Capi troppo tardi che avrebbe dovuto mettersi seduta.
Aveva l’orlo del bicchiere quasi alle labbra quando la base le sbatte sul petto. Il vino le colo nella bocca, si verso sul mento. Le parve di soffocare. Cerco di trattenere la sorsata in bocca, capi che le sarebbe andata su per il naso e la sputo fuori. Il vino divenne acqua rosa fra le sue gambe.
Pen tossi, annaspo, tiro un profondo respiro che le fece dolere i polmoni.
Bel lavoro.
Aveva gli occhi pieni di lacrime.
Meglio la mamma, che era annegata per una sorsata di Charles Krug.
Morte, come colpisci?
La nuvola rosa si allargo e svani, ma l’aroma dolciastro del vino punse le narici di Pen.
Bevve quanto era rimasto nel bicchiere, lo mise da parte.
Facendo scivolare i piedi sul fondo della vasca, sollevo le ginocchia fuori dall’acqua. Si sporse avanti. Annuso. Un odore gradevole, ma doveva fare qualcosa, altrimenti le sarebbe rimasto addosso come un profumo versato, diventando nauseante.
Una serata infernale.
Allargo le ginocchia e si chino per togliere il tappo della vasca. Il tappo di gomma venne via con uno schiocco. Il livello dell’acqua comincio a scendere.
Una rapida doccia.
Lei odiava la doccia.
Non si sente un accidente.
La famiglia Manson poteva abbattere la tua porta, Norman Bates poteva entrare a passo di valzer cantando
Puoi cadere e spaccarti la testa.
Specialmente dopo aver bevuto.
Odiava la doccia.
Che cosa vuoi fare, puzzi di vino come se avessi fatto il bagno in un tino.
Pen giro la testa. Il bicchiere vuoto e la bottiglia semivuota stavano sul bordo della vasca. Avrebbe dovuto spostarli. Anche il libro sul pavimento. La doccia poteva provocare un vero disastro.
Allungo la mano per prendere la bottiglia.
Suono il telefono.
Pen barcollo. La sua mano strinse il collo della bottiglia. E la tenne stretta.
Il telefono squillo di nuovo.
BASTARDO, NON HAI IL DIRITTO!
Ogni squillo era un colpo al cuore, le mancava il respiro.
Immagino di emergere dalla vasca e di precipitarsi gocciolante nello studio. Sollevare la cornetta.
No, lui vuole proprio questo, la mia voce, la mia paura.
Un colpo di fischietto.
Il fischietto per chiamare la polizia era nel mazzo di chiavi. Che era nella borsetta. In soggiorno. Sul tavolino.
Prendilo e fischiagli nell’orecchio.
Cosi il tuo grosso cazzo si ammoscia, maledetto.
Finalmente il telefono tacque.
Pen rimase in ascolto. Sentiva il cuore battere forte, il respiro ansante, l’acqua che gorgogliava mentre la vasca si svuotava, silenzio dietro la porta del bagno.
Lui sa che sono in casa. La segreteria non ha risposto.
La vasca si svuoto. Pen rimase seduta, tutta bagnata. Aveva freddo, tremava.
Resto li con le ginocchia sollevate, i seni contro le gambe, le braccia attorno agli stinchi. I denti serrati perche non battessero.
Gocce d’acqua le scendevano sulla pelle.
E adesso che cosa faccio?
Fa’ in modo che non richiami.
Strinse piu forte le gambe.
Pen allento la stretta.
Si sentiva molto nuda e vulnerabile quando si alzo in piedi sollevando una gamba oltre il bordo della vasca.
Se adesso suona, penso, cado e mi fracasso la testa.
Sollevo l’altra gamba. Tutti e due i piedi sulla stuoia.
E scaduto il tempo, verme.
Ebbe la sensazione di averlo fregato, di aver ottenuto una piccola vittoria.
Poi l’asciugamano caldo e soffice. Le porto via l’umidita, calmo i brividi. Quando smise di stringere i denti, senti il dolore alle mascelle.
Fini di asciugarsi, l’asciugamano aveva odore di Borgogna.
Se l’avvolse intorno ai seni e infilo un lembo per tenerlo stretto.
Alla porta, afferro la maniglia ed esito.
Sta’ calma, lui non e la fuori. Tutto a posto.
Giro la maniglia, la serratura scatto con un rumore sordo. Lei apri la porta e caccio la testa nella fessura. La luce accesa in soggiorno, nello studio e in camera da letto si rifletteva nel corridoio. Niente sembrava anormale. Ma tutto le appariva sbagliato, stranamente mutato e insolito.
Rimase in ascolto.
Il leggero ronzio del frigorifero, niente altro.
Una goccia d’acqua le scivolo dietro una gamba. Allungo una mano per asciugarla.
Aspetta ancora un po’. Rimani qui finche richiama.
Pen avanzo nel corridoio. Sbircio in camera da letto mentre passava davanti alla porta.
Nessuno balzo fuori.
Si fermo alla porta dello studio. Vide la cassetta sul tappeto, la segreteria telefonica accanto alla macchina da scrivere.
Prima il resto.
In fondo al corridoio diede una rapida occhiata al soggiorno. I suoi occhi sfrecciarono alla porta. La catena di sicurezza era al suo posto.
Soddisfatta?
Pen non era soddisfatta, ma abbasso leggermente le spalle.
Entro in cucina. Dal corridoio giungeva abbastanza luce per cio che aveva in mente, ma fece scattare l’interruttore per fugare le ombre.
Il telefono era infisso proprio sopra il pannello dell’interruttore. Strinse la mano attorno all’apparecchio e tiro. La piastra di metallo rimase sul muro, vuota. Pen poso il telefono staccato in cima al frigorifero.
E uno.
A lunghi passi torno nello studio. Evito con cura lo spigolo della scrivania dove aveva sbattuto la gamba.
La segreteria telefonica. Il telefono. I fili scendevano dal bordo della scrivania, pendevano quasi direttamente nella fessura fra il lato della scrivania e la libreria, poi risalivano per sparire dietro i libri.
Pen si sposto di lato. Si accuccio, e con una mano sullo spigolo della scrivania raggiunse la fessura con la mano sinistra. Con la punta delle dita trovo i fili. Li segui piegandosi di lato e fece scivolare la mano sopra i libri. Le cadde l’asciugamano. Il telefono squillo, dandole un colpo al cuore e mozzandole il respiro. Con un grido di paura e di rabbia si spinse avanti. Sbatte la spalla destra contro la scrivania spingendola e facendola girare. Un altro squillo. Cadde in ginocchio sul tappeto. Contorcendosi s’infilo nell’apertura fra la scrivania e gli scaffali, lo spigolo del mobile le gratto il seno destro. Il telefono urlo nel suo orecchio. Lei trovo la presa dell’apparecchio. La strappo dal muro.