Ho tentato di essere buono con Judith, ho cercato di essere gentile e amabile, ma il nostro esserci odiati continua a perseguitarci. Mi sono detto: e la mia sorellina, la mia unica sorella, devo amarla di piu. Pero l’amore non puo arrivare su ordinazione. Non si puo evocarlo basandosi solo sulle buone intenzioni. In piu le mie intenzioni non sono mai state buone. L’ho vista come una rivale fin dal primo istante. Ero io il primogenito, il difficile, quello messo male. Mi ero ficcato in testa di essere il centro dell’universo. Erano questi i termini del mio contratto con Dio: io devo soffrire perche sono diverso, pero, quasi fosse una compensazione, l’intero universo doveva ruotare attorno a me. La bambina che era stata portata in casa doveva essere soltanto un rimedio terapeutico inteso ad aiutarmi a migliorare le mie relazioni con il genere umano. L’accordo era questo: era implicito che lei non doveva avere una realta indipendente come persona, era implicito che non doveva avere bisogni propri o fare domande o accaparrarsi il loro amore. Soltanto un oggetto, un pezzo della mobilia. Io pero la sapevo lunga; altro che credere a queste cose. Avevo dieci anni, ricordate, quando l’adottarono. Il vostro decenne non e mica scemo. Sapevo che i miei genitori, non sentendosi piu obbligati, adesso, a orientare ogni premura esclusivamente verso il loro figliolo misteriosamente emotivo e agitato, rapidamente e con gran sollievo avrebbero trasferito la loro attenzione e il loro amore — si, soprattutto il loro amore — alla piccola coccolona molto meno complicata. Lei avrebbe preso il mio posto al centro; io sarei diventato un complesso arnese fuori moda. Non potevo impedirmi di provare risentimento. Mi biasimate per il tentativo di ucciderla nella culla? D’altra parte potrete capire l’origine della sua freddezza di tutta una vita nei miei riguardi. Io non ho difese contro questa prova. Il ciclo dell’odio comincio con me. Con me, Jude, con me, con me, con me. Tu avresti potuto mandarlo in pezzi con l’amore, comunque, se ti fosse servito. Non ti serviva.
Un sabato pomeriggio del maggio 1961, uscii per andare alla casa dei miei genitori. In quegli anni non ci andavo spesso, sebbene vivessi a 20 minuti di metro. Vivevo fuori dal cerchio familiare, autonomo e irraggiungibile, e reagivo in modo esagerato di fronte a ogni forma di riaggancio. Provavo una latente ostilita verso i miei genitori: erano stati i loro geni mutanti, in fondo, che mi avevano sbattuto nel mondo a quel modo. E poi c’era anche Judith, che mi faceva inacidire con il suo disprezzo: che cosa mi occorreva di piu? Percio una volta me ne stetti lontano da loro tre per settimane, per mesi, finche la malinconia dei richiami a voce alta di mia madre non divento eccessiva per me, finche il peso del mio senso di colpa non sopraffece le mie resistenze.
Fui felice di scoprire, quando vi andai, che Judith era ancora nella sua cameretta, addormentata. Alle tre del pomeriggio? Si, disse mia madre, ieri notte e stata fuori fino a tardi per un appuntamento. Judith aveva 16 anni. La immaginai che andava a una partita di pallacanestro della scuola superiore con 'un ragazzotto magro e foruncoloso e poi centellinava frullati al latte. Dormi bene, sorellina, dormi, dormi. Pero, ovviamente, la sua assenza mi obbligo a un confronto diretto e senza difese con i miei lugubri, svuotati genitori. Mia madre, dolce e ottusa; mio padre, stanco e amareggiato. Per tutta la vita loro hanno continuato a diventare sempre piu meschini. Adesso avevano proprio un aspetto dimesso. Parevano prossimi a scomparire.
