aveva la cortesia di guardare da un’altra parte.
Monroe comincio a parlare con Olbrich in un modo che lasciava intuire che non era richiesto nessun ulteriore input da parte di Nina. La donna rimase in attesa fino a che i due non andarono a raggiungere i poliziotti sul fondo della stanza, poi si volto verso l’uomo che si era proclamato «fanciullo prodigio» e parlo col suo tono piu tranquillo, amichevole e seducente.
«Vince,» disse, «ti devo chiedere un favore.»
Venti minuti dopo lascio l’edificio con qualcosa nella borsa. Spunto sulla strada e nella sera che era ancora molto calda, e si domando se stesse deliberatamente tentando di mandare a puttane la sua carriera.
Aveva bisogno di parlare con qualcuno, ma John non rispondeva al telefono e la ragione era che lui era piu fulminato di lei. C’era solo un’altra possibilita, e lei ci penso su un momento.
Si, forse. Sarebbe andata a casa per vedere come si sarebbe sentita.
Guido tranquillamente fino a casa e quando entro nel vialetto d’accesso aveva deciso di fare la telefonata. Ando in cucina e compose il numero. Gli squilli si succedettero, ma nessuno rispose.
Nina lascio un messaggio, sentendosi semplicemente come l’ennesima voce sull’ennesima segreteria telefonica.
Capitolo sette
Il retro della casa di Mrs. Campbell dava su un piccolo pezzo di giardino che rivelava tutto quello che la facciata della casa tentava di nascondere. Io mi trovavo nella cucina, sforzandomi di attendere pazientemente mentre lei trafficava con stoviglie e posate. Mi ricordai che una volta mia madre mi aveva detto che il giorno in cui rifiuti una bevanda calda da una persona anziana, quello e il momento in cui lui capisce che la sua compagnia non interessa a nessuno. Comunque, io non sapevo un cazzo di piante e la vista non era affatto interessante. Ci volle tutta la mia pazienza perche non prendessi la vecchia per il collo.
«Anche Muriel e stata adottata,» disse, quando alla fine mi condusse nel salotto. «Gliel’ha detto?»
«No,» risposi, facendo velocemente un passo verso di lei per prenderle il vassoio. Non so cosa preveda il galateo in questo caso, ma per come la vedevo io, nel giro di dieci secondi sarebbe finito per terra e non mi andava affatto l’idea di dover attendere che preparasse il caffe una seconda volta. «Mi ha detto solo che non poteva aiutarmi, e questo e stato praticamente tutto.»
«A volte fa cosi. L’ho conosciuta quando comincio a lavorare li. All’inizio sono stati anni difficili. Prima il marito l’ha lasciata, ripulendo la casa quando se n’e andato. L’ha anche picchiata. Ma malgrado tutto, si e ripresa e ha fatto il suo dovere aiutando un sacco di persone a uscirne. Molte persone vanno in un posto come quel vecchio e grande ufficio sulla Adam e si dimenticano che anche gli impiegati sono esseri umani, con le loro vite.»
«Capisco che possa essere un lavoro difficile,» dissi. «A volte non e facile trattare con le persone.»
«Esatto, e proprio cosi. Certo, anche alcuni di quelli che lavorano li sono degli stronzi.»
Risi. La donna fece un cenno di approvazione. «Dovrebbe sorridere piu spesso,» disse. «Ha un aspetto piacevole quando lo fa. Succede a molti, ma a lei particolarmente. Quando non sorride, sembra che voglia fare del male alle persone.»
«Non e cosi,» dissi.
«Lo dice lei.»
«Mrs. Campbell, ho la sensazione che…»
«Si, si, ora ci arrivo. Lei sta cercando un fratello, vero? Muriel ha detto che lei pensa che i fatti risalgano al 1967. I conti tornerebbero. In effetti, per quel che ricordo era ottobre. Anche se, a dire la verita, la mia memoria non e piu come un tempo. Funziona per le cose, ma un po’ meno per i fatti.»
Mi limitai ad annuire. Sentivo il mio petto stretto in una morsa.
«Fu un negoziante cinese a trovarlo per strada. Un bimbo che aveva appena imparato a camminare. Non so quanto tempo fosse rimasto li, ma aveva pianto un bel po’.»
«I miei genitori avevano le loro ragioni,» dissi, sentendo un bisogno assurdo di difendere una decisione che non era stata mia e che comprendevo appena. «La situazione era complicata.»
