— Ti interessa?

— Se non mi interessasse, perche te lo chiederei?

— Evidente — disse lei. — A te non te ne frega proprio niente di quello che io ho fatto. A te non te ne frega proprio niente di niente che non sia David Selig, e perche fingi diversamente? Non hai nessun bisogno di farmi domande cortesi. Non e naturale, detto da te.

— Ehi, vacci piano! — Non cominciamo cosi presto a litigare, sorellina. — Che cosa ti ha messo in testa che…

— Hai mai pensato a me nell’ultima settimana? Per te io sono soltanto un oggetto. La sdolcinata sorellina. La marmocchia. La rompiballe. Hai mai fatto una conversazione con me? Su una cosa qualunque? Hai mai conosciuto il nome della scuola che frequento? Per te io sono un’estranea completa.

— No, non e vero.

— Ma per la miseria, che cosa sai di me?

— Tutto.

— Per esempio?

— Dacci un taglio, Jude.

— Un esempio. Uno solo. Qualcosa che riguardi me. Per esempio…

— Per esempio. Benissimo. Per esempio, so che sei andata a letto con uno stanotte.

Ci restammo tutti e due di stucco. Io mi chiusi in un silenzio confuso, quasi non credendo di essermi lasciato scappare quelle parole dalle labbra; e Judith scatto come se avesse preso la scossa, il suo corpo che andava irrigidendosi e impennandosi, gli occhi che scintillavano di stupore. Non so quanto tempo restammo congelati, incapaci di parlare.

— Che cosa? — disse lei finalmente. — Che cos’hai detto, Duv?

— Hai sentito bene.

— L’ho sentito ma mi sembra di aver sognato. Ripetilo.

— No.

— Perche no?

— Lasciami perdere, Jude.

— Chi te lo ha detto?

— Per piacere, Jude…

— Chi te lo ha detto.

— Nessuno — bisbigliai.

Il suo sorriso era trionfante, da far paura. — Tu sai qualcosa? Io ti credo. Onestamente ti credo. Non te lo ha detto nessuno. L’hai tirato fuori direttamente dalla mia mente, non e vero, Duv?

— Vorrei non essere mai entrato qui.

— Ammettilo. Perche non vuoi ammetterlo? Tu leggi nella mente della gente, non e cosi, Duvid? Tu sei una specie di fenomeno da fiera. Lo sospettavo da molto tempo. Tutti quei piccoli sospetti che avevi, e che finivano sempre per risultare esatti, e il modo falsamente imbarazzato con cui ti schermivi quando avevi ragione. Quel parlare del tuo 'intuito' nell’indovinare le cose. Proprio cosi! Proprio cosi, intuito! Io lo sapevo come stavano veramente le cose. Dicevo a me stessa: Questo stronzo sta leggendomi nella mente. Pero mi dicevo anche che era pazzesco, che non ce n’e di gente cosi, e una cosa impossibile. Soltanto che e vero, non e cosi? Tu non ci tiri. Tu leggi. Noi per te siamo spalancati e tu ci leggi come libri. Spiando dentro di noi. Non e cosi?

Sentii un suono dietro di me. Feci un salto, atterrito. Invece era soltanto Martha, che aveva messo dentro la testa nella camera da letto di Judith. Un mezzo sorriso, vago, sognante. — Buon giorno, Judith. O meglio buon pomeriggio, dovrei dire. State facendo una conversazione interessante, ragazzi? Sono cosi contenta. Non dimenticarti di far colazione, Judith. — E prosegui per la sua strada.

Judith disse con asprezza: — Perche non glielo hai detto? Descrivile tutta la faccenda. Con chi sono stata questa notte, che cosa ho fatto con lui, come mi sentivo…

— Basta, Jude.

— Non hai risposto alla mia domanda. Tu ce l’hai questo potere magico, non e cosi? Non e cosi?

— Si.

— E hai continuato per tutta la vita a spiare di nascosto dentro la gente.

— Si. Si.

