Croce sopra il Teschio quando venne di moda la Croce, padroneggiando l’arte di sopravvivere, accogliendo di tanto in tanto fra voi un altro Ricettacolo, chiedendo sempre nuovo sangue benche il vostro non invecchiasse mai.
E poi? Poi vi siete trasferiti nel Messico, dopo che Cortes vi ebbe aperto la strada. Era una regione che capiva gia il potere di morte, era un luogo in cui gia regnava il Teschio, forse portato li (cosi come nella vostra terra) dalla gente dell’isola, da missionari atlantidi recatisi anche a Cholula e a Tenochtitlan per mostrare la via della maschera di morte.
Terreno fertile, per qualche secolo. Ma voi esigete un rinnovamento costante; percio avete ricominciato a peregrinare portando con voi il vostro bottino, le maschere, i teschi, le statue, i tesori paleolitici; verso nord, nella nuova terra, nella terra deserta, nel cuore disabitato degli Stati Uniti, nel territorio da bombe; e grazie all’interesse composto accumulatosi nei secoli avete costruito la vostra piu recente Casa dei Teschi, eh, Fra Miklos?
Ed eccovi qui, ed eccoci qui anche noi.
E andata cosi? Oppure ho avuto io un’allucinazione, pasticciando le tue parole vaghe e oscure in uno sfarzoso sogno d’autoillusione? Come faccio a saperlo? Come potro saperlo mai? Tutto quello che ho e quanto mi hai detto, che tremola e svanisce dalla mia mente. E vedo cio che mi sta intorno, vedo la vostra iconografia originaria contaminata da visioni azteche, da visioni cristiane, da visioni atlantidi; e posso solo domandarmi, Fra Miklos, come mai tu sei ancora qui mentre i mammut sono scomparsi dalla scena, e se io sono uno sciocco o un profeta.
Il secondo soggetto sul quale c’intrattiene Fra Miklos e esposto in maniera meno nebulosa, e viene compreso e assimilato con maggior facilita. Costituisce un seminario sul prolungamento della vita, durante il quale il frate percorre spassionatamente il tempo e lo spazio alla ricerca di concezioni apparse su questo mondo parecchio dopo di lui.
Tanto per cominciare, domanda Fra Miklos, perche opporsi alla morte? Non e forse una conclusione naturale, un’auspicabile liberazione dagli affanni, una fine da desiderare di tutto cuore? Il teschio sottostante al volto ci rammenta che tutte le creature, quando e giunta la loro ora, sono destinate a perire, nessuna esclusa: perche ribellarsi, dunque, a questa legge universale? Polvere sei e polvere tornerai, no? Tutta la carne dovra perire; noi scompariremo da questo mondo come in autunno le mosche; e quindi e cosa meschina aver paura dell’inevitabile.
Ah, ma possiamo forse essere cosi filosofi? Se e nostro destino andarcene, non e anche nostro desiderio ritardare il momento della dipartita?
Le domande di Fra Miklos non attendono risposta. Seduti a gambe incrociate davanti a quella nerboruta torre di anni, noi non osiamo certo interferire col ritmo dei suoi pensieri. Il frate ci guarda senza vederci. E se uno — domanda ancora — potesse davvero posporre indefinitamente la morte, o almeno ricacciarla nel futuro remoto? Naturalmente e necessario conservare energie e salute: a che giova diventare un immortale vecchio e cisposo, che parla biascicando e sbavando, insomma una massa deambulante in decadimento perpetuo? Prendiamo per esempio Titone, che ha supplicato gli dei di esentarlo dalla morte e ha ottenuto il dono dell’immortalita ma non quello dell’eterna giovinezza: grigio, avvizzito, ora giace in una stanza, sigillata, invecchiando per l’eternita, vincolato alle limitatezze della sua carne corruttibile e corrotta. No, insieme alla longevita dobbiamo conseguire il vigore.
Ci sono alcuni, osserva Fra Miklos, che disdegnano simili domande e sostengono la passiva accettazione della morte.
Ci ricorda Gilgamesh, che cammino dal Tigri all’Eufrate per cercare la spinosa pianta dell’eternita e se la lascio sottrarre da un serpente affamato. Gilgamesh, dove corri? La vita che cerchi non la troverai, perche quando gli dei crearono l’umanita le assegnarono la morte, e la vita se la tennero al sicuro tutta per loro.
Prendiamo Lucrezio, dice Fra Miklos: Lucrezio osserva che e inutile cercare di allungare la propria vita: per numerosi che siano gli anni che possiamo guadagnare con questo o quel sistema, sono meno di niente in confronto all’eternita che dovremo comunque trascorrere nella morte. Anche prolungando l’esistenza, non sottrarremo uno iota alla durata della morte… Possiamo lottare in tutti i modi per rimanere; ma alla fine dovremo pur sempre andarcene, e non importa quante generazioni saremo riusciti ad aggiungere alla nostra vita: ci attendera ugualmente la medesima morte eterna.
