo fare rapidamente la mia scelta riguardo a John. Lo lascio pregando che sia al sicuro senza il mio intervento? O resto?

Il diario del dottor Seward

3 luglio. Come unico proprietario di un manicomio, sono abituato alle cose strane, ma la giornata odierna, credo, ha portato gli eventi piu strani di cui sia stato testimone, qui o altrove.

Tutto e iniziato nelle prime ore del mattino. Ero stato sveglio per un po’ di ore, incapace di riprendere sonno dopo un altro attacco di quello che sono arrivato a chiamare un “sogno disturbante”. Sono stato restio a scriverne — fino a oggi — perche lo avevo imputato a una combinazione di ansia e alla venerazione di un eroe. E, francamente, ad un po’ di mania nascosta dentro di me che glorificava il professore e me come due coraggiosi cavalieri dell’occulto che combattevano contro un grande Male che voleva sottomettere il mondo.

Il sogno e piuttosto semplice, e consiste in un’immagine di me stesso e del professore che brandiamo spade d’argento contro una vasta e invadente Oscurita. Questa parte e piuttosto piacevole (e, in tutta coscienza, imbarazzante), ma la parte “disturbante” arriva quando il professore scompare all’improvviso dalla vista e io vengo lasciato solo a combattere. L’Oscurita rapidamente aumenta e mi circonda, divorandomi nello stesso modo in cui un’ameba mangia la sua cena. Ho sognato tutto cio parecchie volte da quando ho ricevuto il telegramma di Van Helsing.

Ne ho abbastanza! Per quanto sembri sciocco dirlo a voce alta, ancora mi terrorizza… specialmente dopo il mio incontro con il professore questa mattina.

Allora restai sveglio per un po’ nel letto, riluttante a ritornare a dormire (forse a sognare), riluttante ad alzarmi e accettare la fatica come mio destino. Finalmente, quando l’oscurita si rischiaro diventando grigia, mi alzai, mi lavai, mi vestii, e uscii nel corridoio per vedere se il professore era sveglio. La mia intenzione era quella di invitarlo a un’abbondante colazione, poiche aveva saltato la cena e la colazione entrambi i giorni, lasciandomi preoccupato.

La porta della sua cella era chiusa a chiave. Avevo abbandonato la speranza e mi ero appena voltato per dirigermi verso le scale, quando vidi con la coda dell’occhio la porta della camera di sua moglie leggermente socchiusa. Mi mossi verso di essa pensando di bussare ma, invece, rimasi un po’ in silenzio ad ascoltare. Dall’interno proveniva la voce del professore: il suo tono mi rassicuro che la conversazione che stava avendo luogo non era di carattere intimo.

E, in risposta, arrivo una seconda voce: quella di una donna, senza dubbio quella della sua paziente “catatonica”. La mia curiosita di medico ebbe la meglio su di me, lo confesso. Bussai leggermente, rapidamente, poi aprii spingendo la porta con tale delicatezza che non fece rumore.

Van Helsing era troppo intento per notarmi. Il suo sguardo era fisso sulla moglie seduta sulla sedia, che era stata spostata dalla sua posizione davanti alla finestra per guardare verso il professore.

Aveva un’espressione talmente animata che, per un istante, pensai di stare guardando una donna diversa. I suoi occhi scuri erano spalancati e traboccavano di divertimento e fascino, mentre le sue labbra erano curve verso l’alto in un sorriso pieno di fossette. Era vestita come una matrona con un severo abito nero e uno scialle, i capelli tirati all’indietro in una crocchia severa e poco attraente, ma il suo comportamento era quello di una debuttante eccitata. Questa mattina, l’illusione della bellezza della giovane era cosi forte che non ebbi alcun indizio della donna anziana che si celava al di sotto.

«Guardo attraverso il finestrino», disse graziosamente, con il mento appoggiato sopra le nocche.

E, difatti, aveva voltato la testa e sembrava guardare fuori da una finestra (mentre quella reale era alle sue spalle), come se stesse seduta su un treno a fissare la scena esterna.

«Vlad e con te?», chiese il professore, con una tale intensita da farmi comprendere che mi ero imbattuto in una seduta ipnotica. Rimasi assolutamente immobile, per non disturbare nessuno dei due, facendo si che la signora Van Helsing non emergesse troppo rapidamente dalla trance.

Lei scosse la testa e fece una risata sprezzante.

«Non lui. Sono con il mio amore». Sospiro. «La luce del sole sulle montagne e cosi bella…».

Al sentire cio, le folte sopracciglia bionde di Van Helsing si aggrottarono per l’allarme.