— Lo sapevo. Non e che lo sapessi davvero, pero di fatto lo sapevo da sempre. E questo spiega tante cose. Perche mi sentivo sempre sporca quando avevo un ragazzo e tu bazzicavi da quelle parti. Perche mi sentivo come se tutto quello che facevo dovesse finire sui quotidiani del giorno dopo. Io non ho mai avuto una privacy, anche quando ero chiusa a chiave in bagno. Non mi sentivo da sola. — Rabbrividi. — Spero di non rivederti mai piu, Duv. Adesso che so quello che sei. Vorrei non averti mai visto. Se mai capitasse che ti becco a sbirciare nella mia mente dopo questo, ti taglio le palle. Capito? Ti taglio le palle. Adesso smamma in modo che possa vestirmi.

Uscii fuori barcollante. In bagno mi aggrappai al bordo freddo del lavandino e mi piegai proprio contro lo specchio per studiare la mia faccia tutta rossa, eccitata. Parevo intronato, intontito, i lineamenti rigidi come se avessi preso una botta. «So che sei andata a letto con uno stanotte.» Perche glielo avevo detto? Una disgrazia? Le parole mi erano saltate fuori di bocca perche lei mi stuzzicava al di la di ogni limite possibile? Ma io non avevo mai permesso a nessuno di costringermi a una simile rivelazione, prima d’ora. Non ci sono casi fortuiti, ha detto Freud. Non ci sono neanche i lapsus. Ogni cosa e voluta, a un livello o un altro. Dovevo aver detto a Judith quello che le avevo detto perche avevo bisogno che almeno lei conoscesse la verita sul mio conto. Ma perche? Perche lei? Ne avevo gia parlato con Nyquist, si; non ci potevano essere rischi nel farlo; ma non lo avevo mai ammesso con nessun altro. Quanto mi sono dato da fare per nasconderlo, eh, signorina Mueller? E adesso Judith sapeva. Le avevo fornito un’arma con la quale lei poteva distruggermi.

Le ho fornito un’arma. Com’e strano che lei non si sia mai decisa a usarla.

16

Nyquist disse: — Il tuo vero guaio, Selig, e che tu sei un uomo profondamente religioso che, guarda caso, non crede in Dio. — Nyquist diceva sempre cose del genere, e Selig non riusciva mai a capire se lui voleva proprio dire quello oppure semplicemente giocava con le parole. Non aveva nessuna importanza quanto profondamente Selig penetrasse nell’anima di quell’altro uomo, non sarebbe mai riuscito a essere sicuro di niente; Nyquist era troppo furbo, troppo sfuggente.

Stando sul sicuro, Selig non disse niente. Voltava la schiena a Nyquist, guardando fuori dalla finestra. Stava nevicando. Li sotto, le strette viuzze erano ingombre di neve; neanche gli spartineve del comune potevano farcela, e regnava una strana serenita. Folate di vento sferzavano la neve mandandola alla deriva. Le macchine parcheggiate stavano scomparendo sotto il mantello bianco. Fuori c’erano soltanto pochi portinai dei condomini di quell’isolato, che spalavano con decisione. Erano tre giorni che nevicava in continuazione. La neve cadeva su tutto il Nordest. Cadeva su tutte quelle sporche citta, sugli aridi suburbi, cadeva dolcemente sugli Appalachi e, piu lontano, verso est, cadeva sulle onde fresche e turbolente dell’Atlantico. A New York City non si muoveva niente. Era tutto chiuso: le costruzioni adibite a ufficio, le scuole, le sale da concerto, i teatri. Le ferrovie erano fuori servizio e le autostrade erano bloccate. Negli aeroporti tutto era fermo. Le partite di pallacanestro erano state cancellate dal tabellone al Madison Square Garden. Incapace di mettersi a lavorare, Selig aveva aspettato che passasse il grosso della bufera, nell’appartamento di Nyquist, passando tanto tempo con lui che aveva finito per trovare la compagnia del suo amico soffocante e ossessiva. Quello che prima gli era sembrato divertente e brillante era diventato corrosivo e malizioso. La blanda sicurezza di Nyquist, adesso, gli pareva mediocrita tutta compiaciuta di se; le sue casuali incursioni nella mente di Selig non erano piu affettuosi gesti di intimita, ma, piuttosto, deliberati atti di aggressione. La sua abitudine di ripetere ad alta voce quello che Selig stava pensando, diventava sempre piu irritante, e non c’era niente che poteva impedirglielo, a quanto pareva. Ecco che stava rifacendolo, captando un suggerimento dalla mente di Selig e declamandolo con un tono quasi canzonatorio: — Ah! Com’e grazioso! «La sua anima lentamente svani,

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