Un’ora dopo prendevo lo shuttle per Auckland, e avevo il tempo di riflettere sulla mia follia.

Per quasi tre mesi, dalla sera in cui ne avevo discusso con Boss, per la prima volta mi ero sentita a mio agio nella condizione di «umano». Lui mi aveva detto che ero «umana quanto Madre Eva» e che potevo tranquillamente raccontare a chiunque di essere una Pa, perche non mi avrebbero creduto.

Piu o meno, Boss aveva ragione. Ma non aveva previsto che io mi sforzassi di dimostrare con tutta me stessa di non essere «umana» secondo i canoni della legge ennezeta.

Il mio primo impulso era stato chiedere un’udienza davanti al consiglio di famiglia al completo; solo per scoprire che il mio caso era gia stato discusso in camera e che ero stata sconfitta per sei voti contro zero.

Non tornai nemmeno a casa. La telefonata che Anita aveva ricevuto al giardino botanico l’aveva informata che i miei effetti personali erano stati chiusi in valigia e trasferiti al bagagliaio della stazione degli shuttle.

Avrei potuto insistere per una riunione di famiglia, invece di accettare la (dubbia) parola di Anita. Ma a che scopo? Per avere la meglio in una discussione? Per dimostrare un punto? O semplicemente per spaccare in due il capello? Mi occorsero cinque secondi interi per capire che il mio bene piu caro e prezioso era svanito. Scomparso come un arcobaleno, scoppiato come una bolla di sapone. Non avevo piu un posto «mio». Quei bambini non erano miei; non mi sarei piu rotolata sul pavimento con loro.

Stavo pensando a quello, con un dolore senza lacrime, e per poco non mi sfuggi l’informazione che Anita era stata «generosa» con me. Nel contratto che avevo firmato con la famiglia, una clausola a caratteri minuscoli mi obbligava a saldare immediatamente la somma dovuta, nel caso avessi infranto il contratto. Il fatto di non essere umana significava infrangerlo? Anche se non avevo mai saltato una sola rata? Guardando la cosa da un certo punto di vista, essere scacciata dalla famiglia significava per me un risparmio di almeno diciottomila dollari ennezeta; guardandola da un altro punto di vista, non solo mi sarebbe stata confiscata per diritto legale la parte di quota che avevo gia pagato, ma ero in debito con loro di piu del doppio della stessa cifra.

Ma furono «generosi»: se fossi scomparsa in fretta e senza creare problemi, non avrebbero preteso che saldassi il debito. Non mi spiegarono cosa sarebbe successo se fossi rimasta li e avessi creato uno scandalo.

Scappai.

Non ho bisogno di uno psichiatra per capire che mi ero fatta del male con le mie stesse mani; lo capii non appena Anita mi annuncio le brutte notizie. Un interrogativo che scende piu in profondita e: Perche lo avevo fatto?

Non per Ellen, e non potevo certo illudermi di averlo fatto per lei. Anzi, la mia follia mi aveva reso impossibile cercare di combinare qualcosa di buono per lei.

Perche lo avevo fatto?

Per rabbia.

Non sapevo trovare una risposta migliore. Rabbia con l’intera razza umana per aver deciso che quelli come me non sono umani e quindi non hanno diritto allo stesso trattamento e alla stessa giustizia. Un risentimento che era cresciuto dal giorno in cui mi avevano fatto capire che i bambini umani godono di certi privilegi per il semplice fatto di essere nati, e che io non potevo goderne solo perche non ero umana.

Fingersi umani da diritto a godere di questi privilegi, ma non mette fine al risentimento per il sistema. La pressione cresce ancora di piu perche non si puo esprimere. E un certo giorno, per me fu piu importante scoprire se la mia famiglia adottiva poteva accettarmi per cio che realmente sono, una persona artificiale, che non tenere in vita un rapporto felice.

Ed ebbi la mia risposta. Nessuno di loro si schiero con me, come nessuno di loro si era schierato con Ellen. Penso di aver capito che mi avrebbero rifiutata quando seppi che avevano rifiutato Ellen.

Ma questo livello della mia mente e sepolto cosi in profondita che non lo conosco bene; e il luogo oscuro dove, stando a Boss, io penso sul serio.

Arrivai ad Auckland in ritardo per l’Sb giornaliero per Winnipeg. Dopo aver prenotato un posto per il volo del giorno dopo e aver depositato tutto tranne la sacca, mi chiesi che cosa fare nelle ventun ore che avevo davanti; e subito pensai al mio lupo riccioluto, il capitano Ian. Da quello che aveva detto, c’era una probabilita su cinque di trovarlo in citta; ma il suo appartamento, se era libero, sarebbe stato piu simpatico di un hotel. Cosi trovai un terminale pubblico e battei il suo codice.

