sentendo la neve cadere lieve lieve su tutto l’universo, e, lieve lieve, cadere, come la discesa della loro ultime fine, su tutti i vivi, su tutti i morti.» Mi piace. Che cos’e, David?

— James Joyce — disse Selig, acido. — I morti, da Gente di Dublino. Ieri ti avevo chiesto di non farlo.

— Io invidio il respiro e la profondita della tua cultura. Mi piace prendere in prestito da te queste elaborate citazioni.

— Carino. E sei abituato a usarle sempre contro di me?

Nyquist, con ampi gesti, mentre Selig si allontanava dalla finestra, umilmente giro verso l’esterno le sue palme. — Mi spiace. Mi ero dimenticato che non ti faceva piacere.

— Tu, Tom, non hai mai dimenticato niente. Tu non fai mai una sola cosa a casaccio. — Poi, turbato, dal suo cattivo umore: — Cristo, ne ho avuto abbastanza di questa neve!

— La neve e generale — disse Nyquist. — Non accenna per niente a smettere. Che cosa facciamo oggi?

— Quello che abbiamo fatto ieri e l’altro ieri, immagino. Ce ne stiamo seduti, guardando i fiocchi di neve che cadono e ascoltando dischi e passando il tempo a far niente.

— Che ne dici di andare a letto?

— Non sei il mio tipo — disse Selig.

Nyquist spiattello li un sorriso vacuo. — Buffone. Voglio dire di andare a pescare un paio di ragazze in ozio da qualche parte in questo palazzo e di invitarle a un piccolo party. Pensi che non ci siano due femmine disponibili sotto questo tetto?

— Potremmo dare un’occhiata — disse Selig, con una scrollata di spalle. — C’e ancora un po’ di bourbon?

— Lo prendo io — rispose Nyquist.

Tiro fuori la bottiglia. Nyquist si muoveva con una strana indolenza, come in un’atmosfera densa, resistente, di mercurio o di qualche altro fluido viscoso. Selig non lo aveva mai visto affrettarsi. Era pesante senza essere grasso, un uomo dalle spalle larghe, dal collo taurino, la testa quadrata, capelli gialli rapati a zero, un naso piatto dai contorni ampi, un sorriso semplice, innocente. Ariano puro, purissimo: era scandinavo, forse uno svedese, passato in Finlandia e trapiantato negli Stati Uniti all’eta di dieci anni. Conservava ancora qualche sfuggente traccia di inflessione nella pronuncia. Diceva di avere 28 anni, e a Selig, che ne aveva appena compiuti 23, sembrava un pochino piu vecchio. Si era nel febbraio del 1958, in un’epoca in cui Selig conservava ancora l’illusione di potercela fare in un mondo adulto. Eisenhower era presidente, il mercato valutario era andato in malora, i crolli emotivi post- Sputnik stavano ancora turbando tutti sebbene il primo satellite spaziale americano fosse appena entrato in orbita, e la moda femminile ultimo grido era la casacca di tela. Selig abitava a Brooklyn Heights, in Pierrepont Street, e si spostava per vari giorni alla settimana nella parte bassa della Quinta Strada in un ufficio di una casa editrice per conto della quale faceva il correttore di bozze senza contratto di lavoro a tre dollari l’ora. Nyquist abitava nello stesso palazzo, quattro piani piu in alto.

Tra le persone che Selig conosceva, lui era l’unico che avesse il potere. E in piu il possederlo non lo cambiava in nessun senso. Nyquist si serviva del suo dono con la stessa semplicita e naturalezza con cui si serviva dei suoi occhi o delle sue gambe, a suo proprio unico vantaggio, senza scuse e senza sensi di colpa. Forse era la persona meno nevrotica che Selig avesse mai incontrato. Come mestiere faceva il predone, mettendo a frutto la capacita di leggere nella mente della gente; pero, come ogni animale della giungla, assaliva soltanto quando era affamato, mai per il puro gusto di assalire. Prendeva quello che gli serviva, senza mai mettersi a discutere con la provvidenza che lo aveva reso cosi superbamente dotato, e prendeva soltanto quello che gli serviva, e gli serviva poco. Non aveva nessun lavoro e apparentemente non ne aveva mai avuti. Se gli servivano soldi, faceva un giretto di dieci minuti in Wall Street, bighellonava un po’ nei canyon tenebrosi del distretto finanziario, e andava a frugare con tutta liberta nelle menti dei finanzieri rinchiusi in quelle nobili sale consiliari. Qualunque fosse il giorno, c’era sempre qualche importante sviluppo che stava covando che avrebbe provocato un duro colpo sul mercato — una fusione di imprese, una spaccatura, una scoperta mineraria, una diceria su facili guadagni — e Nyquist non aveva difficolta a impadronirsi dei dettagli essenziali. Le informazioni poi le vendeva a prezzi piuttosto buoni ma ragionevoli a una quindicina di investitori privati i quali, nel modo piu lieto, avevano imparato che Nyquist era un informatore piu che attendibile. Parecchie rapide fortune degli anni ’50 sono opera sua. In tal modo si guadagnava una vita confortevole, sufficiente per mantenersi nel tenore a lui congeniale. Aveva un appartamento piccolo in cui si stava bene, tappezzeria Naugahyde nera, lampade Tiffany, parati alla Picasso, una credenza ben fornita di liquori, uno stupendo sistema di amplificazione da cui usciva un ininterrotto flusso di Monteverdi e Palestrina, Bartok e Stravinsky. Viveva una piacevole vita da scapolo, uscendo spesso, facendo il giro dei suoi ristoranti preferiti, tutti oscuri e tipici, giapponesi, pakistani, siriani, greci. Il suo cerchio di amicizie era limitato, ma selezionato: pittori, scrittori, musicisti, poeti, soprattutto. Andava a letto con parecchie donne; Selig, pero, raramente lo vide due volte con la stessa.

