Quanto a me, la sessione quotidiana con Fra Antonio mi piace molto: il paradosso del teschio, naturalmente, corrisponde in pieno al mio tipo d’irrazionalita, e a me pare di assimilarlo nella maniera giusta (anche se ammetto la possibilita che mi stia ingannando). Mi piacerebbe discutere con Fra Antonio sui miei eventuali progressi, ma per il momento ogni verifica di questo genere e vietata. Percio tutti i giorni m’inginocchio e fisso il piccolo teschio verde, e protendo l’anima, e conduco la mia perpetua lotta interna fra cinismo corrosivo e fede abbietta.
Terminata l’ora con Fra Antonio, torniamo nei campi. Strappiamo le erbacce, spruzziamo i fertilizzanti (sono tutti organici, beninteso) e facciamo i trapianti.
Oliver si trova completamente a suo agio, in questo lavoro. Ha sempre cercato di ripudiare la sua origine campagnola, ma ora se ne pavoneggia; allo steso modo che Eli si pavoneggia del proprio yiddish anche se non entra in una sinagoga da quando ha fatto il Bar Mitzvah. Buon sangue non mente, e Oliver si getta a corpo morto su zappa e vanga.
I frati tentano di fargli rallentare il ritmo. Credo che siano un po’ spaventati per la sua forza ma al tempo stesso preoccupati per la possibilita che si prenda un colpo di sole: Fra Leone, il frate medico, gli ha parlato parecchie volte, sottolineando il fatto che gia a meta mattina la temperatura tocca i trentacinque gradi e che ben presto sale a valori molto piu alti. Ma Oliver continua a sfacchinare come un matto.
Dal canto mio, tutto questo frugare nel suolo lo trovo piacevolmente strano e stranamente piacevole. Mi sembra che faccia appello a quell’aspirazione di stampo romantico che secondo me gl’intellettuali eccessivamente urbanizzati portano sepolta nel cuore: il ritorno alla natura. Finora io non ho mai compiuto un lavoro manuale piu faticoso della masturbazione, per cui nell’ora di agricoltura non solo mi scoppia la testa ma anche mi si spezza la schiena; ciononostante mi adeguo di buona voglia. Per ora.
L’atteggiamento di Eli nei confronti di questa roba da contadini e molto simile al mio, benche (se possibile) piu intenso, piu romantico: lui parla di trarre dalla Madre Terra un rinnovamento fisico.
E Timothy, il quale naturalmente non ha mai fatto nulla di piu faticoso che allacciarsi le stringhe delle scarpe, assume un’aria raffinata da gentiluomo di campagna:
In sostanza lavoriamo tutti, ciascuno a modo suo.
Verso le dieci-dieci e mezzo del mattino il caldo si fa insopportabile: ci ritiriamo tutti, salvo tre frati contadini di cui non conosco ancora il nome. Quei tre passano ogni giorno dieci o dodici ore fuori casa: una penitenza, forse? Noialtri, frati e Ricettacolo, andiamo nelle nostre stanze e facciamo un altro bagno. Poi noi quattro ci rechiamo nell’altra ala per la sessione quotidiana con Fra Miklos, il frate storico.
Fra Miklos e un ometto massiccio e possente, con avambracci grossi come cosce e cosce grosse come tronchi d’albero. Da l’impressione di essere piu anziano degli altri frati, anche se ammetto che c’e un che di paradossale nell’applicare un comparativo come «piu anziano» a un gruppo d’immortali. Parla con un lieve accento indefinibile, ed e chiaro che i suoi processi mentali non sono lineari: divaga, cambia argomento, salta inopinatamente di palo in frasca. Credo che sia una cosa intenzionale, che la sua mente sia sottile e insondabile piuttosto che decrepita e non avvezza alla disciplina. Nel corso dei secoli, forse, gli sono venuti a noia i discorsi piani e consecutivi: a me accadrebbe, ne sono certo.
I soggetti da lui trattati sono due: origine e sviluppo della Confraternita, e storia del concetto di longevita umana.
Riguardo al primo e elusivo al massimo, quasi fosse fermamente intenzionato a non darci mai una spiegazione franca.
Quanto ci sia di vero e quanto di leggendario, non lo so; cosi come non so se e vero che i Rosacroce risalgono ad Amenofi IV. Ma mentre Fra Miklos parla io ho visioni di caverne fumose, di torce tremolanti, di artisti che indossano strisce di pelle di mammut lanuto e pasticciano sulle pareti della grotta utilizzando pigmenti dai colori vivaci, di stregoni che dirigono la strage rituale di bisonti e rinoceronti. E vedo gli sciamani, tutti stretti insieme a parlottare sottovoce.