Lo schermo si illumino; apparve un viso femminile, giovane, allegro, piuttosto grazioso. — Ciao! Sono Torchy. Tu chi sei?

— Sono Marj Baldwin — risposi. — Forse ho sbagliato codice. Sto cercando il capitano Tormey.

— No, non hai sbagliato, tesoro. Resta in linea. Lo tiro fuori dalla gabbia. — Si giro e si allontano dal ricevitore, strillando: — Ragazzo! Una pollastrella fantastica al telefono. Sa il tuo nome.

Mentre la donna si allontanava, intravvidi seni nudi. Quando fu al centro dello schermo scoprii che non aveva addosso un solo straccio.

Un bel corpo, forse un po’ largo alle fondamenta, ma con gambe lunghe, vita snella e mammelle all’altezza delle mie…

E delle mie non si e mai lamentato nessuno.

Bestemmiai fra me. Sapevo benissimo perche avevo chiamato il capitano: per dimenticare tre uomini fra le braccia di un quarto. Lo avevo trovato, ma pareva che fosse gia occupato.

Ian apparve, vestito ma non troppo; portava un lava-lava. Un’aria perplessa, poi mi riconobbe. — Ehi! La signorina… Baldwin! Si. Splendido. Dove sei?

— Al porto. Ho chiamato per salutarti, nel caso fossi in casa.

— Resta li dove sei. Non muoverti, non respirare. Sette secondi per mettermi calzoni e camicia e vengo a prenderti.

— No, capitano. Solo un saluto. Aspetto una coincidenza, come l’altra volta.

— Che coincidenza? Per dove? Quando parti?

Accidenti e triplo accidenti. Non mi ero preparata le bugie. Be’, spesso e meglio la verita di una bugia maldestra. — Torno a Winnipeg.

— Ah! Allora hai davanti il tuo pilota. Il volo di domani a mezzogiorno e mio. Dimmi dove ti trovi esattamente e sono da te fra, diciamo, quaranta minuti, se trovo un taxi in fretta.

— Capitano, sei molto dolce e sei fuori di testa. Hai gia tutta la compagnia che ti puo servire. La ragazza che ha risposto al telefono. Torchy.

— Torchy? Ah, vuoi dire mia sorella. Sempre con un nomignolo diverso, quella. Si chiama Betty e abita a Sydney, ma quando e qui si ferma da me. Forse te ne ho parlato. — Giro la testa e urlo: — Betty! Vieni qui a presentarti, ma in condizioni decenti.

— E troppo tardi per mettersi in condizioni decenti — rispose la voce allegra della ragazza. La vidi, dietro le spalle del capitano, tornare verso l’apparecchio e aggiustarsi un lava-lava ai fianchi. L’operazione le provoco qualche difficolta. Doveva aver alzato il gomito. — Oh, al diavolo! Mio fratello sta sempre a cercare di insegnarmi l’educazione. Mio marito ci ha rinunciato. Guarda tesoro, ho sentito quello che hai detto. Sono la sua sorellina sposata, troppo vero. A meno che tu non abbia intenzione di sposarlo, nel qual caso sono la sua fidanzata. Vuoi accalappiarlo.

— No.

— Bene. Allora puoi prenderlo. Sto per preparare il te. Tu bevi gin? O whisky?

— Quello che stavate bevendo tu e il capitano.

— Lui non deve bere niente. Parte fra meno di ventiquattro ore. Ma tu e io ci sbronzeremo.

— Berro quello che bevi tu. Va tutto bene, a parte la cicuta.

A quel punto convinsi Ian che era meglio che mi trovassi da sola una carrozza all’aeroporto, dove non c’erano problemi; chiamarne una, venire a prendermi e tornare indietro gli avrebbe creato difficolta.

Il numero 17 di Locksley Parade e un nuovo gruppo di appartamenti del tipo a doppie misure di sicurezza; entrare nell’appartamento di Ian fu come trovarsi sigillati in un’astronave.

Betty mi accolse con un abbraccio e un bacio che mi confermarono che aveva bevuto; poi il mio lupo riccioluto mi accolse con un abbraccio e un bacio che mi informarono che non aveva bevuto ma si aspettava di portarmi a letto nell’immediato futuro.

Non mi chiese dei miei mariti; io non offrii informazione sulla mia famiglia, la mia ex famiglia. Ian e io andavamo d’accordo perche capivamo tutti e due i segnali, li usavamo nel modo giusto, e non ci imbrogliavamo

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