Come Selig, Nyquist era capace di ricevere ma incapace di trasmettere; lui, pero, riusciva a trasmettere nel momento in cui la sua mente veniva sondata. E fu cosi che si incontrarono. Selig, appena arrivato nel palazzo, si era dedicato al suo hobby, lasciando che la sua coscienza frugasse liberamente piano per piano le menti dei suoi vicini per farsene un’idea. Saltava un po’ qui un po’ la, ispezionando questa mente e quell’altra, non trovando proprio niente che meritasse un interesse speciale, quando, di colpo: 'Dimmi dove ti trovi'.

Un succedersi cristallino di parole che sgorgava dalla superficie di una mente vigorosa, sicura di se. L’affermazione arrivo con l’immediatezza di un messaggio esplicito. Selig si rese conto inoltre che non c’era stato nessun atto di trasmissione attiva; semplicemente, lui aveva trovato le parole che passivamente erano li in attesa. Diede un’immediata risposta.

'Al 35 di Pierrepont Street.'

'No, questo lo so. Intendo dire dove sei nel palazzo?'

'Quarto piano.'

'Io sto all’ottavo. Come ti chiami'?

'Selig.'

'Nyquist.'

Il contatto mentale era stupendamente intimo. Era quasi un fatto sessuale. Come se lui fosse scivolato in un corpo, non in una mente, e rimase sconcertato dalla risonante mascolinita dell’anima in cui era entrato; aveva l’impressione che ci fosse qualcosa di assolutamente illecito in una simile intimita con un altro uomo. Pero non si ritiro. Questo rapido scambio di comunicazione verbale attraverso la gola dell’oscurita era un’esperienza deliziosa, troppo gratificante per rifiutarla. Selig provo la momentanea illusione di aver esteso i suoi poteri, di aver imparato a inviare messaggi alle altre menti tanto bene quanto sapeva tirarli fuori. Era, e lo sapeva, soltanto un’illusione. Lui non stava trasmettendo niente, e neanche Nyquist. Lui e Nyquist si erano limitati a captare informazioni l’uno nella mente dell’altro. Ognuno di loro aveva messo li delle frasi perche l’altro le trovasse, il che, in termini di dinamica situazionale, non era per niente la stessa cosa che mandare messaggi a un altro. Tuttavia era una distinzione sottile e assolutamente priva di importanza; il netto effetto di contatto di due ricettori completamente spalancati era un efficiente circuito rice-trasmittente confrontabile a un circuito telefonico. Un vero e proprio matrimonio tra due menti, per l’esistenza del quale non potevano esserci impedimenti. A titolo di prova, volontariamente, Selig avanzo nei livelli piu profondi della coscienza di Nyquist, cercando di afferrare l’uomo con la stessa nitidezza con cui aveva afferrato i messaggi, e nel farlo arrivo a un’indistinta consapevolezza di inquietudine nel profondo della sua mente, probabilmente un indice del fatto che Nyquist stava facendo lo stesso con lui; Per lunghissimi minuti si esplorarono l’un l’altro come innamorati che si avvinghiano nelle prime carezze di scoperta reciproca, anche se non c’era niente di amabile nel tocco di Nyquist, freddo e impersonale. Ciononostante Selig fremeva; si sentiva come sull’orlo di un abisso. Alla fine dolcemente si ritiro, e altrettanto Nyquist. Poi, proveniente dall’altro:

'Sali su. Ti aspetto alla porta dell’ascensore'.

Era piu grosso di quello che Selig si aspettava, un pezzo d’uomo, occhi azzurri poco attraenti, un sorriso puramente formale. Era distante senza essere veramente freddo. Andarono nel suo appartamento: luci morbide, una musica insolita, un’atmosfera di eleganza non vistosa. Nyquist gli offri un drink e conversarono, mantenendosi fuori il piu possibile l’uno dalla mente dell’altro. Fu una visita piena di cautela, per niente sentimentale, niente lacrime di gioia per essersi finalmente trovati insieme. Nyquist si dimostro affabile, accessibile, soddisfatto che Selig fosse apparso, ma nient’affatto in delirio per l’eccitazione di aver scoperto un compagno di anormalita. Era anche possibile che fosse cosi perche lui si era imbattuto in altri fratelli di anormalita in precedenza. — Ce ne sono altri — disse lui. — Tu sei il terzo, quarto, quinto che ho incontrato io da quando sono arrivato negli Stati Uniti. Vediamo un po’: uno a Chicago, uno a San Francisco, uno a Miami, uno a Minneapolis. Tu sei il quinto. Due donne, tre

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