operai se ne saranno andati, dobbiamo entrare e distruggerlo!».

«Allora andrai da sola. Non vedi come e diventato potente?». Fece un gesto verso la cassa che irradiava luce, con un’espressione e un atteggiamento — mentre una delle sue scarpette color crema batteva la terra con impazienza — che rivelavano un’intensa ansia. Quindi si volto e comincio ad andarsene, ma io le afferrai un braccio e lo strinsi.

«Tu lo temi», dissi meravigliata. «Tu che pretendi di essere invincibile, tu che giuri di evitare il confronto con lui solo perche vuoi goderti il gioco del gatto col topo… hai paura! Non potrebbe darsi che sia lui il gatto e tu il topo?»

«Lasciami andare!». Allora smise di fingere e, inveendo con un epiteto ungherese, mi diede una spinta con un braccio a strisce rosa e crema. Non ho mai visto i suoi lineamenti cosi grottescamente contorti per la rabbia: in un istante, si era trasformata da una bambola di porcellana in una Medusa. «Non far la sciocca: se litighiamo, ci sentira. Zsuzsanna, non hai idea del pericolo in cui ci stai mettendo!».

Avrei voluto dire dell’altro, avrei voluto chiederle: «E hai paura anche di Van Helsing, che ti rifiuti di ucciderlo? Anche lui e troppo forte?», ma si libero della mia presa e si trasformo in una farfalla dorata che se ne volo via sulla brezza estiva.

Controllai la mia rabbia e cavalcai sui raggi del sole, ma non la seguii nella direzione della casa di Londra. Invece, lasciai la proprieta di Carfax e mi diressi a Purfleet dove, sotto il manto dell’invisibilita, scivolai nel negozio di un argentiere e fuggii con un lucente pugnale e una spada dal lungo manico.

Poi ritornai a Carfax, poiche la mia furia per l’inganno di Elisabeth mi aveva reso ancor piu determinata a uccidere Vlad e a distruggerlo subito. Per quale altra ragione avevamo atteso tutte quelle settimane? Le avrei mostrato che cosa significava il vero coraggio e poi, dopo aver distrutto lui, l’avrei lasciata alla sua vanita, alla sua degenerazione, alla sua meschina prigione che attendeva silenziosamente la sua prima vittima. In quanto a me, non avevo bisogno ne della protezione di un uomo o di una donna, ne del loro amore; i due che avevo osato amare, mi avevano entrambi tradito, e ora non mi sarei mai piu permessa di soffrire cosi. Forse avrei dovuto andare a Vienna o a Parigi…

Quando arrivai, gli operai erano gia intenti al loro lavoro. La mia rabbia vacillo solo una volta mentre aspettavo sotto le querce morenti, quando riflettei che, forse, ero stata troppo precipitosa nel pensare che la convinzione di Vlad che nessun Vampiro potesse mai distruggerne un altro nel modo tradizionale, con il palo e il coltello, fosse semplicemente un’altra delle sue superstizioni medievali. E se era vero?

Allora me ne andro e portero un mortale per compiere l’impresa, mi dissi. Non sarei stata sviata, ne avrei permesso a me stessa di credere che correvo un pericolo cosi terribile come diceva Elisabeth.

Gli operai (un gruppetto di “tipi”, come si chiamerebbero da loro stessi, di classe inferiore, dei cockney) portarono le casse all’interno attraverso l’entrata principale, con un’andatura follemente lenta, una cassa alla volta. Questo, unito a parecchie pause per barzellette sconce, chiacchiere e risate, mi rese cosi impaziente per l’ora e mezzo che ci volle loro perche finissero, che fui tentata di apparire nel mio aspetto piu feroce, con le zanne scoperte, e farli scappare via tutti di corsa.

Quando, finalmente, se ne furono andati, il sole era alto: era mezzogiorno, cosa questa che mi mise di buon umore, poiche quella era l’ora in cui Vlad era piu debole. Anche cosi, mi premurai di rafforzare il velo dell’invisibilita intorno a me e alle mie armi d’argento e con esse scivolai attraverso la fessura della porta principale in rovina, che i “tipi” avevano chiuso a chiave.

All’interno, il pavimento era ricoperto da uno strato di polvere spesso alcuni centimetri (com’era tipico di Vlad!), che metteva in evidenza ogni pedata degli operai. Senza lasciare delle orme, seguii la scia attraverso il corridoio, finche questo termino davanti a una porta di quercia ad arco, rinforzata con il ferro.

Tra la base della porta e il pavimento ricoperto di polvere, c’era uno spazio piuttosto grande, e cosi anche tra la sommita arcuata e lo stipite. Ci si sarebbe potuti aspettare di vedere dei raggi di sole che passavano attraverso, illuminando la polvere sospesa nell’aria ma, in luogo della luce, splendeva quella sinistra e splendente aura color indaco, un’oscurita che non era assenza di luce ma una forza eguale e opposta che la poteva sostituire.

