non ero d’accordo, eppure ho dovuto pagare duecento dollari. Chi si cura se uno e o non e d’accordo? Mi hanno detto che avevo lavorato di forbici sulla mia dichiarazione delle tasse. Immaginarsi! E conoscevo Freud!»

«Ma Annie e io siamo cosi legate!»

«Sempre.»

«Che cosa vuol dire, sempre?»

«Ogni mamma ritiene di essere legata ai suoi figli quando c’e un problema come il suo. Il punto e: e possibile, e non dia fuori di matto o non si metta a sfasciarmi i mobili, che la piccola sia stata in contatto con il padre?»

«Non capisco.»

«Mi spiego. A volte, quando abbandona la famiglia, il padre si tiene segretamente in contatto con i figli. Ha mai sentito raccontare di padri che rapiscono i figli?»

«Si.»

«Quindi, nel nostro caso, il padre potrebbe, come si dice, ronzare di nascosto nei paraggi. Magari vedere la piccola vicino a scuola, o telefonarle quando lei non e a casa. E le raccomanda di non dire niente a mammina.»

Vera scosse la testa, totalmente incredula. «Non Harry! Non Annie!»

«Li conosce entrambi cosi a fondo?»

«Si!»

«Allora come mai lei non e in grado di spiegare perche la bambina si comporti come una demente?»

«Non e una demente!»

«Lei si aspetta che io creda che Annie sia una specie di veggente? Pensa proprio che io presti fede a queste stupidaggini?»

A Vera monto di nuovo il sangue alla testa. «Dopo tutto questo», grido concitata, «lei dubita ancora di me?»

«Dubito sempre», disse la Neuberger con notevole supponenza. «Qui capitano un sacco di imbroglioni. Pensano che io dia loro la benedizione per andare a giocare a Las Vegas.»

«Noi non apparteniamo a quella categoria.»

La Neuberger alzo le spalle. «Vedremo. Adesso smettiamo. Lei aspetti qui.»

«Aspettare che cosa?» le domando Vera.

«Che io rifletta. Devo sistemarvi per stanotte, organizzare tutto.»

Vera non era rimasta d’accordo di restare, ma non aveva nemmeno rifiutato. «Avra le risposte?» chiese, dopo una breve esitazione.

La Neuberger allargo le braccia. «Chi puo saperlo? Tutti vogliono le risposte, come in un libro di testo», disse. «Devo consultare libri e appunti, magari anche telefonare a qualche collega.»

«Ma… qualche idea ce l’ha?» Il volto di Vera andava assumendo un’aria di disperata ansieta.

«Idee ne ho. Ma non le do una garanzia come quando compra un televisore. Se non posso aiutarla, comunque, non le presentero nessuna parcella.»

«Dottoressa, lei ritiene che Annie sia… mentalmente disturbata?»

Per la prima volta il volto della Neuberger si illumino di un sorriso da nonna. Un sorriso che riscaldava la stanza, donandole vivacita e umanita.

«No», rispose come se fosse stata sempre una cosa ovvia, «non e mentalmente disturbata.»

«Sia ringraziato il cielo», mormoro Vera.

«Per le turbe mentali, la manderei da uno di quei pagliacci con l’infermiera che seleziona gli appuntamenti. Qui la cosa e differente.» La Neuberger si alzo e si stiracchio. «Adesso aspetti qui. Mangerete in cucina. Ho del salame che ho preso in quel buon negozio qui sotto, non le porcherie del supermercato, e ci sono anche vino e minestra. Piu tardi parleremo ancora.»

La Neuberger scomparve nei meandri del suo appartamento, si infilo un cardigan e ando in uno studiolo tappezzato di libri. Si sedette su una seggiola di legno, prese un taccuino giallo e un mozzicone di matita e comincio a mettere giu appunti.

Dopo la sparizione della dottoressa, i sentimenti di Vera nei suoi confronti cominciarono a oscillare dal calore al sospetto, all’ostilita e viceversa. E intuiva che chiunque venisse in contatto con quella strana donna probabilmente sperimentava la stessa gamma di sensazioni. Racconto ad Annie le fiabe preferite mentre il sole tramontava e il soggiorno diventava ancora piu deprimente. Alla fine la bambina disse di avere fame e madre e figlia andarono in cucina.