«Ne sono certa. E non lo hanno abbandonato in mezzo a un deserto, almeno, il che e gia qualcosa. A ogni modo, capimmo che il suo nome era Paul, perche c’era il suo nome ricamato sul maglione. Naturalmente, in quel periodo, molte famiglie erano solite scegliere un nuovo nome, ma quello di Paul rimase. Effettuammo i soliti controlli, ma non riuscimmo a rintracciare da dove potesse essere arrivato e cosi fu dato in affidamento qui in citta. Ci rimase qualche anno. Di solito trovare una sistemazione per un bambino cosi piccolo e carino non e difficile, ma con questo sembrava che nessuno ne volesse sapere.»
Desideravo sapere che cosa intendeva, ma non volevo interrompere il fluire del discorso.
«Persi le sue tracce per un po’. Ci sono un sacco di ragazzini e ce n’e sempre uno nuovo che ha bisogno di qualcosa. Ebbi di nuovo sue notizie quando stava cominciando a diventare un problema.»
«Di che genere?»
«Stava con una famiglia adottiva per qualche mese, e poi ci veniva riportato, molto prima del previsto. All’inizio non prestai una particolare attenzione alla faccenda, sono cose che succedono. Ma poi comincio a diventare un’abitudine. ‘Ehi, Paul e tornato. La famiglia in affidamento temporaneo non e riuscita…’ Be’, stavo per dire ‘non e riuscita a farcela’, ma non sembro mai essere cosi, o almeno non del tutto. Era semplicemente cosi, lo riportavano indietro. E deve considerare che si trattava di famiglie che si erano occupate di un sacco di bambini, che erano capaci di accoglierli e di farli sentire a loro agio. Gli trovavamo una sistemazione e mentalmente gli dicevamo addio, e dopo cinque settimane me lo ritrovavo li, seduto su un davanzale a guardare fuori. Gli chiedevo cosa era successo e Paul mi rispondeva la stessa cosa delle famiglie: non ha funzionato.»
Bevve un sorso di caffe come assorta nel ricordo di errori passati. Tutti abbiamo le nostre sacre icone di colpa. «A ogni modo, alla fine venne deciso che era necessario fare un passo in avanti nella ricerca di una famiglia adottiva e trovare una soluzione a lungo termine. Cosi parlai a Paul e gli dissi cosa avremmo cercato di fare. Lui annui — aveva all’incirca sei, sette anni in quel periodo, lo tenga presente — e qualcosa mi disse che non era d’accordo, ma che era consapevole di quanto stava per accadere e si rassegnava all’idea che le cose seguissero il loro corso. Cosi gli domandai se per caso non volesse trovare una famiglia definitiva e lui mi rispose guardandomi dritto negli occhi: ‘Una ce l’avevo e ora non c’e piu. Quando tutto sara a posto, la riavro.’»
Sentii un brivido lungo la schiena. «Si ricordava di noi?»
«Non necessariamente. Ma sapeva che un tempo c’era stato qualcosa di diverso. Non c’e bisogno di essere un genio per capire che la sua situazione non era naturale, e lui era un ragazzino intelligentissimo, ci puo scommettere. Questo e quanto. A volte i bambini sentono di essere stati abbandonati, portati via da dove avrebbero dovuto stare. Anche quelli che non sono stati adottati lo sentono. E la sindrome del ‘Dovrei essere la principessa delle fate’ o ‘Io sono un re e quando piango la terra piange con me.’ La mia impressione e che anche nel caso di Paul le cose fossero in questi termini.»
Avevo guardato la parte del video riguardante l’abbandono molte volte, senza mai affrontare il problema di cosa dovesse significare per il bambino abbandonato. Negli ultimi tre mesi non mi ero veramente preoccupato di cosa avesse potuto provare. Mi sforzavo di farlo adesso.
«Senta,» dissi, «le dispiace se fumo?»
«Faccia pure.» Sorrise. «Mio marito fumava. Mi piace l’odore. Sa, comunque, che la uccidera?»
«Non accadra,» la rassicurai. «E solo una diceria messa in circolazione dai fanatici della palestra e dai maniaci salutisti.»
Annui, ma non sorrideva piu. «Gia, e quello che pensava anche lui.»
Qualcosa nel modo in cui lo disse fece si che, sebbene stessi fumando la sigaretta, non me la godessi molto. «Quindi cosa accadde quando cercaste di trovargli una famiglia definitiva?»
«Glielo diro.» Rimase in silenzio per un attimo prima di continuare. «Sa, mi sono occupata di queste cose per tanto tempo e ci ho pensato su parecchio. Una parte di me e convinta che il posto dove siamo nati si infiltra in noi come l’acqua che sgorga dal suolo, che abbiamo foglie come gli alberi, e che il posto dove si deposita il seme che poi diventera noi sara quello che ci determinera e che stabilira il colore delle nostre foglie — anche se qualche uccello ci prende e ci trasporta a cento, duecento chilometri di distanza. C’e poi un’altra parte di me che pensa: