— Naturalmente. — Hanmer scende lievemente dalla coppa floreale. — Da un certo punto di vista, Clay, tu sei parte della mia immaginazione. Perche non dovrei invadere la tua testa? — Si avvicina a Clay, faccia a faccia, e dice: — Cosa ti stava facendo il vecchio Quoi?

— Mi insegnava molte cose sull’amore. E imparava da me.

— Tu potevi insegnargli qualcosa?

— L’amore com’era ai miei tempi, si. Com’era per noi.

Il volto di Hanmer lampeggia di colori. Chiude gli occhi per un momento. — Si — dice infine. — Gli hai detto tutto, non e cosi? E adesso tutto il mondo lo sa, ogni Respiratore sa tutto di te. Non avresti dovuto farlo.

— Perche?

— Non puoi andare in giro a raccontare i tuoi segreti. Abbi un po’ di discrezione, uomo. Hai un debito verso di me.

— Io?

— Come tua guida, qualifica che mi sono autoconferita — dice Hanmer — io ho certi diritti sulle rivelazioni che puoi o non puoi fare. Ricordatelo. Adesso vieni con me.

Hanmer si avvia, mostrando la sua irritazione nella rigidita dell’andatura. Clay, a sua volta irritato dalle maniere perentorie del compagno, e tentato di non seguirlo affatto. Ma troppe domande prive di risposta si affollano nella sua gola; si precipita dietro Hanmer, raggiungendolo in breve. Camminano silenziosi uno accanto all’altro. Davanti a loro si stende una doppia fila di piatte collinette rosse, in mezzo alle quali si apre una pianura ristretta. La vegetazione dominante della pianura e una pianta sinuosa, a nastro, che sorge dal suolo in una serie di fronde senza foglie alte un metro-un metro e mezzo; le fronde sono soffici, fluttuano nella brezza, e sono talmente trasparenti che Clay quasi non riesce a vederle se non in certe angolazioni particolari. Gli ricordano filari di bianca spuma marina provocata dalle onde. Quando si avvicina, le piante acquistano brevemente colore, assumendo una tonalita traslucida di rosso purpureo che poi torna altrettanto rapidamente alla trasparenza. Solo quando cammina direttamente in mezzo a esse, aprendosi la strada in mezzo alle fronde, Clay si accorge che Ninameen, Serifice, Bril, Angelon e Ti sono accampate in mezzo alle piante.

— E questo tutto quello che fate? — chiede Clay a Hanmer. — Oziare pigramente sotto il sole, vagare da una valle all’altra, danzare, cambiare sesso, osservare riti, catturare stranieri? Non studiate le cose? Non giocate, o recitate? Coltivate giardini? Componete musica formale? Speculate sulle grandi idee?

Hanmer ride.

— Siete il culmine dell’evoluzione umana — dice con enfasi Clay. — Ma che cosa fate? Come riempite le migliaia, i milioni di anni che avete a disposizione? E sufficiente danzare? Quoi vi ha chiamati Sfioratori; penso che volesse dire che siete superficiali. Ha forse sbagliato nel giudicarvi? Cosa c’e in voi che possa differenziarvi dalle piante e dagli animali? Davvero la struttura della vostra vita e semplice come mi avete indotto a pensare?

Hanmer si volta. Appoggia le mani sulle spalle di Clay. I suoi occhi scarlatti sembrano tristi. — Noi tutti ti amiamo — dice. — Perche sei cosi agitato? Prendici come siamo.

Ninameen, Ti e gli altri Sfioratori sorgono intorno a Clay, vociando come bambini felici. Tutti, tranne Angelon, hanno forma maschile. Non ha difficolta, questa volta, a riconoscerli. — Perche sei stato tanto tempo con il Respiratore? — chiede Serifice. E Bril chiede: — Sei arrabbiato con noi?

E Hanmer: — E preoccupato perche viviamo per sempre.

Serifice si incupisce. Le sue narici fremono, la bocca trema, nervosamente. Tocca un gomito di Clay e dice: — Spiega il concetto di morte.

— Perche dovrei spiegare qualcosa? Voi cosa spiegate a me?

— Ostilita! — grida Ti. — Belligeranza! — Sembra deliziata.

— No, veramente — dice dolcemente Serifice. — Voglio sapere. Questo migliorera la situazione? — E cambia alla forma femminile. Serifice gli strofina il piccolo seno contro un fianco. — Parlami della morte — mormora, accarezzandogli il petto. Lui pensa alla ragazza bionda che ansima e si affanna mentre lui la inchioda sul letto della stanza nel motel, e non e per niente eccitato dalla grottesca creatura verde-dorata che gli si strofina contro. Occhi rossi e bulbosi. Giunture aliene. Volto piatto da pesce. Figlio di un uomo scomparso ormai da ere remote. — Morte — invita Serifice. — Aiutami a capire la morte.