— Noi non moriremo, fratelli — dicono. — Noi continueremo a vivere, vedremo l’Egitto sorgere dalle paludi del Nilo, vedremo nascere la civilta sumera, vivremo per contemplare da vicino Socrate e Cesare e Gesu e Costantino, e saremo ancora vivi quando il fungo ardente brillera sopra Hiroshima con una vampa pari a quella del sole e quando gli uomini giunti con la nave di metallo discenderanno la scaletta per camminare sulla superficie della luna.
Ma e stato Fra Miklos a dirmi questo o l’ho sognato io nel torpore prodotto dall’afa del mezzogiorno? Ogni cosa e confusa ogni cosa si sposta e si scioglie e fugge via mentre le frasi ingarbugliate di Fra Miklos danzano, girano in tondo, si contorcono, girano in tondo, s’intrecciano.
Il frate ci racconta anche, parlando per enigmi e con perifrasi, di un continente perduto, di una civilta scomparsa, da cui deriva la scienza arcana della Confraternita. E noi lo fissiamo imbambolati, scambiandoci furtive occhiatine di sbalordimento, e non sappiamo se ridacchiare di scettico scherno o lasciarci affascinare da un senso di meraviglia e soggezione.
Atlantide? Com’e sottile, la linea tra la fantasia e la follia! Non ho mai udito Fra Miklos pronunciarne il nome, ma fin dal primo giorno mi ha ficcato in testa Atlantide e ora sono sempre piu convinto di non sbagliarmi e che lui sostiene effettivamente la discendenza della Confraternita da Atlantide.
Che cosa sono quelle decorazioni a teschi, sulla facciata del tempio? Che cosa sono quei gioielli a forma di teschio (orecchini, ciondoli) che portano gli abitanti della grande citta? Chi sono quei missionari in vesti biondo rame, che si dirigono alla terraferma, salgono fino agl’insediamenti sulle montagne, abbagliano con i lampi delle loro armi i cacciatori di mammut, e reggendo in alto il sacro Teschio chiedono ai cavernicoli di prosternarsi, di genuflettersi.
E gli sciamani, accovacciati intorno ai fuochi che scoppiettano nelle caverne dipinte, bisbigliano, confabulano, e alla fine rendono omaggio ai fulgidi stranieri: s’inchinano, baciano il Teschio, bruciano i propri idoli, le venerine dai fianchi adiposi e le schegge d’osso scolpite.
E cosi ha inizio, in quell’alba gelida, l’alleanza fra gli uomini della montagna e gli uomini dell’isola; e cosi hanno inizio il flusso di karma verso la terraferma circondata dai ghiacci, il risveglio, il trasferimento del sapere. E quando poi giunge il cataclisma, quando il suolo si lacera e le colonne vacillano e il mondo e ricoperto da un drappo nero, quando i viali e le torri sono inghiottiti dal mare infuriato… qualcosa continua a vivere, qualcosa sopravvive nelle caverne: i segreti, le cerimonie, la fede, il Teschio, il Teschio, il Teschio!
E andata cosi, Fra Miklos? Per dieci, quindici, ventimila anni, da un remotissimo passato che noi vorremmo negare? Gran benedizione, essere vivi in quell’alba! E tu sei ancora qui, Fra Miklos?
Sei giunto fino a noi da Altamira, da Lascaux, dalla stessa Atlantide condannata. Tu e Fra Antonio e Fra Bernardo e tutti gli altri. Siete sopravvissuti all’Egitto, siete sopravvissuti ai Cesari, prosternandovi davanti al Teschio, sopportando ogni cosa, ammassando ricchezze, dissodando il suolo, migrando di terra in terra, dalle caverne benedette ai neonati villaggi neolitici, dalle montagne ai fiumi, di nazione in nazione, fino alla Persia, a Roma, alla Palestina, alla Catalogna, apprendendo le lingue a mano a mano che si evolvevano, parlando alle popolazioni, dichiarandovi inviati dei loro dei, costruendo i vostri templi e monasteri, rendendo omaggio a Iside, a Mitra, a Jahve, a Gesu, a questa e a quella divinita, assimilando ogni cosa, sopportando ogni cosa, mettendo la