Per un breve momento rimasi sgomenta, poi chiamai a raccolta tutta la mia rabbia e il mio coraggio, e di nuovo ridussi me stessa e il mio peso a una scheggia sottile come un capello che scivolo con facilita sotto allo spazio alla base della porta, attraverso l’oscurita radiosa che sembro permeare il mio essere.

Emersi dall’altra parte piena di trepidazione poiche, sebbene la stanza (un tempo una cappella, dato che la parete piu lontana portava i segni di un grande crocifisso che era stato rimosso di recente da sopra i resti che marcivano di un altare di legno) fosse vasta e con un alto soffitto, era piena di quella splendente radiosita blu profondo che indicava la presenza di Vlad.

Mi irrigidii e con le mie armi avanzai verso la cassa dalla quale usciva la non-luce color indaco. A questo punto posso solo descrivere la sensazione in termini mortali, poiche l’esperienza immortale mi viene a mancare: fu come cercare di camminare all’interno e attraverso uno sciame di api molto infastidite, o nuotare contro una corrente impetuosa; mi sentii respinta all’indietro da una forza ostile e ronzante, mentre la pelle del mio corpo doleva come se fosse pizzicata.

Eccellente!

Avanzai, lottando per controllare la mia paura. Non era importante quanto Vlad potesse essere diventato potente: io credevo nella mia invisibilita e nel mio piano: raggiungere la cassa nella quale giaceva, spalancare il coperchio e, nell’istante della sorpresa, trapassargli con le mie armi d’argento sia il cuore che il collo.

Finalmente arrivai alla mia meta, e li mi fermai per controllare i nervi mentre allungavo la mano verso il coperchio di legno chiuso con i chiodi, sebbene fossi in grado di aprirlo con solo un po’ di sforzo.

Le mie dita si curvarono intorno al bordo; tirai. Il coperchio non si mosse, ma rimase saldamente inchiodato.

Tirai di nuovo, piu forte, imprecando in silenzio. Di nuovo, nessun risultato. Mi fermai, furiosa e perplessa, chiedendomi quale abilita immortale potessi usare per aprire quel coperchio impossibilmente bloccato.

O era un trucco di Vlad?

Il coperchio davanti a me esplose all’improvviso in un potente vortice che mi getto contro la porta tra una raffica di schegge di legno e di polvere; se fossi stata mortale, sarei stata certamente uccisa all’istante. Invece, ascoltai con vero stupore il rumore della porta e quello delle mie ossa immortali che scricchiolavano… nonche il fortissimo suono metallico delle mie armi che colpivano le pietre del muro a un centimetro dalla mia testa.

Quando la tempesta cesso, facendo si che la polvere e le schegge di legno cadessero sul pavimento sudicio con la rapidita di una tromba d’aria che lascia cadere un albero o una pecora terrorizzata, mi sedetti e guardai attraverso la luccicante oscurita: vidi che la cassa era aperta… e che all’interno c’era Vlad.

Non addormentato, ma completamente immobile come un cadavere, con le braccia incrociate sul petto, gli occhi di malachite spalancati, e un sorriso di scherno sulle labbra. Adesso era un uomo giovane, non piu spettrale, ma bello, con fluenti capelli del colore del carbone, e baffi. Lo guardai e provai subito sgomento e terrore.

Ero disperatamente curiosa circa il pezzo di bianca pergamena iridescente che teneva premuta tra le mani e il petto, come se fosse un grande tesoro che doveva restare vicino al suo cuore.

Le sue labbra sensuali si mossero.

«Zsuzsanna, mia cara», disse, con una voce bella, forte, divina. «Di sicuro non sei cosi stupida o sconsiderata da volermi fare del male. Forse sei soltanto ritornata dopo aver capito che ti eri messa dalla parte perdente».

Ero troppo sbalordita per fuggire. Chiaramente, Elisabeth aveva avuto ragione ad aver paura; sapevo che adesso mi avrebbe distrutta, non importava che menzogna potessi pensare di raccontargli. L’acuta consapevolezza di essere completamente perduta mi riempi di insensibilita e di una strana calma. Se dovevo morire, allora avrei dovuto, almeno, sapere la verita che mi era stata nascosta.

«Perdente?», chiesi. «Intendi dire Elisabeth?»

«Proprio lei», rispose, con le labbra ancora immobili. «Tu sei una sua pedina, mia cara. Lei e troppo codarda per affrontarmi da sola, e cosi usa te. Chiediglielo, Zsuzsanna. So che tu non credi a niente di quello che dico. Chiedi a lei dei termini del suo Patto con l’Oscuro Signore. Chiedi a lei cosa devono fare con te».

Una sgradevole ondata di terrore mi sopraffece, poiche lui parlava con la calma fiducia della verita.

«Perche adesso sei cosi potente? E cos’e quello.

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