accompagnata nella sala delle riunioni.
«Questo dividera gli uomini dalle donne», disse Gary, mentre si spegnevano le luci.
«Crede che fara vedere i corpi?» s’informo Pen.
Gary piego indietro la testa e soffio un anello di fumo. «Non ne sarei affatto sorpreso.»
Le prime diapositive mostravano l’edificio principale di medicina legale di Los Angeles con i furgoni in dotazione. Mentre apparivano sullo schermo, il coroner forni le statistiche sul suo dipartimento, il bilancio annuale, il numero di cadaveri esaminati l’anno precedente e il mese prima. Gary, noto Pen, prendeva appunti. «Svolgiamo un gran lavoro», concluse il coroner.
Poi comincio il peggio.
Mostro la diapositiva di una sala per le autopsie. Tavoli di acciaio inossidabile immacolato. Vassoi di strumenti chirurgici. Bilancini per pesare gli organi. Tavole inclinate per raccogliere i liquidi fuoriusciti dai cadaveri.
Pen si rese conto di trattenere il respiro. Espiro, poi inalo profondamente e bevve un sorso di vodka che si era portata dal bar.
La diapositiva successiva inquadrava un campo inondato di sole. Uno dei furgoni del coroner era vicino a due auto della polizia. Parecchi uomini stavano in piedi fra le erbacce alte fino al ginocchio. «Bel posticino per un picnic, ma abbiamo un cliente.» Il proiettore scatto e apparve il cliente.
Una donna. Era distesa a faccia in giu. La pelle appariva grigio bluastra e gonfia. I piedi erano sporchi. Attorno a lei si vedevano le scarpe e le caviglie degli uomini della foto di prima. «Non e li da molto tempo. Una notte, forse.»
Un’inquadratura delle natiche. Cio che ora sembrava una macchia scura, era in realta una contusione intorno a un morso. «Il nostro killer ha commesso un grosso errore. Ama i morsi. I segni dei denti non sono impronte digitali, ma quasi. Buon per noi, male per lui. Forse avremo un campione di saliva. In questo caso possiamo ottenere il tipo di sangue dalla saliva. E inchiodarlo.»
L’immagine cambio.
Un’altra donna nuda. Piu robusta della prima. Giaceva prona nella sala delle autopsie. L’ometto si avvicino allo schermo e punto il dito sul deretano della donna. Entrambe le natiche erano di un rosso grigiastro. «Lividore post-mortem. Quando il cuore cessa di pompare, la gravita agisce sul sangue. Il sangue filtra.» Il coroner indico altre chiazze sulle scapole e dietro le gambe.
Pen tiro un profondo sospiro. Le girava la testa e si sentiva mancare. Qualcosa non va, penso. Troppa vodka? Avrebbe voluto bere un altro sorso, ma non oso.
La foto successiva mostrava un uomo.
Era su un tavolo, un panno blu gli copriva la faccia. Era nudo. La pelle rossa. «Questo non e lividore post- mortem, ne scottatura da sole. Questa e cianosi», spiego il medico legale. Pen seguito a sbirciare il pene inerte del morto, distolse lo sguardo, guardo di nuovo.
Chiuse gli occhi. Aveva la faccia fredda e tirata. Se la sfrego con una mano. Era umida.
Lo chiamano sudore freddo, si disse.
Cristo.
Che cosa ci faccio qui?
Apparve un primo piano di una faccia scarna. Un uomo con le basette lunghe. E una macchiolina bianca fra i peli della narice sinistra. «Sempre la natura che lavora», commento il coroner.
Pen senti un ronzio nelle orecchie.
Il coroner indico la chiazza bianca. «Uova di mosche. Simili a piccoli orologi. Sappiamo che se ne sono andate dopo la morte, percio…»
Pen poso il bicchiere sul pavimento, raccolse la borsa e l’ombrello. Si alzo sulle gambe tremanti, passo davanti a Gary e si fece strada lungo la parete della sala finche raggiunse la scala che era piuttosto stretta. Si fermo, temendo di non riuscire a scendere. Si disse: forza, devo uscire di qui prima di vomitare.