Fra Miklos cita Marco Aurelio: anche se dovessi vivere tremila anni, o tremila volte diecimila anni, ricordati che non si perde altra vita se non questa che viviamo ora… la piu lunga e la piu corta, pertanto, finiscono con l’equivalere… tutte le cose che appartengono all’eternita hanno la medesima forma e girano in cerchio: non fa differenza vedere le medesime cose per cent’anni o per duecento o per un tempo infinito.
E una citazione di Aristotele, che ho imparato a memoria: di conseguenza tutte le cose di questo mondo, in ogni tempo, si trovano in uno stato di transizione e vengono in essere per poi scomparire… e non saranno mai eterne fintanto che conterranno qualita contrarie.
Che desolazione! Che pessimismo! Accettare, sottomettersi, arrendersi, morire, morire, morire, morire!
Che cosa dice la tradizione giudeo-cristiana?
Chi e nato di donna vivra un breve numero di giorni, e pieni di tribolazioni. Sboccia come un fiore, e poi viene reciso: svanisce come un’ombra, e non c’e piu. I suoi giorni fuggono e il numero dei suoi mesi e presso Dio, il quale gli ha posto un limite invalicabile.
Questa e la lugubre saggezza di Giobbe, appresa nel modo piu duro. E San Paolo?
Per me, la vita e Cristo e la morte un guadagno. Se devo avere vita di carne, questa per me significa apostolato proficuo. Tuttavia non so che cosa io debba preferire, anche se il mio desiderio e di andarmene ed essere con Cristo, che e di gran lunga la cosa migliore.
Ma, domanda Fra Miklos, dobbiamo accettare simili insegnamenti? Lascia capire che San Paolo, Giobbe, Lucrezio, Marco Aurelio, Gilgamesh, sono tutti degli ultimi arrivati, ancora con la bocca sporca di latte, irrimediabilmente postpaleolitici; e ci da un’altra immagine delle buie caverne mentre rientra in argomento zigzagando verso il passato infestato dai bisonti.
Poi torna di colpo a recitare gli annali della longevita: tutti i nomi altisonanti con cui Eli ci ha fatto rintronare gli orecchi durante i mesi invernali, mentre ci preparavamo a questa avventura. Le Isole dei Beati, la Terra degl’Iperborei, la Terra della Giovinezza, Shangri-La, la fontana incantata di Ponce de Leon, il pescatore Glauco che rosicchia le erbe accanto al mare e torna giovane per sempre, i fantasiosi resoconti di Erodoto, gli Uttarakuru e l’albero Jambu… Davanti ai nostri occhi abbagliati danzano centinaia di miti rutilanti, al punto che vorremmo gridare — Vieni! Vieni, Eternita! — e prosternarci al Teschio.
Ma subito Fra Miklos cambia di nuovo argomento e ci trascina un’altra volta — come su un nastro di Mobius — nelle caverne, facendoci percepire le raffiche dei venti glaciali e il gelido bacio del Pleistocene; ci prende per gli orecchi e ci gira verso ovest, facendoci vedere il sole infuocato che arde sopra Atlantide; ci spinge — incespicanti ed esausti — lungo il nostro cammino, verso il mare, verso la terra del tramonto, verso le meraviglie sommerse, e oltre ancora, verso il Messico con i suoi dei-demoni, con i suoi dei-teschi, Huitzilopochtli dallo sguardo bieco e il terribile Quetzalcoatl dal corpo di serpente, verso il dio scorticato, verso tutti i paradossi della vita nella morte e della morte nella vita…
E il serpente piumato ride e scuote i sonagli della coda,
Ma l’ora di storia e terminata e Fra Miklos si ritira, lasciandoci li a sbattere le palpebre e a incespicare per l’improvviso ritorno alla realta, lasciandoci soli, soli, soli, soli. Fino a domani.
Dopo l’ora di storia facciamo lo spuntino di mezzogiorno. Uova, passato di capsico, birra, compatto pane nero. Dopo mangiato c’e un’ora di meditazioni in privato, ciascuno nella propria stanza, durante le quali ci sforziamo di ricavare un senso da tutto quello che ci hanno ficcato in testa.
Poi suona il gong, chiamandoci di nuovo nei campi. Ormai il calore del pomeriggio si e abbattuto in pieno, e anche Oliver mostra qualche traccia di stanchezza. Con movimenti pacati puliamo la stia delle galline, mettiamo il tutore alle pianticelle giovani, diamo una mano agl’instancabili frati contadini che sono li a lavorare dal mattino. Cosi per due ore; e presente tutta la Confraternita tranne Fra Antonio, che se ne sta da solo nella Casa dei Teschi (ecco perche c’era soltanto lui, quando siamo arrivati qui). E finalmente le nostre fatiche hanno termine. Sudati, cotti dal