venne in mente un pensiero orrendo: dov’era Lucy? E tutti i suoi innamorati sarebbero stati in grado di resisterle senza il mio aiuto?
Ma non riuscivo a vedere nient’altro che il viso dell’Impalatore, poiche lui aveva afferrato la mia gola con le sue mani freddissime e mi fissava negli occhi cosi da vicino che potei sentire il suo fetido alito — il puzzo del morto che imputridisce — prima che parlasse.
Il volto di Vlad splendeva in modo cosi brillante, cosi incandescente per la furia, che io chiusi gli occhi abbagliato, ma l’immagine rimaneva ancora. «Sono stanco di te e dei tuoi giochi, vecchio!», ruggi. «Le cose hanno compiuto un giro completo. Non molto tempo fa, eri forte, sicuro e invincibile, e io decrepito, invecchiato, senza speranza; avevo bisogno di te per la mia stessa sopravvivenza. Ma ora
Gracchiai, aprii gli occhi, e poi mossi la lesta, indicando che desideravo rispondere. E, quando lui allento la sua presa micidiale sul mio collo, non esitai, non vacillai. Dissi semplicemente:
«Uccidimi».
Allora emise un grido di frustrazione che mi lascio quasi sordo e, quando mi ripresi, disse con scherno:
«Sei cosi arrogante, cosi sicuro di te! Tu pensi che non ti possa uccidere, che abbia paura a causa del Patto! Ma senti questo: non ho piu bisogno di quello per sopravvivere. Io sono
Il mondo si inclino all’improvviso quando mi sollevo in alto, sopra la sua testa, con le mani ancora intorno alla mia gola, cosi strette che potevo a malapena tirare il fiato, ed ero troppo stordito per vedere cosa ne era stato dei miei amici. Pregai che fossero fuggiti, non solo per la loro stessa salvezza, ma perche fosse loro risparmiato l’orrore di vedere il loro unico “esperto di Vampiri” sconfitto dall’oggetto della sua caccia.
Sbattei le palpebre e il mondo ruoto nuovamente diventando un opaco muro bianco di marmo. Quindi quello doveva essere il mio destino: avere il cervello spappolato contro la tomba dei Westenra. Non era un destino tanto orribile (considerando le orrende alternative) ma, nel distacco eccezionale causato da quella paura mortale, mi dispiacque lasciare i miei amici, inclusa Miss Lucy, in una situazione cosi disperata. E anche, stranamente, il terribile disordine che avevo lasciato, disordine che qualche povera anima di classe inferiore sarebbe stata costretta a pulire.
Le mani che mi tenevano si tirarono indietro, poi mi spinsero come una fionda verso il marmo. Devo aver volato non piu di una minuscola frazione di un secondo, poiche non eravamo a piu di venti piedi di distanza dal muro. Eppure me lo ricordo chiaramente come se ci fossero voluti parecchi minuti, poiche ero consapevole di molte cose: del vento freddo che fischiava oltre le mie orecchie che pungevano, del mio dispiacere nel lasciare Gerda (sebbene sapessi che John ne avrebbe avuto cura nel modo giusto), del mio dispiacere di non vivere per tenere la mano di mia madre sul letto di morte, del mio dispiacere di non aver liberato Miss Lucy dalla maledizione, e infine del mio dispiacere che John dovesse per sempre chiedersi se avevo mentito quando avevo preteso che fosse mio figlio.
Del mio dispiacere, del mio dispiacere, del mio dispiacere…
E dell’incombere del marmo e, persino nella luce fioca, il mio notare ogni disegno nella pietra con morbosa fascinazione. Come sarebbe sembrato li il mio sangue? Il mio cervello?
Cosi feci, ed ero in attesa, tendendo il mio corpo, dell’impatto che, Dio volendo, sarebbe stato troppo rapido per infliggermi un dolore insopportabile.
Ma l’impatto non venne.
Oh, stavo sospeso e in attesa, con il cuore che martellava come un prigioniero che sta per uscire. Ma sembrava che fossi stato facilitato e impossibilmente fermato da un qualche cuscino invisibile… morbido, fermo, e infinitamente comodo, e tenuto sospeso senza sforzo. Era quella la morte? Era una vita dopo la morte in cui io sudavo, avevo paura, e ascoltavo il battito che mi pulsava nelle vene?
Aprii gli occhi e vidi il marmo bianco a un solo pollice dal mio naso.
Dietro di me udii un’adirata imprecazione in rumeno e, dalla gola di demonio di Lucy, provenne un acuto grido spaventato. Allora la notte si fece improvvisamente calma, e io sentii dentro di me il grande senso di pace che si prova quando il Vampiro e fuggito.
Poi, mentre fissavo, sollevato, il marmo disegnato, sentii e vidi un cambiamento. Il morbido cuscino d’aria che mi circondava si induri, finche sentii la pelle, i tendini e le ossa che mi sostenevano. Lentamente arrivai a comprendere che il mio mento era appoggiato su una spalla dura, ossuta ma non alta e, con la coda dell’occhio, vidi un tessuto nero, sul quale posavano dei capelli di un bianco radioso.
Cominciai a piangere e, prima che delle piccole e forti mani mi avessero messo in piedi a terra, stavo ridendo e piangendo insieme. Non riuscivo a tenermi su, ma caddi al suolo e guardai degli occhi cosi profondi che non avrei potuto dare un nome al loro colore, poiche li contenevano tutti: erano occhi infinitamente giovani e infinitamente antichi, infinitamente severi e infinitamente affettuosi, infinitamente addolorati e infinitamente divertiti.
«Arminius!», gridai, con tono di rimprovero e di gioia. «Arminius, perche non sei venuto prima?».
Capitolo quattordicesimo
I suoi capelli e il suo portamento erano quelli di un vecchio, ma la sua condotta e i suoi movimenti erano quelli di un giovane robusto. Alla mia domanda, si accuccio al livello in cui io mi trovavo, in modo che potessimo parlare guardandoci negli occhi, e piego mollemente le braccia sopra le gambe.
«Abraham, Abraham», disse, sorridendo e rivelando delle gengive di un rosa intenso e dei bianchi denti diritti che anche un giovane poteva invidiare. Non c’era astuzia o rimprovero in quel sorriso, ma solo la chiara e ilare gioia di un pazzo, un sempliciotto, un mago. «Se io non sono venuto era perche tu non avevi bisogno di me. Ma ora sono qui, come vedi». E spalanco le braccia (stupefacentemente, senza che le sue gambe si muovessero di un pollice).
Il “qui” era cambiato in modo evidente nell’istante in cui era comparso. Diedi un’occhiata obliqua a cio che mi circondava per scoprire che io e il mio mentore eravamo avvolti da un cerchio di lieve radiosita che rischiarava la notte. Oltre la sua circonferenza, John, Arthur e Quincey, sedevano tutti a terra congelati e immobili come statue, con gli occhi aperti ma ciechi che non si muovevano, e i petti che non si alzavano affatto. Ma erano al sicuro e vivi: questo lo capii istintivamente, anche se non potei resistere dal guardare oltre e intorno ad essi in cerca di Vlad e dalla Vampira Lucy.
Ma la notte era tranquilla e dolce, libera dal colore indaco; entrambi i mostri erano svaniti, e Arminius e io sedevamo all’interno dei confini di una realta differente. Questo mi riempi il cuore di speranza poiche, sebbene Arminius mi avesse insegnato molte cose — come proteggermi dal Vampiro, come indebolire Vlad e acquistare per me stesso il potere per sconfiggerlo — non lo avevo mai visto in presenza di alcun Vampiro e cosi non avevo