Il locale conservava le originarie pareti a piastrelle bianche e i tubi dell’acqua non incassati nel muro. Gli elettrodomestici erano vecchi, ma puliti. Il frigorifero ben rifornito, con una netta prevalenza dei cibi che denotavano l’origine europea della Neuberger: budini, abbondanza di birra, ingredienti per la pastasciutta. Vera decise di rinunciare al salame e preparo invece una minestra e un’insalata di tonno. Mentre mangiavano, cerco di distrarre Annie con giochi di parole e di aritmetica.

Alle nove di sera Annie si addormento sul divano, in braccio alla madre. E Vera rimase ancora ad aspettare. Era dalle cinque che Marie Neuberger non si faceva vedere. A volte Vera si chiedeva se anche la dottoressa non si fosse addormentata… o peggio. Appena dopo le nove, pero, Vera udi tonfi di volumi che venivano chiusi, poi la voce della psicanalista che parlava al telefono. Non riusci a percepire tutto quanto veniva detto, ma qualche parola filtro attraverso le pesanti porte di legno del vecchio e gia glorioso edificio: morte… avvertimento… protettrice… confusione.

Finalmente, poco dopo le dieci si apri una porta.

Una lama di luce guizzo da un lungo corridoio sul tappeto persiano e sul divano. Vera alzo gli occhi. Marie Neuberger le stava davanti, in piedi. «E risolto», disse.

Il cuore di Vera ebbe un tuffo. Ma poi la sua abituale prudenza ebbe il sopravvento. «Mi dica», fu la sua contenuta risposta.

La Neuberger accenno con la testa verso il settore privato dell’appartamento. «Nel corridoio a sinistra c’e una cameretta», disse. «Metta a letto la piccola.»

Vera prese in braccio Annie e la porto nella stanzetta degli ospiti, adagiandola sul lettino, l’unico pezzo d’arredamento oltre a una vecchia cassapanca. La bambina si sveglio per un momento, si guardo attorno imbambolata e riprese a dormire. Vera usci senza far rumore e torno dalla Neuberger.

«Sediamoci in cucina», propose la psicanalista. «Cosi non sveglieremo la povera bimba.»

Vera la segui ed entrambe sedettero al tavolo dal consunto ripiano di formica rossa. Il ventilatore del piccolo locale frusciava e ogni tanto una delle ventole, allentata, urtava il telaio producendo un suono metallico. A parte quel rumore monotono, la cucina era silenziosa e dava una sensazione di calda intimita.

La Neuberger consulto brevemente il suo taccuino, inforcando gli occhiali che teneva nel taschino del cardigan. Poi li tolse e li poso sul tavolo fissando Vera. «Allora», disse, «lei ha un problema e lo esamineremo insieme. La prego di ascoltarmi senza preconcetti, perche quello che sentira non se lo sentira dire da altri medici.»

«Senz’altro», rispose Vera. Si sporse in avanti, le mani strette, quasi tremando per l’ansia.

«Cominciamo con un semplice assunto», esordi la Neuberger. «Credo che lei sia sincera.»

Vera sospiro di sollievo e si lascio ricadere indietro.

«E credo che la bimba, anche lei, dica la verita.»

«Io so che dice la verita!» confermo Vera, convinta, per la prima volta, che qualcuno prendeva sul serio il problema.

«Adesso dobbiamo porci la domanda», prosegui la Neuberger, «di come avvengano questi cosiddetti miracoli. Dev’essere coraggiosa. Il solo fatto che le dica che lei e la piccola siete sincere non deve farla esultare. La faccenda e seria… una faccenda grave. Che mi rattrista.»

La gola di Vera parve chiudersi. Il suo respiro divenne affannoso.

«C’e pericolo per lei e per Annie», affermo asciutta la Neuberger. «Ecco perche la bambina ha queste visioni, per lottare contro questo pericolo. Per proteggervi. Per salvarvi.»

Gli occhi di Vera si riempirono di terrore.

«Ascolti attentamente», la rimprovero la dottoressa. «Mi sono sempre chiesta se i morti possano inviare segnali ai viventi, non proprio a tutti i viventi, ma a una particolare persona. Uno muore, il cervello muore, ma che

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