— Tu hai visto la morte, qui — dice Clay, evitando le carezze di lei. — Lo sferoide… improvvisamente raggrinzito nella sua gabbia. Questa e la morte. La fine della vita. Cos’altro posso dire?

— E stata solo temporanea — obietta Serifice.

— Ma era morte, mentre si verificava. Se vuoi sapere qualcosa in proposito perche non interroghi lo sferoide?

— L’abbiamo fatto — dice Ti. — Non ha capito che cosa volevamo dire.

— Era andato — dice Angelon — e poi e tornato. Non potrebbe dirci altro in proposito.

— Ne posso farlo io. Ascoltate: supponete che io prenda un pesce dall’acqua e lo mangi. Il pesce muore. Questa e morte. Finire di essere quello che si e. Non essere piu consapevoli di quello che avviene in seguito.

— Un pesce non e molto consapevole neanche mentre vive — obietta Serifice.

Bril dice: — Con che frequenza muoiono quelli come voi?

— Una volta. Solo una volta. Quando ci si ferma, non si ricomincia piu.

— E cosi che e sempre stato per tutti?

— Per tutti.

— Anche per te, allora?

— Io sono stato preso dal flusso del tempo prima di morire. Almeno, cosi penso. Per quello che posso dirvi, ero ancora vivo quando sono stato preso e sono giunto qui. Cosi, non sono molto esperto in fatto di morte.

— Ma hai visto altri morire — insiste Serifice.

— Qualche volta. Ma non e stato istruttivo. I loro occhi non vedevano piu. I loro cuori non battevano piu. Non respiravano, non pensavano, non si muovevano, e non parlavano. Non ho idea di quello che potessero sentire loro, ne nel momento della morte ne in quelli successivi.

— Non hai sentito la loro mancanza? — chiede Serifice.

— Be’, si, se erano persone che conoscevo da vicino, o personalita famose, qualche artista, o medico, o statista che in qualche modo ha avuto una parte nella mia vita. Mi rendevo conto che mancava qualcosa. Ma milioni di estranei, di sconosciuti morivano ogni giorno, e senza destare alcuna emozione in quelli che sopravvivevano.

— Essi andavano fuori dal mondo. E coloro che non li seguivano ne sentivano naturalmente la mancanza. E cosi? — chiede Bril.

— No. Ascoltate, mi state chiedendo se eravamo tutti collegati, come lo sono i Respiratori, come suppongo siate voi, cosicche la morte di un uomo diminuisse tutti gli altri? Non era cosi. Voglio dire, solo in senso metaforico. Ognuno di noi era un’isola. Quando sentivamo della morte di qualcuno, ed era qualcuno che avevamo conosciuto direttamente o indirettamente, sentivamo una perdita, ma dovevamo esserne informati, la notizia doveva esserci espressa in parole, mi capite?

Lo fissano con solennita. Lingue bianche scivolano sulle loro labbra sottili. Piantano i polpastrelli delle dita nel morbido terriccio in un gesto evidente di sconforto.

— In realta mi capite — dice lui, vedendo il loro improvviso, nuovo interesse. — Naturalmente lo fate. Se Hanmer puo trarre una frase di Shakespeare dalla mia testa, voi potrete estrarre certamente anche la natura della condizione umana. Non avete bisogno di farmi tutte queste domande. Voi comprendete.

— Dicci — chiede Angelon, inginocchiandosi con la testa stretta tra le cosce — com’era vivere sapendo che si doveva morire.

Clay considera la domanda. Dopo un po’, dice: — Molta gente riusciva ad accettare la cosa serenamente. L’accettavano come un fatto ineluttabile che sfugge a ogni controllo. Lo scopo dell’esistenza, allora, diventava vivere il piu intensamente possibile nel tempo di cui si disponeva, cercando di non perdere nemmeno un istante, di trovare qualcuno d’amare e qualcosa da costruire, di conquistarsi l’immortalita creando qualcosa, o generando qualcuno, e mantenendosi sani in modo da poter prolungare la vita… E in effetti penso che il tempo a disposizione fosse sufficiente quasi per tutti. Verso la fine, suppongo, un uomo normale aveva avuto tutto quello che poteva aver desiderato; il suo corpo si deteriorava, poi si ammalava, spesso soffrendo parecchio… Voi sapete cosa sia il dolore? Conoscete la malattia?… Insomma, era la solita vecchia routine: si arrivava stanchi della vita, di alzarsi e mangiare e lavorare e dormire, e la famiglia era cresciuta e ormai andava avanti per conto proprio, e, be’, sospetto che la fine non fosse poi tanto dura. Naturalmente, c’erano i pensatori e gli artisti che sentivano di avere ancora molto da dare

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