Tenendo il manico dell’ombrello sul polso sinistro, afferro la ringhiera di legno e inizio a scendere.
Aveva la bocca piena di saliva. La scala era buia. Quando lei sbatteva le palpebre, lampeggiava una scarica elettrica azzurrognola. Strinse la ringhiera facendo scivolare la mano, pronta ad appoggiarsi se le gambe avessero ceduto.
O svieni o vomiti, penso. Una delle due.
Dio che disastro.
Si controllo, la gola serrata, le lacrime agli occhi.
Arrivo in fondo alla scala e inspiro profondamente l’aria fresca. Servi. Il suono della pioggia sul cortile davanti a lei era gradevole. Sembrava piovesse piu forte di prima.
Tremava ancora leggermente, ma ci vedeva meglio e la fredda morsa allo stomaco si stava allentando. Arriccio le labbra e allargo la bocca. Le guance non erano piu intorpidite.
Apri l’ombrello e si domando che cosa doveva fare. Una cosa era certa, non sarebbe tornata di sopra. Restavano due alternative: poteva attraversare il cortile fino al bar del Circolo e aspettare che la riunione terminasse, o andare a casa.
Forse Gary si sarebbe fermato al bar dopo la fine della conferenza e in tal caso potevano nascere dei guai.
Probabilmente alla fine avrebbe dovuto respingerlo.
Meglio andare.
Pen si incammino verso l’ingresso. La pioggia tamburellava sul suo ombrello mentre lei attraversava di corsa il cortile e scendeva gli scalini di cemento per raggiungere il parcheggio.
Venti minuti dopo, chiuse la porta del suo appartamento e attacco l’ombrello gocciolante sulla maniglia. Con la schiena appoggiata alla porta per tenersi in equilibrio, si sfilo gli stivali. Li porto nella camera da letto e accese la luce.
Era bello togliersi i vestiti. Appese la gonna umida nell’armadio, infilo un paio di vecchi mocassini e indosso la vestaglia. L’indumento era morbido sulla pelle.
Accese il riscaldamento in bagno. Poi ando in cucina e prese dal frigorifero una bottiglia di Borgogna.
Un bicchiere di vino, un buon libro, un lungo bagno caldo… la vita era bella. Valeva la pena tornare a casa.
Il tappo usci con un leggero schiocco.
Pen prese dall’armadietto un bicchiere di cristallo e lo riempi. Torno in bagno. Bevve un sorso, il vino era freddo in bocca, caldo dopo che lo ebbe inghiottito. Il suo calore dilago.
Bello, penso Pen.
Molto meglio che restar seduta nel bar del Circolo della Stampa.
Qualcosa avrebbe potuto nascere dall’incontro con Gary.
Scordatelo.
Lui avrebbe cercato solo di ottenere qualcosa. Lo fanno tutti. E se non ci stai, tentano di costringerti. All’inferno gli uomini.
Poso il bicchiere e la bottiglia accanto alla vasca in modo da averli a portata di mano. Si inginocchio, mise il tappo e giro il rubinetto dell’acqua calda. Ottenne la temperatura giusta, quasi bollente, poi si asciugo le mani e ando a prendere un libro.
Senza il cordone allacciato, la vestaglia si apri. La lascio aperta, troppo pigra per riallacciarlo.
Accese la luce nello studio. Sulla scrivania c’era il nuovo libro di Dean Koontz. Era un’edizione con la copertina rigida, poco adatta a essere letta nella vasca.
Si avvicino alla libreria, sbatte la coscia contro lo spigolo della scrivania e grido per il dolore. Sfregandosi la parte, si lascio cadere sulla sedia.
«Gesu!» borbotto.
Quando il dolore diminui, alzo la mano. Niente sangue sulla gamba, ma la pelle s’era sbucciata lasciando scoperta la carne viva; emise un sospiro sommesso e penso: accidenti, perche non guardo dove vado? Chissa che male mi fara con l’acqua calda.