tutti di sotto.
«Devo fare qualche telefonata» dissi al Luna. «Se viene fuori qualcosa ti faccio sapere.»
«Si, ma io?» chiese il Luna. «Cosa dovrei fare? Dovrei… collaborare.»
«Liberati della roba che sta nella terza camera da letto!»
I fiori erano ancora davanti alla porta di casa quando io e Bob uscimmo dall’ascensore. Bob li annuso e mangio una rosa. Lo trascinai nell’appartamento e, come prima cosa, controllai se ci fossero messaggi nella segreteria telefonica. Ne aveva lasciati due Ronald. «Spero che i fiori ti piacciano» diceva il primo «mi sono costati un bel paio di verdoni.» Nel secondo messaggio proponeva che ci incontrassimo perche, a suo parere, tra noi c’era qualcosa.
Mi preparai un altro panino al burro di arachidi per togliermi Ronald dalla testa. Poi ne preparai uno anche a Bob. Portai il telefono sul tavolo della sala da pranzo e chiamai tutti i Kruper che avevo trovato sul pezzo di carta gialla. Dissi che ero un’amica di Dougie e che lo stavo cercando. Quando qualcuno mi diede l’indirizzo di Dougie nel Burg finsi di essere sorpresa del suo ritorno nel New Jersey. Non c’era bisogno di mettere in allarme i parenti di Dougie.
«Abbiamo totalizzato un bello zero spaccato con le telefonate» dissi a Bob. «E adesso?»
Avrei potuto prendere una fotografia di Dougie e farla vedere in giro, ma le possibilita che qualcuno si ricordasse di lui erano minime, per non dire nulle. Avevo io stessa delle difficolta a ricordarmelo, persino quando ce l’avevo davanti. Feci una telefonata per controllare la sua situazione bancaria e scoprii che Dougie aveva una MasterCard. Oltre a questo, non c’erano altre informazioni.
Okay, stavo per muovermi in un territorio per niente promettente. Avevo eliminato amici, parenti e rendiconti finanziali. Il che esauriva piu o meno le mie munizioni. E quel che era peggio, avevo una sensazione di vuoto e di schifo allo stomaco. Era quella che provavo quando qualcosa andava storto. Non volevo davvero che Dougie fosse morto, ma non riuscivo a trovare prove che mi confermassero che era vivo.
Be’, e da stupidi, dissi tra me e me. Dougie e un babbeo. Dio solo sa cosa sta combinando in questo momento. Potrebbe essere in pellegrinaggio verso Graceland. Oppure giocare a blackjack ad Atlantic City. O magari sta perdendo la verginita con la cassiera del turno di notte del 7-Eleven del quartiere.
E forse quella sensazione di vuoto e di schifo che ho nello stomaco e solo fame. Ma certo! Per fortuna avevo fatto un po’ di spesa da Giovichinni. Pescai dalla borsa le merendine e ne diedi a Bob una farcita al cocco. Io mangiai il pacchetto di biscotti al burro.
«Che te ne pare?» chiesi a Bob. «Va meglio adesso?»
Io mi sentivo meglio. I dolci mi fanno sempre sentire meglio. In realta mi sentivo cosi bene che decisi di uscire e mettermi di nuovo a cercare Eddie DeChooch. Questa volta avrei scelto un’altra zona. Quella dove abitava Ronald. Sapere che Ronald non era in casa rappresentava un valido incentivo.
Bob e io attraversammo la citta diretti a Cherry Street. Cherry Street fa parte di una zona residenziale nel quadrante nord-est di Trenton. E una zona perlopiu di villette bifamiliari costruite su piccoli lotti edificabili e assomiglia un po’ al Burg. Era il tardo pomeriggio. La scuola era finita. Nei soggiorni e nelle cucine erano accese le TV. Le pentole erano sul fuoco.
Oltrepassai l’abitazione di Ronald senza dare troppo nell’occhio, cercando la Cadillac bianca ed Eddie DeChooch. La casa di Ronald era una unifamiliare con una facciata in mattoni rossi. Non pretenziosa quanto quella di Joyce con le sue colonnine, ma nemmeno troppo raffinata. La porta del garage era chiusa. Nel vialetto era parcheggiato un furgoncino. Il giardinetto sul davanti era ben tenuto, con tanto di aiuole attorno a una statua bianca e blu, alta circa un metro, della Vergine Maria. Aveva un’espressione composta e serena nel suo involucro di gesso. Sicuramente piu di me nell’involucro in fibra di vetro della mia Honda.
Io e Bob avanzammo lentamente lungo la strada, sbirciando nei vialetti, allungando il collo per vedere le ombre che si muovevano dietro le tendine trasparenti. Percorremmo Cherry Street due volte e poi cominciammo a cercare nel resto del vicinato, andando per settori. C’erano molte vecchie auto di grossa cilindrata, ma nessuna Cadillac bianca. E nessun Eddie DeChooch.
«Non lasciamo nulla di intentato» dissi a Bob, cercando di giustificare quello spreco di tempo.
Bob mi diede un’occhiata che diceva
Presi la Olden Avenue e mi diressi verso casa. Stavo per attraversare la Greenwood quando Eddie DeChooch mi sfreccio accanto a bordo della Cadillac bianca, procedendo in direzione opposta alla mia.
Feci un’inversione a U nel bel mezzo di un incrocio. Si stava avvicinando l’ora di punta e c’era un discreto traffico. Almeno una dozzina di persone si attaccarono al clacson e mi fecero gestacci con le mani. Mi reinserii nel flusso del traffico e cercai di non perdere di vista Eddie. Tra me e lui c’erano una decina di auto. Vidi che aveva preso State Street, diretto al centro. Quando finalmente riuscii a girare l’avevo gia perso.
Entrai in casa dieci minuti prima che Joe arrivasse.
«Cosa sono quei fiori fuori dalla porta?» mi domando.
«Li ha mandati Ronald DeChooch. E non mi va di parlarne.»
Morelli mi fisso per un istante. «Devo sparargli?»
«Si illude che tra noi sia nata un’attrazione.»
«Molte persone si fanno questo genere di illusioni.»
Bob galoppo incontro a Morelli e gli si butto addosso per richiamare la sua attenzione. Joe gli diede un abbraccio e una bella strapazzata. Che cane fortunato.
«Oggi ho visto Eddie DeChooch» dissi.
«E allora?»
«L’ho perso un’altra volta.»
Morelli sorrise. «Famosa cacciatrice di taglie perde anziano… due volte.» A dire il vero erano tre volte!
Morelli si avvicino e fece scivolare le braccia intorno a me. «Vuoi essere consolata?»
«Cosa avevi in mente?»
«Quanto tempo abbiamo?»
Sospirai. «Non abbastanza.» Guai se avessi ritardato cinque minuti per cena. Gli spaghetti si sarebbero scotti. L’arrosto si sarebbe asciugato. E sarebbe stata tutta colpa mia. Avrei rovinato la cena. Un’altra volta. E, cosa ancora peggiore, la mia sorella perfetta Valerie non ha mai rovinato una cena. Mia sorella ha avuto il buon senso di trasferirsi a migliaia di chilometri di distanza. Questo vi da la misura di quanto e perfetta.
Mia madre venne ad aprire la porta a me e a Joe. Bob balzo in casa, con le orecchie svolazzanti e gli occhi lucidi.
«Quant’e carino» disse la nonna. «E una cannonata.»
«Sposta la torta sopra il frigorifero» disse mia madre. «E dov’e l’arrosto? Non farlo avvicinare all’arrosto.»
Mio padre era gia a tavola a tenere d’occhio l’arrosto e a sorvegliare la fetta finale di manzo.
«A che punto siamo con il matrimonio?» chiese la nonna quando eravamo tutti a tavola a divorare la cena. «Al salone di bellezza le ragazze mi hanno chiesto quando sara. E volevano anche sapere se avevamo affittato una sala. Marilyn Biaggi ha cercato di farsi dare il deposito dei vigili del fuoco per il ricevimento della figlia Carolyn, ma era gia prenotata per tutto l’anno.»
Mia madre lancio un’occhiata al mio anulare. Niente anelli al dito. Proprio come il giorno prima. Serro le labbra e tagliuzzo la carne in tanti piccoli pezzettini.
«Stiamo pensando a una data» dissi «ma non abbiamo ancora deciso nulla.»
Morelli mi cinse le spalle con un braccio. «Steph ha proposto di lasciar perdere il matrimonio e cominciare a convivere, ma non so se e una buona idea.» Joe se la cavava egregiamente quando si trattava di dire bugie, e qualche volta aveva un fastidioso senso dell’umorismo.
Mia madre prese fiato e infilo il coltello nella carne con tanta forza che la forchetta ando a stridere rumorosamente contro il piatto.
«A quanto pare e cosi che si usa al giorno d’oggi» disse la nonna. «Io non ci vedo niente di male. Se volessi