Io non avevo mai vissuto in quell’appartamento. Per anni Paul e Martha avevano fatto enormi sacrifici per conservare un posto con tre stanze da letto che non si potevano permettere, semplicemente perche era diventato impossibile per Judith e me condividere la stessa camera, una volta che lei aveva passato l’infanzia. Il giorno in cui io partii per il college, affittando una stanza nei pressi del campus, loro ne trovarono uno piu piccolo e molto piu a buon mercato. La loro camera da letto era a destra dell’ingresso e quella di Judith era sulla sinistra, dopo una lunga sala e al di la della cucina, appena piu in la c’era il soggiorno, nel quale mio padre sedeva sonnecchiando, sfogliando il
Lo lasciai alle sue riflessioni e feci una conversazione educata con mia madre: il suo gruppo di lettura Hadassah aveva discusso
— Adesso devo far da mangiare — disse lei e spari. Rimasi seduto con mio padre per un po’ finche non ce la feci piu, poi andai in fondo alla sala, al gabinetto, accanto alla camera da letto di Judith. La sua porta era socchiusa. Diedi un’occhiata dentro. Luci spente, tendine abbassate, io, pero, afferrai la sua mente e scoprii che lei era sveglia e stava pensando di alzarsi. Benissimo, fa qualcosa, Duvid, comportati amichevolmente. Non ti costera niente. Bussai leggermente. — Ciao, sono io — dissi. — Posso entrare?
Era seduta sul letto; indossava un accappatoio bianco sopra un pigiama blu scuro. Sbadigliava, si stirava. La faccia, di solito cosi tesa, era gonfia per il troppo dormire. Per forza di abitudine entrai nella sua mente, e vidi qualcosa di nuovo e sorprendente. L’iniziazione erotica di mia sorella. La notte prima. L’intera faccenda: la sveltina nella macchina parcheggiata, il sorgere dell’eccitazione, l’improvviso rendersi conto che la cosa stava diventando qualcosa di piu di un interludio di petting, i calzoni che partivano, il goffo scambiarsi di posizione, l’annaspare impacciato con il preservativo, il decisivo momento di esitazione che spalancava la strada a una totale compiacenza, le maldestre inesperte dita che titillavano il pube verginale per farlo bagnare, lo spingere cauto, rozzo, la lacerazione, la sorpresa di scoprire che la penetrazione era accompagnata da dolore, l’urtare e spingere il corpo contro corpo, l’improvvisa esplosione del ragazzotto, tutta la confusione che ne seguiva, il senso di colpa e la confusione e il disappunto per il fatto che era tutto finito con Judith ancora insoddisfatta. Il ritorno a casa in macchina, in silenzio, vergognosa. Dentro casa, in punta di piedi, quel salutare sottovoce i genitori sempre in guardia, che non dormono mai. La doccia a notte fonda. L’ispezione a quel pulire la vulva defiorata e leggermente gonfia. Un sonno duro da venire e frequentemente interrotto. Un lungo periodo di debolezza, durante il quale pensa e ripensa a quanto e successo quella sera: lei e compiaciuta e sollevata di essere diventata donna, pero e anche spaventata. Riluttanza ad alzarsi e a guardare in faccia il mondo, il giorno seguente, soprattutto a guardare in faccia Paul e Martha. Judith, il tuo segreto non e un segreto per me.
— Come stai? — chiedo.
Buttato li, ma teatralmente, con voce strascicata: — Ho tanto sonno. Ho fatto le ore piccole. Come mai sei qui?
— Ci faccio un giro ogni tanto per vedere la famiglia.
— E difficile riuscire a vederti.
— Non e grazioso da parte tua questo, Jude. Per te resto sempre quell’essere ripugnante?
— Perche mi rompi le palle, Duv?
— Te l’ho detto, sto cercando di essere socievole. Tu sei la mia unica sorella, l’unica che mai avro. Ho pensato di mettere dentro la testa e di dirti ciao.
— L’hai fatto. Dunque?
— Potresti raccontarmi quello che hai fatto dall’ultima volta che ti ho vista.