«La luce del sole! Sei nella tua bara? Dormi?».

Di nuovo, una risata giocosa; stupefacente, non era dovuta all’assurdita della domanda. «No, no, sono sveglia. La scena e cosi deliziosa, non vorrei…». Un nuovo prorompere di risate. «Elisabeth, ferma! Qualcuno ti vedra…».

«Chi e Elisabeth? Una mortale o un Vampiro? E qualcuno che hai morso?».

Non riuscii a reprimere un piccolo sussulto. Nonostante la precedente disattenzione, Van Helsing alzo lo sguardo bruscamente; tutta l’animazione abbandono sua moglie con la terribile subitaneita di un castello di carte che cade, lasciandola ancora una volta una creatura con gli occhi vuoti e la mascella cascante.

Per quanto riguarda il professore, si alzo con la velocita e l’incurante determinazione di un turbine di vento. Con fare incredibilmente brusco, mi afferro per un braccio e mi fece uscire dalla stanza. Sempre tenendomi come per impedirmi di scappare, chiuse a chiave la porta della cella poi, alla fine, mi lascio e bisbiglio con furia:

«Non lo fare piu! Mai piu! Capisci in che male potresti incorrere nell’ascoltare cose simili?».

Per un po’, fui troppo sbalordito per rispondere: non avevo mai visto il professore cosi rosso di rabbia. E che cosa intendeva dicendo che potevo incorrere nel male? Mi stava minacciando? Quando, infine, ritrovai la parola, riuscii a dire:

«Io… io volevo solo invitarvi a fare colazione, vedendo che vi eravate alzato tanto presto. Mi scuso per il disturbo ma, poiche la porta era socchiusa e vi udivo parlare, mi sono preso la liberta… io ho bussato, ma voi eravate troppo intento per udirmi».

«Allora e colpa mia!», tuono: dico tuono, anche se ancora bisbigliava, poiche la rabbia gli scuoteva la voce. «Hai udito cose che non avresti dovuto sentire…».

«Riguardo a mortali e Vampiri», dissi, incapace di trattenere del tutto il mio divertito scetticismo.

Ero interessato, a dire il vero, ai fenomeni occulti, e una prova certa avrebbe potuto persuadermi dell’esistenza di Vampiri… di una varieta psichica, ma un Vampiro che morde con denti aguzzi… quello era un argomento che proveniva direttamente dalle pagine di un romanzo del terrore.

Lo guardai di traverso, invitandolo a una spiegazione razionale per una domanda talmente irrazionale, una spiegazione che mi avrebbe calmato e avrebbe provocato un sorriso da parte di entrambi. In verita, nella mia mente ne avevo pensata una per lui: che stesse assecondando, per qualche ragione, le allucinazioni di sua moglie, al fine di saperne di piu per poterla aiutare.

Ma la fiera intensita nei suoi occhi blu non venne meno, ne lui rispose; distolse soltanto lo sguardo e intreccio le braccia, ancora turbato. O, piuttosto, turbato nuovamente dalla sua incapacita di fornire la risposta che io desideravo ardentemente sentire. Se ci fosse stata una sedia nel corridoio, vi sarei caduto sopra, poiche fui all’improvviso sopraffatto dalla sgradevole e indubbia consapevolezza che il professore aveva posto la domanda in tutta serieta.

Emisi una breve e affannosa risata d’incredulita; il sorriso sul mio viso comincio a trasformarsi in una smorfia di preoccupazione. Per tutti quegli anni, avevo creduto che il mio mentore possedesse i piu profondi segreti dell’occulto. Il segreto poteva essere che fosse un pazzo in preda alle allucinazioni?

«Sicuramente, dottor Van Helsing, voi non siete…».

In risposta, mi afferro ancora il braccio con una tale forza che mi interruppi, spaventato fino a stare zitto, mentre mi trascinava con se verso la sua tetra camera.

Una volta li, chiuse la porta dietro di noi, poi si volto a guardarmi.

«John, ti ho veramente fatto un grande torto nel venire qui. Non restero a lungo, ma faro immediatamente i preparativi per partire, per me e per mia moglie».

Il suo umore era un po’ piu calmo, ma non meno determinato ne meno arrabbiato, sebbene potessi vedere ora che la sua rabbia stava rivolgendosi interamente verso se stesso. Per qualche motivo, cio mi infastidiva piu del suo brusco e non scusabile comportamento verso di me.

«Vediamo», protestai, cercando di eguagliare la sua veemenza con un po’ della mia. Sebbene quello che

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